Luigi Mazzone e Andrea Facci, neo presidenti delle due federazioni, hanno firmato la mossa coraggiosa di allontanare Stefano Cerioni ed Emanuela Maccarani, guide tecniche cariche di gloria antica e recente. Sono uniti da un approccio senza timori reverenziali e da un tentativo di puntare su promozione, allargamento della platea, valore sociale dello sport. Resta da chiedersi quanto è forte questo vento e quanto soffierà nella prossima campagna elettorale per il Coni
Non s’offendano. Ma Luigi Mazzone e Andrea Facci, i nuovi presidenti federali della scherma e della ginnastica, sono di gran lunga meno conosciuti dei tecnici azzurri che hanno deciso di non confermare. Stefano Cerioni, una specie di “panchina d’oro” del fioretto mondiale, ed Emanuela Maccarani, guida da 30 anni di tante generazioni di farfalle della ritmica, sono infatti dei personaggi monumento nei loro rispettivi ambiti. Per questo le decisioni delle ultime settimane sono quasi dei terremoti. Non si tratta della fisiologica sigla finale di un ciclo. Piuttosto di un diverso spartito che dalle prime note somiglia a una musica dal ritmo nuovo ma pure pieno di incognite.
Eppure dietro le due vicende, anche molto diverse fra loro, c’è qualcosa che non si limita ai nomi e ai cognomi e investe un vento, ancora un venticello anzi, che arriva nella stanza dei bottoni dello sport italiano. Perché Mazzone e Facci hanno più di qualcosa in comune. Intanto per l’età: a 51 e 40 anni si è sostanzialmente dei ragazzini in un ambiente riempito anche da presidenze eterne, statuti spesso fatti apposta per riprodurre il consenso di chi è al potere e cambi della guardia visti come fumo negli occhi.

I nuovi stimoli
Ma c’è un’altra cosa che li unisce: un approccio senza timori reverenziali, privo di quell’«oddio, sono l’ultimo arrivato, meno parlo e meglio è» che avrebbe reso impossibile l’adozione di decisioni in bilico fra il temerario e il coraggioso. E che possono anche, almeno a prima vista, somigliare a una trasposizione nel contesto sportivo di uno spoil system che privilegia lo schieramento al merito, quei «labirinti politici» a cui ha illuso qualche settimana fa Cerioni nella sua durissima reazione alla decisione federale.
L’ormai ex gran capo del fioretto italiano aveva definito la scelta del suo licenziamento «assurda, illogica e ingiusta». Mazzone ha risposto senza alzare la voce: nessuna bocciatura, ma solo un desiderio di rinnovamento capace di produrre nuovi stimoli grazie a una figura che viene dal mondo paralimpico. Simone Vanni, infatti, campione olimpico a squadre ad Atene nel 2004 proprio nel fioretto, è stato il timoniere dell’epoca d’oro di Bebe Vio e compagne in pedana.
Per Facci è stato diverso, ugualmente difficile però e anche sportivamente e politicamente molto costoso. Vero che l’ormai ex d.t. e allenatrice azzurra è stata al centro di una vicenda che ha interessato e interessa anche la giustizia sportiva (discorso chiuso) e quella ordinaria (discorso ancora aperto, il Gip di Monza ha respinto la richiesta di archiviazione dei pm per i presunti “maltrattamenti” denunciati). Ma immaginare le farfalle senza di lei è davvero faticoso. Per giunta, Maccarani è anche membro di giunta Coni. Insomma, la decisione deve essere stata parecchio ponderata. E pure in questo caso, il presidente laureato in scienze politiche e relazioni internazionali, ha illustrato il passo senza strillare, parlando di una nuova idea di staff, più collegiale e non imperniata su una figura chiave di donna (o uomo) sola al comando.
I cambi di panchina, perdonateci la metafora di chiara impronta calcistica, fanno sempre discutere. E quando si tratta di personaggi del calibro di Cerioni e Maccarani, il rimbalzo polemico è inevitabile. E poi, per dire, non è che siano cambiati solo i d.t. di ginnastica e scherma, anche il ciclismo – in quel caso il presidente Cordiano Dagnoni è stato riconfermato – ha deciso il cambio, fuori Daniele Bennati, dentro Marco Villa al volante degli stradisti azzurri.
Eppure, la storia di quelle “mancate conferme” ci porta in un territorio diverso. La scherma è da sempre uno dei principali azionisti di riferimento del nostro medagliere olimpico. A Parigi, la ginnastica italiana ha sfiorato il 10 in pagella con cinque medaglie, fra le quali la trave d’oro di Alice D’Amato e il bronzo delle farfalle nella ritmica a squadre. Ma sembra che i due neopresidenti vogliano uscire da una visione troppo “risultatistica” del loro mandato, riposizionando la loro mission: non solo corsa alla medaglia, ma un tentativo di puntare grosso su promozione, allargamento della platea, valore sociale dello sport.
Un neuropsichiatra per cambiare la scherma
Prendete la scherma, che è stata spesso condannata alla patente di enclave di pochi ma buoni, anzi buonissime e buonissimi. Un posto in cui si comincia a fare sul serio molto presto. Mazzone ne è perfettamente consapevole – è stato comunque uno spadista di buon livello – ma nella sua storia umana e sportiva il concetto di inclusione è stata una scelta di vita.
Medico e docente universitario, la sua esperienza nel mondo dell’autismo è apprezzata a livello internazionale, la sua Accademia Lia (Lia era sua moglie e questo è il nome dell’associazione che vuole ricordarla e che ha portato diverse ragazze e ragazzi autistici a cimentarsi in pedana). Tempo fa ci è capitato di ascoltare quello che è un po’ il suo mantra: «Lo dico da neuropsichiatra più che da presidente: lo sport è la vera ancora di salvezza per le difficoltà dell’adolescenza e della disabilità. Certo c’è la musica, certo c’è l’arte, ma la forza dell’impatto dello sport non ha eguali».
La vocazione agonistica e le Olimpiadi non vengono messe in soffitta, ci mancherebbe, ma devono trovare dei compagni di avventura. «Il mio obiettivo è quello di vincere a Los Angeles 2028 le medaglie di Parigi, anzi di più. Aumentando però il livello di inclusione e il numero di sale di scherma».
La missione della ginnastica
Parole che non sono distanti, anzi sono particolarmente vicine a quelle pronunciate qualche giorno fa da Facci alla Gazzetta dello Sport: «Anni fa era tutto esasperato, adesso la sensibilità sta cambiando: non chiediamo meno risultati, ma in modo diverso». E poi ci sono quelle cifre, 133.749 tesserati (stragrande maggioranza donne, sono 106.651), troppo basse. Se «tutto è ginnastica finché non diventa un altro sport», altre parole di Facci, la capacità attrattiva della disciplina deve poter avere numeri maggiori. E non è un mistero che si guardi verso quei 4.581.438 tedesche e tedeschi iscritti alla federazione in Germania. Cominciando da alcuni progetti presentati e condivisi di recente con Sport e Salute e relativi proprio alla fascia dell’”assaggio” dello sport, al di sotto degli 8 anni.
Però quanto è forte questo vento o venticello che sia? Cioè: quanti vecchi e nuovi presidenti federali accettano l’idea di moltiplicare la sfida non fermandosi alla pur appassionante conta delle medaglie? E in questo rimescolamento di carte quale sarebbe la nuova divisione dei compiti con gli enti di promozione? Forse le domande vanno allargate. C’è un problema di mentalità, certo, ma anche di risorse. Che finora hanno chiaramente privilegiato l’alto livello (pensiamo per esempio anche al finanziamento pubblico di grandi eventi sportivi). Sarebbe bello se nell’imminente campagna elettorale per la presidenza del Coni (si vota il 26 giugno, ancora non è del tutto tramontata l’ipotesi di una proroga “olimpica” per Giovanni Malagò in vista delle Olimpiadi di Milano-Cortina ma diversi candidati scaldano i motori...) potessero entrare con forza anche questi argomenti. È chiedere troppo?
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