Modena, come Reggio Emilia e Piacenza, è terra di conquista dei clan. Ma la procura si distingue per lo sforzo sulle proteste dei dipendenti sottopagati delle finte cooperative che lavorano per grandi aziende. Tra il 2017-2023 sono finiti a processo in circa in 600 per fatti legati alle vertenze sindacali
Nel febbraio 2019 Luigi e una cinquantina di altri lavoratori dell’Ups di Carpi, in provincia di Modena, hanno scioperato davanti al loro stabilimento. Al centro della protesta c’era il reintegro di un loro collega e le condizioni di lavoro ritenute difficili e precarie. I lavoratori si sono radunati verso le cinque del pomeriggio davanti ai cancelli, con l’obiettivo di bloccare l’uscita delle merci. Il picchetto è andato avanti tutta la notte, poi all’alba sono arrivate le forze dell’ordine e i lavoratori se ne sono andati.
Lo sciopero ha funzionato perché i lavoratori hanno ottenuto una stabilizzazione dei loro inquadramenti, ma dopo un po’ di tempo a Luigi e a un’altra dozzina di persone è arrivata una denuncia della Digos per violenza privata. «Sul territorio modenese la strategia della procura e della questura è quella di attaccare quante più persone possibili attraverso questo tipo di procedimenti», denuncia Luigi. Un trend che il sindacato Si Cobas ha definito «l’anomalia giudiziaria modenese», visti i numeri record in Italia.
Repressione modenese
Negli ultimi anni il territorio modenese è stato interessato da numerose vertenze sindacali, spesso legate a una pratica molto diffusa sul territorio: il ricorso più o meno trasparente al subappalto di manodopera da parte di molte aziende. La vertenza che ha fatto più rumore ha riguardato probabilmente l’azienda di pizze surgelate Italpizza. La decisione di esternalizzare una buona parte dei lavoratori e affidarsi alle cooperative, che si è accompagnata a una drastica precarizzazione delle condizioni di lavoro, ha portato all’inizio di una stagione di scioperi e picchetti nel 2018. E alla fine l’Italpizza è tornata sui suoi passi.
Un’altra vertenza importante è stata quella dell’azienda di trasformazione carni Alcar Uno. Anche qui l’oggetto del contendere è stato l’affidamento alle cooperative e anche qui si sono susseguiti scioperi e picchetti che hanno coinvolto decine di lavoratori. Vertenze sindacali simili hanno poi riguardato il Prosciuttificio San Francesco, l’azienda di lavorazione di carni suine Fiorani Spa, le compagnie di spedizioni Gls e Ups e molte altre.
Questa stagione modenese di vertenze sindacali si è accompagnata a un’altra stagione: quella repressiva nei confronti di lavoratori, attivisti e giornalisti. Da una parte il sindacato Si Cobas, che ha portato avanti scioperi e picchetti puntando in particolare sul blocco delle merci con presidi davanti ai cancelli. Dall’altra aziende, forze dell’ordine e la procura modenese, che hanno considerato illegittimi questi metodi di protesta. Le prime hanno spesso denunciato i loro lavoratori, le seconde sono intervenute sistematicamente con cariche e gas lacrimogeni, la procura, infine, ha chiesto il rinvio a giudizio per centinaia di persone.
Record di processi
Nel periodo 2017-2023 a Modena sono finiti a processo in circa in 600 per fatti legati alle vertenze sindacali. Si tratta di 593 imputazioni tra lavoratori e sindacalisti, 150 imputazioni per reati politici e sociali come manifestazioni, volantinaggi, occupazioni dimostrative e 13 procedimenti a carico di giornalisti e semplici cittadini per quello che hanno scritto su giornali e social.
Se nel caso dell’Ups l’accusa per Luigi e gli altri lavoratori è stata di violenza privata, in altri casi ha riguardato resistenza, blocco stradale e manifestazione non autorizzata. L’elenco dei procedimenti penali degli ultimi anni è davvero lungo, con oltre 40 casi diversi. Ci sono per esempio i 33 procedimenti per lo sciopero alla Gls dell’1 aprile 2019, i 111 per i picchetti alla Alcar Uno a inizio 2017, o i 121 per le proteste all’Italpizza tra il 2018 e il 2019. Una repressione che non ha eguali numerici in Italia rispetto alla popolazione.
«Abbiamo scoperchiato quel sistema di appalti e subappalti spesso illeciti su cui si basa l’economia modenese e per questo ne subiamo le conseguenze. Ogni volta che lanciamo un picchetto veniamo repressi», denuncia il sindacalista Marcello Pini. Oltre alle denunce, i partecipanti agli scioperi – spesso di origine straniera – hanno subito misure come fogli di via, avvisi di cambio condotta, cittadinanze negate, ritiri di permessi di soggiorno. «È un attacco al diritto di sciopero», dice Pini, «lo zelo del tribunale modenese nel perseguire operai e attivisti stride con l’immobilismo su altri fronti».
Dai lavoratori ai detenuti
Le circa 600 persone imputate per le vertenze sindacali oscurano altri problemi che riguardano il modenese. Un territorio dove per esempio la criminalità organizzata è ben radicata, tanto che nel 2020 il capoluogo emiliano era secondo in Italia per reati di associazione a delinquere e quattordicesimo per quelli di associazione di stampo mafioso.
Nel passato recente un altro fatto ha segnato la città, la strage nel carcere Sant’Anna del marzo 2020. La procura modenese ha archiviato nel giro di un anno le otto morti, attraverso un breve documento in cui si dice che è stato fatto tutto il possibile per salvarle. Anche le indagini a carico di 120 agenti accusati di torture e lesioni hanno ottenuto richiesta di archiviazione, così come l’indagine per molestie e abuso d’ufficio contro il comandante di polizia che aveva guidato le operazioni durante la rivolta. Solo un’indagine resta in piedi al carcere di Modena: quella a carico dei detenuti che parteciparono alla sommossa.
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