Le informative di Palazzo Koch sul generale Spaziante avrebbero quasi sicuramente riscritto la storia dell’inchiesta Mose, ma quelle carte non sono mai entrate nelle scrivanie degli inquirenti. Una nuova direttiva europea potrebbe evitare che situazioni simili accadano di nuovo, ma l’Italia è indietro
- L’inchiesta Mose è anche la storia di pezzi dello stato in lotta tra loro, di finanzieri che fanno bene il loro lavoro contrastati dai superiori, bersagliati da fughe di notizie, trasferimenti e mancate promozioni.
- C’è un plico riservato arrivato troppo tardi agli inquirenti, dopo la retata del 4 giugno 2014 che ha scoperchiato la corruzione miliardaria intorno all’opera pubblica per la protezione di Venezia dall’acqua alta.
- Contiene tre informative dell’ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia sull’allora generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante, ex capo di stato maggiore e comandante in seconda delle Fiamme gialle, indagato e arrestato dalla Procura di Venezia nell’estate del 2014 per corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio.
C’è un plico riservato che non è mai entrato nell’inchiesta sul Mose. Arrivato troppo tardi agli inquirenti, dopo la retata del 4 giugno 2014 che ha scoperchiato la corruzione miliardaria intorno all’opera pubblica per la protezione di Venezia dall’acqua alta. Contiene tre informative dell’ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia sull’allora generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante, ex capo di stato maggiore e comandante in seconda delle Fiamme gialle, indagato e arrestato dalla Procura di Venezia nell’estate del 2014 per corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio. Accuse per le quali l’alto ufficiale ha patteggiato una pena di quattro anni a Milano, dove la sua posizione è stata trasferita per competenza, con sentenza divenuta irrevocabile nel 2015.
Secondo i magistrati Spaziante, numero due delle Fiamme gialle da poco andato in pensione al momento dell’arresto, si era attivato per «influire favorevolmente» sulla verifica fiscale e sull’inchiesta giudiziaria in corso sul Consorzio Venezia Nuova, cercando di acquisire notizie dai suoi uomini per rivelarle al principale indagato, il presidente del consorzio veneziano Giovanni Mazzacurati. A fare da intermediario il finanziere vicentino Roberto Meneguzzo, anch’egli condannato a due anni e sei mesi, che lo aveva messo in contatto con Mazzacurati tramite il consigliere del ministro dell’Economia e delle finanze dell’epoca Giulio Tremonti, Marco Milanese, ex ufficiale della Finanza. Il tutto in cambio della promessa di una tangente di 2,5 milioni di euro, 500 mila dei quali effettivamente consegnati al generale «a titolo di acconto».
Sospetti rimasti in un cassetto
Proprio di una provvista di denaro contante, di importo simile alla tangente che verrà contestata a Spaziante, c’è traccia tra le carte inedite della Banca d’Italia, che Domani ha potuto leggere, chiamate in gergo «Sos», segnalazione di operazioni sospette, e risalenti al periodo tra il 2011 e il 2013, precedente all’inchiesta Mose.
Per legge le Sos vengono trasmesse a un unico ufficio di polizia che le gestisce in regime di monopolio: il nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf di Roma. Solo in alcuni casi sono condivise per competenza con la Dia, la direzione investigativa antimafia. Nel caso di Spaziante gli alert antiriciclaggio di via Nazionale riguardavano uno dei generali più anziani e più alti in grado dello stesso corpo, futuro numero due e possibile comandante generale delle Fiamme gialle. L’imbarazzo era tale da generare un vero e proprio cortocircuito. E i documenti sono rimasti nel cassetto.
Li scopriranno altri investigatori, sempre della finanza, gli agenti del reparto speciale Gico di Venezia, dopo gli arresti dell’estate 2014 che hanno fatto crollare uno dei più scientifici sistemi di corruzione intorno a un’opera pubblica, il «modulo sperimentale elettromeccanico» per la difesa di Venezia e della Laguna dall’acqua alta.
Perché l’inchiesta Mose è anche la storia di pezzi dello stato in lotta tra loro, di finanzieri che fanno bene il loro lavoro contrastati dai superiori, bersagliati da fughe di notizie, trasferimenti e mancate promozioni. Le tre Sos su Spaziante non entreranno mai nell’inchiesta dei pm di Venezia Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini: le posizioni di Meneguzzo e Spaziante vengono trasmesse per competenza territoriale a Milano, dove materialmente sarebbe stata consegnata la tangente. E il Gico di Venezia le svilupperà solo nei mesi e negli anni successivi per conto dei pm milanesi Luigi Orsi e Roberto Pellicano. Perché erano così importanti le informative di Palazzo Koch sul generale Spaziante?
La «provvista» sul conto del generale
Se fossero state condivise e sviluppate per tempo avrebbero quasi sicuramente riscritto la storia dell’inchiesta Mose. Bankitalia segnalava, alcuni anni prima dell’intervento dei pm veneziani, l’esistenza di «una serie di bonifici in contanti» effettuati sul conto del generale Spaziante, sull’origine dei quali «la banca segnalante non è stata in grado di fornire informazioni». Versamenti in favore dei familiari di singoli importi non significativi, ma nel complesso superiori a 170 mila euro, che già nella prima nota del 18 novembre 2011 destavano «perplessità» negli analisti dell’Unità di informazione finanziaria (Uif), per via delle «modalità prescelte per la realizzazione dei pagamenti e del consistente ricorso al contante». Il periodo combacia almeno in parte con quello dell’imputazione a carico di Spaziante nell’indagine di Venezia, essendo a cavallo tra il 2010 e il 2011.
Seguono altre due segnalazioni sull’alto ufficiale. L’8 febbraio 2012 l’Uif evidenziava alla Dia e alla finanza alcuni bonifici in contanti ritenuti sospetti, effettuati per conto di Spaziante con «denaro contante di cui non è possibile accertare l’origine» da altri ufficiali o sottufficiali della Finanza autorizzati a operare sul suo conto corrente. Una terza relazione del 2013 fa esplicitamente riferimento al coinvolgimento di Spaziante nel procedimento penale «4068/13 presso la Procura della Repubblica di Venezia»: uno dei fascicoli collaterali all’inchiesta Mose. Peccato che i magistrati veneziani non l’abbiano mai ricevuta.
Yacht, contanti e bancarotta
Il focus dell’ultimo rapporto riguarda comunque vicende romane: bonifici per 225 mila euro, e un assegno da 100 mila, che Spaziante aveva ricevuto tra il giugno 2010 e il luglio 2011 dalla società Porto turistico di Roma dell’imprenditore Mauro Balini, il presidente del porto di Ostia che verrà arrestato nel 2015 per associazione a delinquere e bancarotta.
Quei versamenti sul conto del generale - si legge nella Sos - «sarebbero riconducibili alla vendita della barca denominata Arkelon», uno yacht di 20 metri del valore di 500 mila euro, ceduta da Spaziante alla società di Balini. Nel giugno del 2020 Balini è stato condannato per il crac da 7 milioni di euro del nuovo porto turistico di Ostia a 5 anni e 6 mesi, mentre Spaziante è stato prosciolto dall’accusa di corruzione per non aver commesso il fatto: nessuna rinuncia da parte sua ai controlli sulle società di Balini in cambio dell’uso della nave «Beleza of London», un altro yacht di 25 metri, come ipotizzava il pm di Roma Roberto Galanti.
Uscite due volte superiori alle entrate
Barche di lusso, case e contanti riconducibili a Spaziante sono stati passati al setaccio dalla Procura di Milano, che gli contestava un patrimonio «di valore del tutto sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati». Il Giudice Chiara Valori il 12 febbraio 2015 ha ordinato la confisca di beni per oltre due milioni di euro nei confronti del nucleo famigliare Spaziante, le cui uscite nel periodo tra il 2005 e il 2013 sono state «più che doppie rispetto alle entrate» e la cui disponibilità di contanti non avrebbe avuto «alcuna ragione lecita plausibile». Provvedimento definitivo dal 2 marzo 2018. Oggi la Guardia di finanza preferisce non ricordare questa vicenda che per la Corte dei conti ha «leso enormemente» la sua immagine, tanto che i giudici contabili nel luglio del 2018 hanno condannato Spaziante a pagare un milione di euro al suo ex corpo per il danno alla reputazione.
Il generale dopo il patteggiamento ha anche perso il suo grado: i giudici di Milano gli hanno applicato la pena accessoria della «rimozione», degradandolo così a soldato semplice. Anche se la sua biografia compare ancora sul sito della Gdf tra quelle dei comandanti in seconda, senza alcun accenno alle vicende giudiziarie.
Sos trasparenza
L’Unione europea ha previsto con la direttiva 2019/1153 un accesso «immediato e non filtrato» alle Sos ma l’Italia sta aderendo in ritardo e solo in parte. Il tema è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare del deputato veneziano del gruppo misto Alvise Maniero il 23 settembre 2020, che partendo proprio dallo scandalo Mose ha ricordato la successiva scoperta di un «ampio giro di evasione e riciclaggio in cui sono stati coinvolti commercialisti, imprenditori e società off-shore che operavano all’estero» e ha chiesto al governo «quali siano i risultati conseguiti con l’approfondimento delle Sos», riferendosi in particolare «a quelle relative a persone politicamente esposte o ai gradi apicali degli stessi organi di controllo». Non ha ricevuto risposta.
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