Una nuova cura hi-tech ideata da Assist Data, fondata da GIanni Prandi, utilizza sensori inseriti nelle arnie per raccogliere dati essenziali al monitoraggio del comportamento delle api. «Non mi rassegno all’idea che si possa rinunciare alla meraviglia di questi insetti», dice Prandi. L’obiettivo è comprendere il comportamento delle colonie e prevenire la Sindrome da spopolamento degli alveari
A pagare le conseguenze del cambiamento climatico non sono soltanto gli esseri umani, ma anche animali e insetti. Primi fra tutti le api, che giocano un ruolo fondamentale per la biodiversità. Tante le problematiche che mettono a repentaglio la loro vita, dal ciclo sconvolto delle stagioni ai pesticidi che inquinano il terreno che vengono sempre più utilizzati in ambito agricolo.
Proprio negli ultimi mesi è in discussione il rinnovo dell’autorizzazione dell’Unione europea per l’uso del glifosato, uno dei più importanti diserbanti al mondo che viene utilizzato in più di 130 paesi (tra cui anche quelli europei). Secondo ong e associazioni ambientaliste spesso i fenomeni concentrati di spopolamento che riguardano milioni di api coincidono con il periodo della pre-semina in aree di grandi monoculture e dove spesso si utilizza il glifosato prima di andare a seminare.
Una nuova cura
Sul tavolo dei ricercatori ci sono diverse soluzioni per salvare la specie e contrastare la Sindrome da spopolamento degli alveari (Ssa), registrata per la prima volta negli Stati Uniti nel 2006.
Molte di queste soluzioni si affidano alla tecnologia e all’analisi dei dati. Tra queste c’è una cura hi-tech creata da Assist Data, azienda dell’Assist group fondata da Gianni Prandi. Consiste nell’inserire dei sensori – alimentati tramite energia solare – all’interno delle arnie (le cassette degli allevamenti delle api) che permettono di raccogliere dati per osservare e capire il comportamento delle api e ottenere informazioni utili alla loro salvaguardia. I dati vengono registrati ogni ora e trasmessi tramite un’app due volte al giorno. La tecnologia usata permette di raccogliere dettagli riguardo l’umidità interna ed esterna, la temperatura, la luce, il peso dell’arnia e i movimenti di ingressi e di uscita delle api. Secondo uno studio della società 3Bee con le arnie intelligenti si può ridurre la moria delle api fino al 30 per cento.
«Noi siamo stati i primi a muoverci nel settore delle tecnologie avanzate e questo ci permette di essere al passo con l’innovazione. Ma siamo legati alle nostre radici emiliane, che sono intrise di concretezza e di amore per la natura: la nostra idea è quella di un’imprenditoria al servizio della comunità. Questa vocazione ci spinge a investire in soluzioni evolute per affrontare i guasti dell’ambiente. Dobbiamo pensare al futuro dei nostri nipoti e un futuro senza api è un problema anche per l’agricoltura», dice Prandi. «Per produrre un solo chilo di miele le api devono visitare 4 milioni di fiori e volare per 150mila chilometri. In questo progetto ho messo l’esperienza della mia famiglia che alleva le api da anni. Non mi rassegno all’idea che si possa rinunciare alla meraviglia di questi insetti».
Ma portare avanti progetti di questo tipo non sempre è facile. «In Italia c’è il grande problema della burocrazia, ma a questo si somma il fatto che non c’è apertura nei confronti delle novità. C’è una difesa del territorio e del mestiere da parte di tutte le organizzazioni. Se ci sono sistemi nuovi, evoluti e che permettono di dare lavoro ai giovani perché non investirci?»
L’importanza delle api
Secondo stime mondiali, il contributo degli impollinatori all’agricoltura è stimato in una cifra compresa tra i 235 e i 577 miliardi. Per l’agenzia internazionale che si occupa della tutela agroalimentare (Fao), ben 71 delle 100 specie di colture si riproducono grazie all’impollinazione degli insetti.
Per il Dipartimento dell’agricoltura americano, invece, il 35 per cento della dieta umana proviene da piante impollinate da insetti e l’ape è responsabile dell’80 per cento dei processi di impollinazione. Infine, la produzione agricola ha avuto un incremento del 30 per cento negli ultimi cinquant’anni, anche grazie all’impollinazione.
Una produzione importante che è però è a rischio. Il Wwf ha lanciato l’allarme: oltre il 40 per cento delle specie di insetti impollinatori è a rischio estinzione in tutto il mondo, tra queste soprattutto le api selvatiche. Secondo uno studio dell’università della California il caldo torrido impedisce la riproduzione della specie, mentre il vento e le bufere stronca l’impollinazione.
Questo ha causato negli ultimi anni un drastico calo della produzione di miele annuale. Secondo le università del Maryland e di Auburn il 2022 è stato l’anno con il secondo più alto tasso di mortalità delle api. Sono andate perdute il 48 per cento delle colonie gestite. Un numero molto più alto rispetto alla media del 39.6 per cento degli ultimi 12 anni.
In Italia sono attivi 72mila apicoltori e 1.8 milioni di alveari, per un valore di circa mezzo miliardo di euro. Ma l’intero sistema è a rischio. Se nel 2019 la resa media di ogni alveare in Italia era di circa 25 chili di miele l’anno, negli anni successivi i periodi di siccità estrema alternati da fenomeni di piogge torrenziali hanno abbassato drasticamente la produzione. Ma adesso abbiamo maggiori soluzioni e opportunità.
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