Non c’è ricerca scientifica che dimostri che lo smartphone diminuisca le capacità intellettive dei giovani. Infelicità e solitudine sono la causa e non l’effetto dell’uso eccessivo dei cellulari e dei social
Pochi giorni fa, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha annunciato che «nelle nuove Linee guida sull’educazione alla cittadinanza, che sono in via di elaborazione, sarà contenuta la seguente dizione: “È opportuno evitare l’utilizzo dello smartphone nelle scuole d’infanzia, primarie e secondarie di primo grado”. Si consiglia invece un uso solo didattico del tablet per le scuole primarie». Insomma, i cellulari saranno proibiti in classe, negli asili, alle elementari e alle medie.
Valditara non ha fatto altro che ribadire una circolare da lui inviata a tutte le scuole nel dicembre 2022, appena dopo il suo insediamento, in cui vietava di utilizzare il cellulare in classe perché, sosteneva: «Distrarsi con i cellulari non permette di seguire le lezioni in modo proficuo ed è inoltre una mancanza di rispetto verso la figura del docente. Una recente indagine conoscitiva della VII commissione del Senato ha anche evidenziato gli effetti dannosi che l’uso senza criterio dei dispositivi elettronici può avere su concentrazione, memoria, spirito critico dei ragazzi». Insomma, per Valditara i cellulari sono il male assoluto.
Che cosa dice la scienza
Se il ministro vuole proibire l’uso dei cellulari in classe perché gli alunni rischiano di distrarsi, si può essere anche d’accordo, ma se pensa che i cellulari siano la fonte di ogni guaio dei nostri giovani, come dimostrerebbe quell’indagine conoscitiva del Senato, si sbaglia di grosso. Perché non c’è una sola ricerca sociologica o scientifica che dimostri in maniera inoppugnabile che i cellulari o i social siano la causa del malessere dei giovani.
L’indagine conoscitiva della VII commissione del Senato della precedente legislatura, terminata nel giugno 2021 e firmata dal relatore Andrea Cangini – poi – è un manifesto di rara sciatteria scientifica, ai limiti del complottismo. Si apre con queste parole: «Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscolo-scheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminuzione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica...Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani».
Quindi, i nostri giovani stanno diventando scemi, depressi, ansiosi, e pure gobbi, e si ammalano di diabete, tutto per colpa di questi dannati telefonini. Se dire che i telefonini causano il diabete è una tesi risibile che non vale neanche la pena di smentire, nessuno studio al mondo prova che i cellulari diminuiscano le capacità intellettive dei giovani.
È vero, in Italia e nel mondo negli ultimi dieci anni tra i giovani è scoppiata un’epidemia di disturbi mentali. I casi di depressione, di disturbi del comportamento alimentare, di autolesionismo sono aumentati vertiginosamente, specie dopo la pandemia di Covid-19. Qual è la causa? A sentire il ministro Valditara, accade perché i giovani stanno sempre sui social, si isolano, e così diventano depressi, e alla peggio si suicidano. Peccato che non sia vero nulla.
La capofila di questa teoria è Jean Twenge, una professoressa di psicologia dell’Università di San Diego, negli Usa. Ha scritto un libro molto in voga, intitolato iGen, dove i sta per iperconnessi, il cui sottotitolo recita: “Perché i giovani iper-connessi di oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e completamente impreparati per l’età adulta”.
Ma la Twenge è un personaggio molto controverso. Non ha mai pubblicato studi di rilievo, e quelli che produce sono zeppi di difetti. In un suo articolo comparso sulla rivista Emotion, intitolato “La diminuzione del benessere psicologico tra gli adolescenti americani dopo il 2012 è legato al tempo passato davanti a uno schermo durante la diffusione della tecnologia degli smartphone”, la Twenge ha preso in esame i dati del vasto rapporto Monitoring The Future, cioè “Monitorando il futuro”, stilato dal governo americano: ogni anno circa 50.000 studenti delle scuole medie e superiori vengono intervistati per valutare i loro comportamenti, le loro attitudini e i loro valori. Così, ha trovato che circa il 13 per cento degli studenti di terza media e seconda liceo che passano da 1 a 2 ore a settimana sui social “non sono felici”; tra quelli che passano da 10 a 19 ore a settimana sui social i “non felici” sono il 18 per cento; tra coloro che passano 40 o più ore a settimana sui social i “non felici” salgono al 24 per cento.
Quindi, la correlazione è chiara: più tempo passi sui social e più sei infelice. Però, la Twenge si dimentica di dire che tra gli studenti di quarta liceo questa correlazione svanisce, dato che la loro infelicità non aumenta col numero delle ore passate sui social. E come mai 8 giovani su 10 che soffrono di depressione sono di sesso femminile? Gli smartphone hanno effetto solo sulle ragazze? Se la teoria reggesse, poi, un adolescente che passa zero ore a settimana sui social dovrebbe essere felicissimo e per niente depresso: invece, lo stesso rapporto dimostra che gli adolescenti che passano zero ore davanti a un telefonino sono più infelici dei loro pari che ci restano attaccati ore e ore a settimana.
«La Twenge aggiusta i dati come piace a lei», sostiene Katherine Keyes, della Columbia University. E, come dicono gli scienziati anglosassoni, “correlation is not causation”, ovvero trovare una correlazione tra due fenomeni non significa che uno sia causa dell’altro.
Le vere cause
Per la Twenge, i cellulari causano il malessere psichico dei giovani, ma quasi tutti gli scienziati e molti studi scientifici mostrano che questo nesso di causalità andrebbe rovesciato: se io sono un adolescente infelice allora mi attacco allo schermo del telefonino proprio per fuggire dalle cose della mia vita che mi rendono infelice – come una famiglia disfunzionale con genitori che non ti parlano e non ti considerano perché sono troppo presi dalle loro preoccupazioni, una società che ti dice che se vuoi avere successo devi competere e primeggiare, e che ti offre un futuro incerto di poco lavoro e salari bassi – e non viceversa.
«Molti giovani che soffrono di un disturbo psichico e si sentono soli e non ascoltati dai genitori vanno sui social per trovare altri giovani come loro con cui confrontarsi e confidarsi», mi ha detto lo psichiatra Sergio De Filippis. «Molto spesso capiscono di non essere soli e decidono di rivolgersi a noi psichiatri, anche contro il volere dei genitori».
Vari studi scientifici hanno dimostrato che i like ottenuti sui social attivano i centri del piacere e della ricompensa del cervello e quindi fanno sentire i giovani meno isolati e più felici. Molti studi dimostrano che i cellulari possono migliorare le capacità mnemoniche e cognitive dei ragazzi, sviluppare le loro abilità sociali e aiutare i giovani a sviluppare una migliore resilienza psicologica.
Tesi populista
Valditara e molti politici conservatori come lui devono sempre trovare un facile capro espiatorio da punire. L’economia italiana non va? Colpa dell’immigrazione, e non del neoliberismo che abbassa i salari e sfrutta i lavoratori. I giovani sono infelici e depressi? Colpa dei cellulari e dei social, e non di noi adulti che gli lasciamo in eredità un mondo squassato dalle disuguaglianze e sull’orlo del disastro climatico. E, soprattutto, populisti dimenticano l’effetto dei fattori economici sulla vita di tutti noi.
I nostri giovani stanno male, sono infelici e depressi? Colpa dei social e dei cellulari. E non della paura per un presente ostile – da cui fuggono rifugiandosi sui social – e per futuro incerto in cui temono che saranno sfruttati e poveri.
© Riproduzione riservata