- Morire nelle mani dello Stato, senza che questo sappia chi tu sia. È questa la versione che emerge dai gestori e responsabili del Centro per Rimpatri di Torino sulla morte di Musa Balde, il 23enne che si è tolto la vita nella notte tra il 22 e il 23 maggio scorso dopo essere stato aggredito il 9 maggio da tre italiani. Adesso la procura indaga per istigazione al suicidio.
- «Chi operava nella struttura non era a conoscenza che Musa fosse il ragazzo picchiato a Ventimiglia. Com’è possibile?», ha detto a Domani Marco Grimaldi, consigliere regionale di LeU dopo un sopralluogo al Cpr
- Da quanto racconta il consigliere, Musa aveva raccontato di essere caduto e non sapeva di essere diventato un caso mediatico dopo il video che ritraeva il suo pestaggio.
Morire nelle mani dello Stato, senza che sappia chi tu sia. È questa la versione che emerge dai gestori e responsabili del Centro per Rimpatri (Cpr) di Torino sulla morte di Musa Balde, il migrante 23 enne proveniente dalla Guinea che si è tolto la vita nella notte tra il 22 e il 23 maggio scorso. Musa era stato aggredito a colpi di spranga il 9 maggio scorso da tre italiani a Ventimiglia e la procura indaga per istigazione al suicidio. Gli operatori della struttura hanno raccontato di non essere stati a conoscenza dell’accaduto prima della sua morte.
Il racconto del consigliere
«Ci è stato detto che finché non è morto non sapevano chi fosse. Chi operava nella struttura non era a conoscenza che Musa fosse il ragazzo picchiato a Ventimiglia. Com’è possibile che in una settimana trascorsa lì nessuno abbia informato chi di dovere?», ha detto a Domani Marco Grimaldi, consigliere regionale di Liberi e uguali uscendo dal Cpr dopo un sopralluogo martedì 1 giugno insieme al consigliere del Partito Democratico Domenico Rossi.
Una visita che Grimaldi ha chiesto incessantemente per una settimana: «Troppe fughe di notizie: maggiore trasparenza avrebbe forse aiutato a capire prima gli eventi. Le istituzioni devono avere libertà di accesso immediata in questi luoghi».
Il racconto
Dal racconto del consigliere pare anche che Musa avesse raccontato di essere caduto. E che non sapesse di essere diventato un caso mediatico dopo il video che ritraeva il suo pestaggio da parte di tre italiani. «Qui abbiamo una Questura, quella di Imperia, che sembra non abbia segnalato la delicata vicenda di Musa e questo neanche l’Asl. Il giudice che ha convalidato avrebbe dovuto dare almeno un permesso di soggiorno provvisorio per motivi giuridici, qui la parte lesa era il ragazzo», aggiunge Grimaldi.
Anche per questo gli atti della brutale aggressione subita dal 23enne originario della Guinea sono entrati nel fascicolo di inchiesta della procura di Torino. Che indaga, al momento contro ignoti, per istigazione al suicidio. L’ipotesi di reato vuole mettere in contatto le due fasi della storia.
La questura
La Questura di Torino dalla sua dice di aver appreso del pestaggio di Musa soltanto dopo il suicidio. Qualcosa insomma non ha funzionato nel passaggio di consegna tra Imperia e Torino: Musa non avrebbe dovuto essere lì, vista l’aggressione che aveva subito. In particolare non dentro all’Ospedaletto, una zona separata dal resto del Cpr, composta da 12 cellette pollaio, di tre metri quadrati, senza telecamere di sorveglianza.
Il caso particolare di Musa sarebbe almeno dovuto emergere durante l’udienza di convalida da parte di un giudice di Pace, obbligatoria per l’ingresso al Cpr. Ma queste sono di solito delle formalità di pochi minuti in cui non si discute realmente il singolo caso, il fatto di non possedere documenti è sufficiente per stabilire l’ingresso: «Avendo letto qualche centinaio di verbali di convalida immagino che questo profilo non sia emerso o che sia emerso e ritenuto irrilevante - spiega Massimo Veglio, avvocato dell’Asgi -, ma si possono solo fare speculazioni, anche se mi chiedo com’è possibile che la documentazione medica non fosse al seguito, visto che aveva transitato per un ospedale. Stesso discorso per la compatibilità per fare vita in comune, fatta invece dai medici del Cpr».
Le risorse dentro ai Cpr sono scarsissime e seguire tutti i detenuti impossibile. Il capitolato dice un infermiere e un medico, per 24 e 6 ore al giorno. I tagli dovuti ai decreti sicurezza Salvini hanno ridotto tutti i servizi: 16 ore settimanali di assistenza psicologica per 100 persone, altrettante di assistenza legale, gli operatori diurni sono quattro, solo due quelli notturni.
L’avvocato di Muse
«Ho incontrato Muse per la prima volta giovedì e poi venerdì, ho subito segnalato che aveva disagi psichiatrici, ma i tempi lì sono lentissimi», racconta Gianluca Vitale, avvocato di Muse, subentrato solo in un secondo momento, dopo l’affidamento di un avvocato d’ufficio. Vitale ha anche «presentato un esposto in Procura per capire se il giovane ha avuto adeguata assistenza psicologica. Quello che è stato detto al consigliere Grimaldi sposta solo un po’ la colpa verso la questura di Imperia, ma a me poco cambia. La responsabilità è sempre dello stato, hanno sbagliato tutti».
Intanto le associazioni dei Guineani residenti in Piemonte, Nakiri Comunità Guineana a Torino, Accoglienza Controvento, Carovane Migranti, LasciateCIEntrare, Re.Co.Sol Rete Comuni Solidal hanno lanciato una raccolta fondi per riportare la salma di Musa in patria: «Nessun governo - dicono - lo farà mai al posto nostro».
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