L’influencer italo indiano ha un profilo Instagram da circa 100mila follower con cui sta contribuendo a far conoscere al pubblico italiano la cucina indiana
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Ci sono prove che già nel 3000 a.C. le civiltà della Valle dell'Indo avessero addomesticato lo zebù e coltivassero sesamo, melanzane, cardamomo, pepe nero, curcuma e senape. Con l’avvento del buddismo una parte della popolazione abbracciò il vegetarianesimo, facilitato da un clima in cui cereali, frutta e verdura potevano essere coltivati tutto l’anno. Se le invasioni musulmane videro al potere conquistatori carnivori, la colonizzazione inglese introdusse la tradizione del tè, formalizzò la ricetta del curry e portò alla nascita della cucina angoindiana. Il curry viene menzionato in quasi tutti i libri di cucina dell'era vittoriana tra cui il Modern Cookery for Private Families, un popolarissimo ricettario del 1845, che spiega come usare la salsa al curry per cucinare le frattaglie e i maccheroni, ibridando spezie indiane e piatti inglesi. Non è un caso quindi che nel mondo anglosassone il cibo indiano sia più diffuso, conosciuto e amato che in Italia.
Nehal Uddin, di origine indiana ma nato e cresciuto in Italia, con il suo profilo Instagram da quasi 100mila follower sta contribuendo a far conoscere la cultura gastronomica dell’India al pubblico italiano. I video che carica quasi quotidianamente lo vedono cimentarsi nella preparazione dei piatti della tradizione, senza temere contaminazioni ed esperimenti. Sono video efficaci perché brevi, piacevoli da vedere, a loro modo ipnotici. E soprattutto riescono nel loro intento: far venire una gran voglia di cucinare. La voce fuori campo di Nehal guida i follower passo dopo passo, dal soffritto alle guarnizioni finali.
Abbiamo parlato di radici, stereotipi, contaminazioni e adattamenti.
Com’è nata la sua passione per la cucina e il desiderio di condividerla?
Io sono nato in Italia da genitori indiani, o meglio bengalesi figli di indiani, io dico India intendendo la macroregione. Mia mamma mi ha avuto a 19 anni e non sapeva bene come crescere quindi sono stato in parte cresciuto da una signora italiana, la moglie dell’allora capo di mio papà, che aveva imposto delle regole: avrei dovuto imparare bene l’italiano e avrei mangiato cibo italiano almeno una volta al giorno. Pranzavo italiano e cenavo indiano, tutti i giorni. Questo è un fatto che mi ha portato a sviluppare una familiarità e una passione per entrambe le culture. Crescendo ho imparato a cucinare indiano osservando mia madre, che è quella che cucina tutti i giorni a casa mia. I primi feedback positivi sono arrivati dai miei amici. Erano incuriositi, molti di loro si sono appassionati ai miei piatti, allora ho pensato che fosse qualcosa che poteva interessare anche altre persone.
Quindi ha iniziato a caricare dei video su Instagram dicendoti "vediamo come va”?
In realtà il progetto è stato fin dall’inizio piuttosto strutturato perché è nato insieme ad altre persone. Ma sì, di base si è trattato di una scommessa. Ci siamo detti: proviamo a proporre un format che racconti la cucina indiana in italiano usando me come veicolo, che sono un mix tra le due culture. Ha funzionato.
È diventato un lavoro?
Sì, anche se sto continuando a studiare. Part-time però, perché la creazione di contenuti sui vari social mi occupa gran parte del tempo. Studio finanza quantitativa, che sembra che non c’entri niente con la cucina ma io ci vedo un nesso divertente: gli indiani sono grandi amanti del buon cibo e allo stesso tempo quelli emigrati all’estero tendono ad essere ingegneri, matematici, a lavorare nella finanza. Rappresento lo stereotipo dell’indiano nel mondo, non quello dell’indiano in Italia, che è ben diverso.
Rappresenta l’indiano stereotipato delle serie americane.
Esattamente. Tra l'altro sono appena dopo due anni in America.
Quanti pregiudizi ci sono in Italia rispetto alla cucina indiana? In America va meglio?
Va meglio, ho notato una maggiore conoscenza ma è semplicemente una questione culturale. Negli Stati Uniti ci sono già sei o sette generazioni di indiani che sono nati e cresciuti lì, mentre io rappresento una delle prime generazioni nate e cresciute in Europa, nello specifico in Italia, quindi è normale che la cultura culinaria non sia così diffusa come nel mondo anglosassone o in Germania. Poi potrebbe esserci un altro fattore: l’Italia è un paese con un ricchissimo patrimonio culinario, quasi inesauribile. Questo fa sì che gli italiani forse sentano un minor bisogno di esplorare. Ma non è la ragione predominante e soprattutto sono convinto che le cose stiano cambiando, le nuove generazioni si aprono alle ibridazioni e alle novità, tanto sociali quanto culinarie.
A proposito di ibridazioni: sente di dover adattare le ricette tradizionali indiane a un gusto più vicino a quello italiano?
Non sento il bisogno di farlo per il gusto degli italiani, ma per me. Essendo cresciuto mangiando anche italiano adatto i piatti tradizionali al mio livello di tolleranza alle spezie. In più nelle mie ricette utilizzo spesso ingredienti come l’olio d’oliva, che in India non si usa, o i pomodori pelati, la passata, perché qua in Italia si trovano molto più regolarmente. Il succo del discorso qual è? Che adatto le ricette indiane alle mie esigenze personali e agli ingredienti che trovo in Italia, come ha sempre fatto mia mamma: è qualcosa che aiuta anche le persone che guardano i miei video a riprodurre i piatti, senza dover per forza reperire chissà quali ingredienti speciali. Credo sia una naturale evoluzione di una cultura culinaria che incontra un contesto diverso.
In alcune regioni dell’India la popolazione è vegetariana. Può essere un valore aggiunto oggi?
La cucina indiana è incredibilmente vasta e varia, le ricette cambiano moltissimo da una regione all'altra: ci sono vegetariani, vegani, onnivori o gruppi che escludono dalla loro dieta solo la carne bovina. Mi capita spesso di ricevere messaggi da persone intolleranti al glutine o che seguono diete vegetariane o vegane, che mi ringraziano per una ricetta facendomi notare che incontra le loro esigenze. Io non ci penso, per me si tratta di piatti normali, senza etichette. In effetti, la mia ratio inconsapevole è di due ricette vegetariane o vegane per ogni ricetta onnivora che preparo. Personalmente, però, consumo di tutto.
Sul suo profilo ogni tanto pubblica dei video nei quali collabora con altre realtà, facendo incontrare la tradizione indiana a quella regionale italiana. La diverte?
Molto. Mi aiuta a sperimentare cose nuove, a chiedermi costantemente cosa può funzionare e cosa no, quali sapori possono essere accostati e quali invece è meglio lasciare separati. D’altronde qualcuno a un certo punto avrà inventato la carbonara, no?
E meno male. Cucinare, oltre ad essere una pratica culturale è anche una forma di rispetto e cura per sé stessi?
Sì. Scegliere gli ingredienti, dedicare del tempo e dell’attenzione al processo, mangiare un buon piatto sono sicuramente forme di cura e amore per sé stessi, per il proprio benessere fisico ma anche mentale. Ma ho amici a cui cucinare non piace per niente: hanno altre passioni e va bene così. Non ce n’è una migliore di un’altra.
Dopo tutti questi anni di pratica, cucina meglio Lei o è ancora più brava sua mamma?
Eh allora, questa è difficile (ride, ndr)... Diciamo che io cucino meglio italiano ma lei è ancora molto più brava sul cibo indiano, ha l’esperienza della sua parte.
Chiudiamo con una provocazione. Cosa cucinerebbe a un razzista?
Per fortuna non mi capita quasi mai di incontrare persone effettivamente razziste, o che me lo manifestino, ma se mi capitasse cucinerei i piatti più famosi, il pollo al curry per esempio. Mi è capitato spesso di cucinare a persone non razziste ma con molti pregiudizi su altre culture culinarie e vado sempre sui grandi classici: di solito se ne innamorano. Bisogna un po’ giocare sullo stereotipo.
I pregiudizi che origine hanno?
Sa, a volte il pregiudizio per quanto riguarda il cibo vengono da video che diventano virali su Instagram o TikTok e mostrano street food indiano, mettendo in risalto posti che cucinano senza rispettare nessuna norma igienica e che per questo scandalizzano. L’effetto però è che la gente inizi ad associare il cibo indiano a qualcosa di negativo, di non curato, addirittura di pericoloso. Quando però si capisce o si vede che i piatti indiani possono essere anche cucinati in una cucina pulita – ovviamente! - con buoni ingredienti, e si decide ad assaggiare, quasi sempre si cambia idea.
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