Mentre i casi tornano lentamente ad aumentare la scuola si prepara a riaprire in ordine sparso, con governo, regioni e scienziati che restano divisi su cosa fare
- Crescono lentamente i contagi di Covid-19 in quello che molti temono sia l’inizio della terza ondata.
- Il governo decide di rimandare la riapertura delle scuole, ma molte regioni preferiscono fare di testa loro.
- Sono solo gli ultimi scontri di una lunga seria, causata dalla difficoltà di trovare un accordo su come gestire uno degli argomenti più delicati durante la pandemia.
Tornano a crescere i nuovi casi di Covid-19 in Italia, come era stato anticipato da giorni. Martedì, ne sono stati registrati 15.378, insieme a 649 decessi e 78 nuovi ricoveri. Questa settimana, tra lunedì e martedì sono stati registrati oltre 26 mila nuovi casi, un valore superiore ai nuovi casi registrati nello stesso periodo delle due settimane precedenti.
Scuole in ordine sparso
Questi numeri hanno avuto un impatto immediato sulla scuola, che avrebbe dovuto riprendere il 7 gennaio. Di fronte alle cifre della pandemia, però, il governo ha deciso di rimandare l’inizio delle lezioni in presenza per le scuole superiori a lunedì 11 gennaio (ma solo al 50 per cento). Il 7, invece, le lezioni ricominceranno solo in didattica a distanza. Scuole primarie e medie riapriranno invece regolarmente il 7.
Molte regioni hanno però deciso di fare di testa loro, confermando che la scuola è uno dei problemi più complessi da gestire durante la pandemia. Veneto, Marche e Friuli Venezia Giulia, ad esempio, hanno già annunciato che terranno le scuole superiori in didattica a distanza fino a fine gennaio. Il Piemonte le terrà chiuse fino al 16. Altre regioni, come Lazio e Toscana, sembra che seguiranno le indicazioni del governo.
Un problema ingestibile?
Le divisioni e le incertezze su cosa fare con la scuola di questi giorni sono soltanto le ultime di una serie iniziata con la ripresa delle attività scolastiche lo scorso settembre. In questo periodo, il governo si è scontrato al suo interno su cosa fare con la scuola, se tenerla aperta, se tornare alla didattica distanza e per quanto tempo.
Ci sono stati scontri anche all’interno della maggioranza, con le regioni e con i presidi e gli insegnanti. Persino il Comitato tecnico scientifico, il principale organo di consulenza del governo in materia di pandemia, si è diviso, con il suo coordinatore, Agostino Miozzo, che raccomandava una riapertura già a dicembre in opposizione ad alcuni suoi colleghi e a parte del governo.
Non sono solo polemiche sterili. Numerosi studi scientifici hanno dimostrato i danni che causa l’assenza da scuola per gli studenti e sono altrettanto noti i problemi che devono affrontare le loro famiglie quando le scuole sono chiuse. Ma allo stesso tempo le scuole sono uno dei principali luoghi di aggregazione e per questo, in ogni paese, sono tenute sotto stretta osservazione fin dall’inizio della pandemia. Gli studenti, inoltre, contribuiscono all’affollamento dei mezzi pubblici negli orari di punta, un altro dei luoghi caldi del contagio.
Gli errori
All’inizio della pandemia, l’Italia è stato uno dei primi paesi a chiudere le scuole e uno degli unici a non riaprirle prima della fine dell’anno scolastico. Per tutta l’estate, quindi, la priorità del governo e del ministero dell’Istruzione in particolare è stata garantire regolarmente la ripresa delle lezioni a settembre.
Presidi, insegnati, personale scolastico e genitori hanno spesso fatto grossi sacrifici per assicurarsi la riapertura, che ha richiesto un completa riorganizzazione degli spazi scolastici, la gestione di orari di ingresso scaglionati e il rispetto di nuove e complicate regole di sicurezza ad ogni livello dell’attività scolastica.
Nonostante i molti successi, però, non tutti gli interventi hanno funzionato alla perfezione. Uno dei principali investimenti per garantire la ripresa è stato l’acquisto di circa due milioni di banchi monoposto che avrebbero dovuto aiutare gli studenti a mantenere le distanze di sicurezza. Ma centinaia di scuole in tutta Italia ne erano ancora sprovviste quando le lezioni sono ricominciate a settembre e gli insegnanti si sono dovuti adattare, utilizzando nastro adesivo per marcare le distanza nei banchi multi posto, o facendo usare agli studenti le sedie come banchi dopo averli fatti sedere a terra.
A fine ottobre, quando la consegna organizzata dal commissario Domenico Arcuri avrebbe dovuto essere ormai conclusa, circa 900mila banchi non erano ancora stati consegnati.
Il tracciamento
Un altro fallimento è stata l’incapacità del ministero dell’Istruzione e delle altre autorità sanitarie di provvedere a un efficace sistema di tracciamento dei contagi e dei focolai in ambito scolastico. Inizialmente il ministero aveva predisposto un sistema in cui i singoli presidi potevano segnalare i casi individuati nei loro istituti. Ma dopo aver divulgato i dati in un paio di occasioni, ha quietamente cessato ogni pubblicazione.
Dopo alcune polemiche, il ministero ha annunciato che avrebbe fornito i dati all’Istituto superiore di sanità. Soltanto questa settimana, l’Iss ha finalmente pubblicato un nuovo rapporto, che riassume la situazione tra settembre e novembre.
Le conclusioni del rapporto sono in parte ambigue. Le scuole, è la conclusione, sono luoghi di trasmissione del virus, anche se non sembrano essere tra i principali. Tra settembre e dicembre, infatti, sono stati individuati «3.173 focolai in ambito scolastico che rappresentano il 2 per cento del totale dei focolai segnalati a livello nazionale», è scritto nel rapporto. La riapertura delle scuole produce «incrementi» nei contagi, ma «contenuti, che non provocano una crescita epidemica diffusa».
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