Una nuvola di fumo rosso offusca i volti già coperti di una decina di studenti che con la vernice bianca scrivono proprio sotto la scalinata, ai piedi della sede del ministero dell’Istruzione e del Merito a Roma, «ministero della guerra».

Poco prima un altro gruppo di manifestanti aveva incollato alcune bandiere della Palestina al muro che precede l’ingresso. «Perché vogliamo la Palestina libera. Non siamo complici di questa guerra, non siamo complici del genocidio», dicono dal microfono gli studenti dei collettivi delle scuole romane che si alternano negli interventi, separati, uno dall’altro, dal coro: «Siamo tutti antifascisti» a cui partecipano tutti, infatti. Anche i passanti che solo per caso attraversano viale Trastevere nello stesso momento.

«Intanto una nostra delegazione sta aspettando di essere ricevuta dal ministro Giuseppe Valditara, per parlare di come dovrebbe essere la scuola che siamo noi a vivere tutti i giorni. Per aprire un dialogo invece dello scontro», spiega Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete degli studenti medi, il sindacato studentesco che insieme a Osa, Opposizione studentesca d’alternativa, l’Udu, Unione degli universitari, Cambiare Rotta e Fgc, Fronte della gioventù comunista, ha organizzato la piazza romana del “No Meloni day 2”, il giorno in cui gli studenti di tutta Italia sono scesi nelle strade del paese per manifestare il loro dissenso contro il governo di Giorgia Meloni e i suoi ministri. Per attirare l’attenzione su scelte e indirizzi politici repressivi e pericolosi che entrano anche dentro il mondo dell’istruzione pubblica.

«Liberiamo il Paese da un governo che usa indiscriminatamente repressione e censura su chiunque non la pensi come loro. Non possiamo accettare che leggi come il Ddl sicurezza, la riforma del voto in condotta, il decreto Rave, il decreto Caivano siano la prassi con cui zittire e criminalizzare le giovani generazioni e non solo», spiega Notarnicola: «Liberiamo il Paese, rovesciamo il governo è lo slogan che accompagna la nostra manifestazione. Perché per fortuna è ancora possibile farlo con strumenti democratici, come il referendum».

A raccontare che la repressione si sente forte anche dentro le scuole, «che cadono a pezzi mentre i soldi pubblici vengono utilizzati per finanziare le industrie che producono armi», sono stati, infatti, gli studenti che dei collettivi delle scuole superiori che già da prima di raggiungere la sede del Mim si sono alternati alla testa del corteo per parlare. Come Mario, del Liceo Stanislao Cannizzaro che sottolinea: «Vogliono toglierci il diritto di assemblea, vogliono chiudere i centri sociali, toglierci gli spazi di dialogo; vogliono impedire con qualsiasi mezzo l’espressione di ogni idea antigovernativa e più in generale antifascista. Ma noi studenti non ci fermiamo, difendiamo con ogni mezzo le nostre libertà e i nostri diritti, la nostra Costituzione e la nostra Italia libera, democratica e antifascista».

O come chiarisce anche Ernesto, di Osa: «Siamo contro questo governo perché ha le mani sporche di sangue. Siamo arrabbiati perché ci tolgono i soldi per metterli nelle spese militari. Facciamoci sentire». Nonostante le idee molto nette degli studenti, qualche fumogeno e petardo, e gli slogan chiari gridati contro l’operato del governo Meloni, a Roma il corteo, partito da Ostiense alle 9 del mattino che ha attraversato le strade della città per arrivare fino al Mim verso le 12, è stato pacifico.

Scandito da cori, musica e voglia di vivere le piazze, incontrarsi, condividere tempo e pensieri: «Una cosa a cui da dopo il Covid siamo sempre meno abituati. Siamo in piazza perché anche noi sentiamo sempre più forte la crisi della formazione. Tra caro affitti, aumenti dei prezzi anche dei posti letto negli studentati, e definanziamento del trasporto pubblico, il diritto allo studio è sempre meno garantito», spiega Elettra del collettivo universitario Cambiare Rotta, proprio mentre un gruppo di studenti si posiziona davanti al primo striscione, si copre la bocca con un bavaglio rosso e lega i polsi con le manette: «Basta con la repressione, arrestateci tutti», gridano a pochi centimetri dal cordone della polizia che resta ferma.

Ma il “No Meloni day” non c’è stato solo a Roma: gli studenti delle scuole superiori e delle università di tutto il Paese si sono riuniti nelle piazze delle principali città italiane per sottolineare che con le scelte del governo attuale non sono d’accordo: da Padova a Palermo. A Bologna e Milano dove le foto di Meloni e suoi ministri coperte da mani sporche di sangue sono state sventolate come manifesti, fino a Torino dove è stato bruciato un fantoccio con la faccia di Valditara.

Il caso di Torino

Durante la manifestazione torinese ci sono stati scontri tra i manifestanti e il cordone di sicurezza delle forze dell'ordine davanti alla Prefettura, in piazza Castello. Alcuni manifestanti sono stati respinti mentre tentavano di raggiungere il portone dell'edificio. Un ordigno artigianale è stato lanciato tra gli agenti e 15 poliziotti dei reparti mobili sono stati curati al pronto soccorso per il contatto con esalazioni urticanti. Il corteo si è poi spostato davanti al rettorato e alla sede della Rai dove mezzi della polizia sono stati colpiti con aste di bandiere. «Certa politica smetta di giustificare violenze», replica in una nota la premier Meloni.

«Anche oggi abbiamo assistito a inaccettabili scene di violenza e caos in alcune piazze – scrive Giorgia Meloni – ad opera dei soliti facinorosi. Diversi agenti delle Forze dell’Ordine sono finiti al pronto soccorso a causa di ordigni e scontri. La mia totale solidarietà va a tutti gli agenti feriti, con l’augurio di una pronta guarigione. Spero che certa politica smetta di proteggere o giustificare queste violenze e si unisca, senza ambiguità, nella condanna di episodi così gravi e indegni».

«La violenza è intollerabile, così come la strumentalizzazione politica della violenza che non dovrebbe fare nessuno, in particolare modo chi ha responsabilità di governo», dice Elly Schlein a proposito dei fatti di Torino. «A nome di tutto il Pd esprimo solidarietà e vicinanza agli agenti delle forze dell'ordine feriti dai fumi urticanti di un ordigno artigianale a Torino. Il diritto alla protesta, a manifestare e a scioperare non può e non deve mai essere confuso con l'aggressione violenta nei confronti di nessuno».

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