«Io ho fatto 5 giorni e perso quasi 5 kg, oggi ho staccato, Paola inizia giovedì fino a domenica, poi rinizio io. Siamo una quindicina per gruppo, attacchiamo e stacchiamo a rotazione, tot 57 donne» questo il messaggio di una delle detenute del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, in sciopero della fame dal 5 settembre. Una protesta condivisa con il comitato Mamme in piazza per la libertà di dissenso.

La protesta pacifica delle donne recluse nelle sezioni 1, 2 e 3 dell’istituto, che si alternano in staffetta e a oltranza, è stata indetta tramite una lettera indirizzata alla direttrice del carcere e rivolta a parlamentari, ministri e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere di intervenire contro il sovraffollamento nelle celle.

Nicoletta, una delle attiviste del comitato Mamme in piazza per la libertà, tra i gruppi della società civile che sostengono lo sciopero, è tra coloro che riescono ad avere notizie dalle donne recluse. «Ci teniamo in contatto con loro con difficoltà – dice – Ci chiedono di essere informate su chi si sta attivando all’esterno per dare voce alla loro protesta, perché per loro è molto difficile tenere su il morale e portare avanti lo sciopero. Sono organizzate a gruppi da 15 persone e si danno il cambio periodicamente».

Emergenza sovraffollamento

Solo nel 2023, nel carcere di Torino, si sono verificati quattro suicidi e 57 tentativi di suicidio, 135 atti di aggressione, 159 di autolesionismo, 255 atti di protesta individuale tramite sciopero della fame, sete o rifiuto delle terapie e 15 proteste collettive.

«In queste strutture fatiscenti e insalubri si fa fatica a gestire un’esistenza» scrivono nella lettera le 57 detenute che aderiscono allo sciopero. Il loro intento è quello di richiamare l’attenzione pubblica su una situazione definita di «emergenza totale nelle carceri». «Affinché – si legge ancora nella lettera –  venga concessa qualsiasi misura che riduca il sovraffollamento e/o la liberazione anticipata speciale di 75 giorni».

Nel rapporto annuale della garante torinese dei diritti delle persone private della libertà, Monica Cristina Gallo, si legge che la percentuale di sovraffollamento nelle celle del Lorusso e Cutugno varia, a seconda delle sezioni, dal 156 al 191 per cento.

La presenza media è di circa 1.200 persone, a fronte dei 990 posti totali previsti per uomini, donne e donne con bambini all’interno della struttura. Circa il 52 per cento dei detenuti e delle detenute, inoltre, sta attualmente scontando una pena residua minore di tre anni e quindi potrebbe richiedere misure alternative attivate presso il proprio domicilio.

La lettera delle detenute

Personale sotto organico

I problemi riguardano anche il personale sotto organico. Secondo il rapporto della garante, mancano i vicedirettori, necessari per garantire le numerose attività nella struttura, e gli agenti, almeno il 20 per cento di loro. Questo obbliga chi lavora a turni stressanti in condizioni di continua emergenza.

Ma a mancare sono anche gli educatori, gli psicologi e gli psichiatri. Sono solo due i mediatori culturali, a fronte di una popolazione straniera di circa 600 persone di 40 diverse nazionalità. A Torino è gravemente sottodimensionato anche il personale degli uffici del tribunale di sorveglianza e degli uffici di esecuzione penale esterna, responsabili di decidere i permessi, le uscite e gli sconti di pena, che in questo modo vengono concessi dopo mesi, in alcuni casi addirittura anni, oppure non vengono concessi affatto.

Alice Ravinale è una delle consigliere regionali del gruppo Alleanza Verdi Sinistra che, da quando è iniziata la protesta, ha fatto un sopralluogo all’interno del carcere, incontrando le donne recluse. «Ciò che colpisce è la dimensione comunitaria del loro sciopero: non stanno lamentando una situazione di alcune di loro, ma denunciano la situazione carceraria allo sbando nel suo complesso, comprese le condizioni in cui lavora il personale penitenziario, e la mancanza assoluta di provvedimenti per garantire la tutela dei diritti dei detenuti» dice Ravinale.

Tra loro ci sono donne che hanno subito interventi chirurgici in attesa, da tempo, delle cure necessarie, persone con gravi problemi psicologici abbandonate a sé stesse, altre sottoposte a terapie inadeguate e all’abuso di psicofarmaci. Accanto a donne che restano in queste condizioni per anni, ce ne sono altre che entrano in carcere per reati minori e affrontano tutto questo anche per poche settimane. «Una delle detenute che ho incontrato sta facendo tre mesi di carcere per un furto e ha perso il suo lavoro di badante» racconta Ravinale.

Un anno fa il ministro della Giustizia, Carlo Nordio ha visitato il carcere torinese, ma da allora la situazione è rimasta invariata. «Il decreto carceri di inizio agosto che avrebbe dovuto affrontare il problema del sovraffollamento a oggi è rimasto del tutto inapplicato e le detenute chiedono di approvare il progetto di legge Giachetti, per la liberazione anticipata speciale» prosegue Ravinale. Una misura, quella della liberazione anticipata speciale sotto i 75 giorni di reclusione, che è già stata introdotta tra 2010 e 2015, quando l’Italia è stata sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo perché il sovraffollamento carcerario era diventato ancora una volta insostenibile.

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