Si chiama JN.1, si sta rapidamente diffondendo nel mondo. In Italia, nella settimana dal 30 novembre al 6 dicembre ci sono stati 59498 nuovi casi e ben 307 decessi. Tra circa un mese avremo un picco. Ma JN.1 fortunatamente pare rispondere ai vaccini ora in commercio
In Italia, nella settimana dal 30 novembre al 6 dicembre ci sono stati 59498 nuovi casi di Covid e ben 307 decessi causati dal virus, in aumento rispetto ai 52.177 casi e ai 291 decessi di quella precedente: siamo nel pieno di una nuova ondata epidemica che non ha ancora raggiunto il suo picco.
La variante del Sars-CoV-2 predominante ora in Italia è EG.5.1, anche nota col nome di Eris, che discende da Omicron e rappresenta quasi il 60% dei casi; seguono altre sotto-varianti di Omicron, come JG.3 - che discende direttamente da Eris-, poi XBB.1.5, XBB.1.9, HV.1 e BA.2.86, anche nota col nome di Pirola. Ma prepariamoci: tra circa un mese comincerà una nuova ondata che molto probabilmente sarà ancora più imponente e aggressiva di quella attuale e raggiungerà il picco nei primi mesi dell’anno nuovo.
Sarà alimentata da una nuova variante del virus denominata JN.1, che discende da BA.2.86 ed è stata identificata per la prima volta in agosto in Lussemburgo: ora si sta rapidamente diffondendo negli Usa, in Cina, a Singapore e in paesi europei come Regno Unito, Francia, Danimarca e Germania, ed è destinata a diventare in breve tempo dominante a livello globale.
Molto presto JN.1 arriverà anche da noi. E purtroppo, anche chi è stato infettato in questi mesi dalle varianti del virus ora circolanti (Eris e le altre sotto-varianti di XBB) e chi si è vaccinato da poco rischierà di ammalarsi di nuovo perché JN.1 sfugge all’immunità acquisita in precedenza.
I timori
La variante JN.1 preoccupa molto gli scienziati. Come ha scritto Eric Topol, fondatore dello Scripps Institute di La Jolla, in California, e una delle maggiori autorità sulla pandemia, essa rappresenta «un enorme cambiamento di rotta nell’arco evolutivo del SARS-CoV-2».
JN.1 discende da BA.2.86, la quale appartiene a un ceppo diverso rispetto a quello che comprende XBB e EG.1, ora prevalenti e in circolazione da quasi un anno, ed è iper-mutata: possiede più di 40 nuove mutazioni, 34 delle quali sono situate a livello della proteina spike, che il virus utilizza per legarsi ai recettori ACE-2 presenti su certe cellule dell’uomo – come quelle degli alveoli polmonari e dell’endotelio dei vasi – per poi infettarle. Rispetto a BA.2.86, JN.1 ha aggiunto una speciale mutazione in più, denominata L455S: ciò significa che l’aminoacido in posizione 455 della proteina spike – una leucina – è mutata ed è stata sostituita da una serina.
Questa serie di mutazioni comporta alcune conseguenze spiacevoli. Il gruppo di scienziati guidati da David Ho, della Columbia University di New York, in uno studio pubblicato in ottobre sulla prestigiosa rivista scientifica Nature ha dimostrato che BA.2.86, grazie alle sue mutazioni a livello della proteina Spike, possiede un’aumentata affinità per i recettori ACE-2 delle cellule umane, e perciò è più trasmissibile e più contagiosa.
Poi, il gruppo di scienziati guidati da Yunlong Cao, dell’Università di Pechino, ha scoperto che JN.1 grazie alla sua mutazione cruciale L455S ha acquisito una capacità di sfuggire agli anticorpi neutralizzanti indotti dal vaccino o da infezioni precedenti superiore a quella mostrata dalle varianti del ceppo cui appartengono XBB ed Eris.
Varianti
Quando un virus nuovo penetra all’interno del nostro organismo, esso scatena la nostra risposta immunitaria, che è fatta di due componenti, ognuna delle quali ha meccanismi e funzioni diverse. I linfociti B imparano a riconoscere quel virus e si mettono produrre immunoglobuline B – cioè anticorpi – che fluendo nel sangue riescono a bloccare le copie del virus circolanti e gli impediscono di penetrare dentro alle nostre cellule infettandole: perciò prevengono l’infezione.
Ogni linfocita B produce un solo tipo di anticorpi, ma non tutti gli anticorpi hanno la stessa efficacia nel bloccare il virus: quelli che lo bloccano meglio vengono definiti anticorpi neutralizzanti. Nel caso del SARS-CoV-2, gli anticorpi neutralizzati migliori sono quelli si legano alla proteina Spike – quella che il virus utilizza per legarsi al recettore ACE2 delle nostre cellule per poi infettarle: dato che la proteina spike è bloccata dall’anticorpo, il virus non riesce a legarsi alle nostre cellule e non le infetta.
Invece, i linfociti T imparano a riconoscere le cellule già infettate dal virus, che espongono pezzi della proteina spike del virus sulla loro membrana, e a distruggerle: in questo modo non prevengono l’infezione ma fanno sì che essa si smorzi più rapidamente.
Purtroppo, ogni volta che il virus acquisisce una nuova mutazione nella sua proteina spike, essa cambia forma, e non viene più “riconosciuta” in maniera ottimale dagli anticorpi e dai linfociti T che avevano imparato a riconoscere la proteina spike del virus precedente, che aveva forma diversa. E perciò noi ci reinfettiamo e talvolta ci riammaliamo.
La nuova variante JN.1, che discende dal ceppo BA del virus, possiede una proteina spike molto diversa da quella delle varianti ora circolanti, che discendono tutte dal ceppo XBB: perciò chi si è ammalato in questi mesi molto probabilmente si riammalerà. Inoltre, dobbiamo ricordare che i vaccini ora in commercio (Pfizer, Moderna, e Novavax) sono tutti monovalenti e contengono tutti la proteina spike della variante XBB.1.5, cioè del ceppo al quale non appartiene JN.1, che ha una proteina spike con una struttura molto diversa: perciò, anche chi si è vaccinato probabilmente correrà il rischio di ammalarsi, ma non in maniera grave.
Le buone notizie
Fortunatamente, ci sono alcune buone notizie. Negli ultimi giorni, gli scienziati di tre gruppi – quello di Yunlong Cao dell’Università di Pechino, quello di David Ho della Columbia University di New York, e quello di David Veesler dell’Università di Washington – hanno pubblicato studi preliminari in cui dimostrano che gli anticorpi contro la proteina spike di tipo XBB indotti dal vaccino o da un’infezione precedente hanno ancora un’attività neutralizzante accettabile seppur ridotta contro JN.1; invece, i linfociti T contro XBB sono in grado di distruggere anche JN.1.
Detto in parole povere: tra due o tre mesi ci sarà una nuova imponente ondata di Covid dovuta a JN.1, molti di noi saranno infettati di nuovo dal virus, molti si ammaleranno e mostreranno i sintomi tipici del Covid – febbre, difficoltà respiratorie, spossatezza – e molti – soprattutto gli anziani, gli individui a rischio e i non vaccinati – svilupperanno una polmonite fatale.
Ci dobbiamo rassegnare: Kathryn Kisler e Trevor Bedford, dell’Howard Hughes Medical Institute di Seattle, hanno appena pubblicato uno studio in cui dimostrano che il SARS-CoV-2 sta accumulando mutazioni più in fretta di ogni altro virus endemico esistente al mondo: muta 2,5 volte più rapidamente del virus dell’influenza, il prototipo dei virus a mutazione rapida, e 7 volte più rapidamente degli altri coronavirus.
Il che significa che ogni 4 mesi circa comparirà nel mondo una nuova variante di virus del Covid immuno-evasiva che provocherà una nuova ondata epidemica. E speriamo che non compaia un nuovo virus immuno-evasivo e contemporaneamente letale: un evento che potrebbe sempre accadere.
Gli scienziati hanno calcolato che nel SARS-CoV-2 avviene una mutazione ogni circa 30.000 basi di RNA, e dato che il suo genoma è proprio di 30mila basi, ciò significa che ogni volta che un SARS-CoV-2 si replica e duplica il suo RNA avviene una mutazione.
Ogni essere umano infettato ospita da 1 a 10 miliardi di copie del virus, quindi in ogni momento sulla faccia della Terra compaiono migliaia di miliardi di copie mutate del virus. E sopravvivono e si diffondono tutte quelle che sono immuno-evasive. Il rimedio è uno solo: vacciniamoci tutti.
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