- Se ordiniamo una “musaka” in Egitto, Turchia o nel resto del medio oriente non ci verrà servito nulla che contenga besciamella, ma qualcosa di molto diverso dal piatto greco che conosciamo.
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Questo perché la moussaka non è un piatto greco. Anzi no, lo è, dipende solo dal punto di vista e, soprattutto, dipende da cosa sia davvero la moussaka.
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Al centro di questa storia di contaminazioni culturali c’è Nikolaos Tselementes, il Pellegrino Artusi dell’Ellade, che ha riscritto la tradizione culinaria del suo paese.
Sul tetto dei ristoranti in centro a Luxor bisogna arrivar presto, perché le luci che illuminano il tempio e la via trionfale di sfingi si spengono intorno alle ventuno, con buona pace dello spettacolo che sarebbe cenare con la storia.
Se, come me, accadesse di attardarsi al suq, bisognerebbe allora concentrarsi esclusivamente sul cibo e constatare, ad esempio, che ordinando un piatto di “musaka” non ci verrà servito nulla che contenga besciamella. Melanzane certo, pomodori, a volte agnello macinato ed altre un fondo agrodolce, ma di besciamella nemmeno l’ombra.
La stessa scena si ripresenterebbe in una locanda ad Ankara, un po’ in tutta la penisola araba, e di certo nel resto del levante non andrebbe meglio. A questo punto, se il greco girovago fosse stato un italiano, avrebbe probabilmente cominciato a maledire il povero ristoratore autoctono di turno, come se avesse trovato dei funghi nella carbonara: bastardo infedele, questo non è il piatto più famoso di casa mia. Il problema è che, buone maniere a parte, l’italiano avrebbe anche le sue ragioni. Ma non il greco. Questo perché la moussaka non è un piatto greco. Anzi no, lo è, dipende solo dal punto di vista e, soprattutto, dipende da cosa sia davvero la moussaka.
La storia
Scavando nella storia, un piatto concettualmente molto simile a quello che mi è stato servito sulla terrazza di Luxor viene descritto in un curioso libretto di ottocento anni fa. Si chiama, in inglese, A Baghdad cookery book ed è il ricettario più completo tra quelli più antichi del mondo, con centinaia di preparazioni scrupolosamente descritte e, come tutti i libri di cucina medievale, probabilmente immangiabili ai giorni nostri.
Quell’accrocchio di melanzane e pomodori, invece, ha superato la prova dei secoli diffondendosi un po’ in tutto il medio oriente, diventando più contemporaneo, evolvendo come sempre le ricette fanno, ma di fatto restando abbastanza fedele a sé stessa. Ovunque, anche in Grecia, dove l’influenza della cucina turca (per la quale lo stesso libro di Baghdad, tradotto in lingua locale, è stato il primo vero ricettario nazionale) è sempre stata la più invasiva.
L’Artusi greco
Poi un giorno è nato Nikolaos Tselementes. Per fare un paragone non troppo accurato, ma comprensibile, Tselementes è stato per la cucina greca quello che Pellegrino Artusi è stato per la nostra. E anche di più: il suo cognome oggi è diventato un nome comune di cosa, usato come sinonimo di ricettario, «passami quello tselementes in cima allo scaffale, per favore».
A differenza dell’Artusi, però, Tselementes era un cuoco. Muove i suoi primi passi nelle cucine di famiglia, poi viaggia, in Europa e in America: in questi anni di cucine d’hotel e d’ambasciate il cuoco della piccola isola di Sifnos diventa un grande chef, versato nelle arti dell’unica cucina riconosciuta, ai tempi, come accettabile dai ricchi di tutto il mondo. Quella francese, ça va sans dire. Al suo ritorno in Grecia, tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta, pubblica un libro di cucina che diventerà IL libro di cucina greca, l’Artusi dell’Ellade: Odigos Mageirikis, “manuale di cucina”.
Il fatto che nel titolo non ci sia la parola “greca” è un riassunto di tutto il concetto. Perché le ricette contenute in quel manuale non erano greche, o almeno non ancora. Sulla moussaka, come sui makaroni, stava per essere versata la prima colata di besciamella che avessero mai visto. Una besciamella spessa, alla francese, a cui non sarebbe bastato quel pizzico di cannella in più per diventare un elemento autoctono.
Tselementes porta il suo bagaglio di preparazioni di haute cuisine e prova ad incastrarle nelle ricette tradizionali, come il primo uomo che a una carrozza abbia pensato di togliere i cavalli e aggiungere un motore a scoppio. L’esperimento aveva tutti i presupposti per essere fallimentare, le nuove tecniche avrebbero potuto essere troppo provanti per la massaia di Patrasso, le comunità locali avrebbero potuto rifiutare in blocco l’elemento alieno, o ancor più semplicemente ignorarlo, la fine peggiore in cui un’opera innovativa possa incappare. Invece, per qualche strano motivo, ha funzionato.
Nel giro di qualche lustro della moussaka preparata senza besciamella, della makaronopita avvolta semplicemente di pasta filo non c’era più quasi memoria, e l’uso comune ha di fatto riscritto la storia, una storia in cui la moussaka è un piatto a base di carne, melanzane e besciamella.
Nella comunità gastronomica ellenica la rivoluzione di Tselementes è tuttora un argomento di conversazione e, riducendo ai minimi termini, ci si chiede se la cucina greca sia ancora greca, dopotutto. Quando troverete a domandarvi quanto un libro possa cambiare il mondo, pensate a Tselementes. Certo, il Vangelo sarebbe una risposta più suggestiva, ma quello non contiene la ricetta della moussaka.
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