Le Olimpiadi sono diventate l’unità di misura di un sentimento anti Parigi ampiamente diffuso, in Italia e no. Sono marketing e orgoglio, in un paese che ostenta il suo patrimonio: dai formaggi e i vini all’arte e ai valori civili
Le Olimpiadi sono diventate la cartina di tornasole per misurare un sentimento antifrancese largamente diffuso, in Italia e altrove. L'origine è la grandeur. O meglio non la grandeur in sé, peraltro ridimensionata nei fatti, quanto l'ostentazione del passato glorioso e i riverberi postumi per qualunque cosa sia «de France».
Dai formaggi ai vini, dal patrimonio artistico ai valori civili che l'Esagono si pregia di incarnare e sui quali rivendica un diritto di primogenitura. Un combinato disposto tra operazioni di marketing e orgoglio nazionale che, è vero, talvolta scade nel ridicolo, e dovrebbe strappare al massimo un sorriso sarcastico, ma il cui sostrato provoca invidia, per paradosso, nei sovranisti di ogni dove, gelosi di tanto attaccamento di un popolo intero verso lo Stato.
La Francia è un Paese di opposti e di forti passioni, non per caso ha inventato il dualismo destra sinistra. Era uscito lacerato dalle doppie elezioni, europee e legislative di giugno-luglio, tanto da far scrivere di una guerra civile strisciante, e per fortuna sinora incruenta. Si trascina da anni una forte contrapposizione tra città e banlieue, tra città e campagna, tra autoctoni e immigrati. Ha subito gli effetti più devastanti sul suolo europeo del terrorismo jihadista. C'erano dunque tutti i presupposti perché i Giochi, che offrono una platea planetaria, diventassero bersaglio di manifestazioni di insoddisfazione le più varie. E invece è bastato che suonasse la Marsigliese perché le fratture si ricomponessero, momentaneamente sia chiaro, in nome del bene supremo e del motto «giusto o sbagliato è il mio Paese». Ci sono da onorare le Olimpiadi di Parigi, la capitale amata e odi-amata solo da chi si sente escluso dal clima dei suoi bistrot e dei suoi boulevard.
Maledetta audacia
La cerimonia d'apertura, coraggiosa nella logistica, complessa nel palinsesto, audace nei temi, spettacolare comunque, persino ironica, e ispirata alla grandeur, non poteva che dare la stura alle polemiche per chi, refrattario alle innovazioni, cercava qualunque pretesto per rinfocolare la propria antipatia verso uno Paese, un governo e un presidente che avevano bloccato, con astuti ma legittimi artifizi elettorali, la destra sovranista e xenofoba al potere.
Si sono distinti, per restare in casa nostra, i giornali orientati a destra ma non solo. Gridando allo scandalo che, mai come questa volta, sta negli occhi di chi ha guardato, nel pregiudizio di vedere “l'Ultima cena” di Leonardo in un evidente baccanale di Dioniso. E che avrebbero preferito il famoso bacio eterosessuale di Doisneau al triangolo di Jules e Jim. Ah quegli sporcaccioni dei francesi, emblema di ogni sacrilegio sessuale e morale. E, peccato mortale, hanno offeso l'intero mondo cattolico. Meglio sarebbe stata la noiosissima sfilata degli atleti dentro il nido confortevole di uno stadio.
Orrore! L'Olimpiade è uscita dalla tradizione, è uscita di senno (e di Senna, ci torneremo). È diventata il bersaglio perfetto per un regolamento di conti tracimato dalla politica a conferma che lo sport è la continuazione della politica con altri mezzi, a maggior ragione in questo caso che si vuole universale e universalista. E siccome il personale è politico, come voleva uno slogan sessantottino, il terreno di scontro è diventato il corpo degli atleti, il sale dei Giochi, sul quale un potere autoritario, refrattario alla complessità, vorrebbe esercitare un controllo per ridurlo a un sistema binario come non è mai stato nettamente in nome di una dittatura della maggioranza che non contempla i diritti delle minoranze. Fino a relegare in un limbo chi per volontà della natura stessa non rientra nei canoni.
Ovvio il riferimento alle due pugilatrici nate donne e senza colpa con un eccesso di testosterone. Il Cio, in questo caso alleato della perversa Francia, reo di conclamata fluidità senza nessuna evidenza scientifica prodotta dagli urlatori del j'accuse, le Meloni, i Salvini, i putiniani di tutto il mondo uniti, per quel fenomeno, definito su queste pagine da Antonella Bellutti, «del sentito dire». E si che è nostro, è italiano, quel Galileo che invitava gli emissari del Sant'Uffizio a guardare nel cannocchiale.
Le critiche pretestuose
Definito il perimetro del chi sta con chi, i Giochi sono diventati il bersaglio di tiri con l'arco, con la carabina, con la pistola, con ogni arma ma senza nessuna medaglia, persino su questioni trascurabili. I letti di cartone che c'erano anche a Tokyo quando nessuno accusò il Giappone di leso olimpismo; le mense per diecimila storicamente scadenti, ma i francesi avrebbero dovuto fornire il meglio della cuisine; il povero Ceccon costretto a farsi un pisolino en-plain-air quando, interrogato, ha svelato che era stata una sua scelta per isolarsi. Fino al limite estremo delle lamentele per qualche informazione sbagliata dai volontari e per le code d'ingresso alle competizioni, fisiologiche dovunque ci sia un evento gigantesco, aggravate dai controlli anti-terrorismo, il prezzo ai tempi che viviamo. Ma la Francia, per via della grandeur conclamata, evidentemente doveva far viaggiare tutti in prima e con un drink in mano.
Gettare il bambino con la Senna sporca
E siamo all'uscita di Senna. Questa sì imperdonabile perché alla grandeur si è unita la ubris, la tracotanza di sfidare l'evidenza. Senza essere biologi marini o esperti di escherichia coli. Il fiume degli amanti del Pont Neuf è malato da un secolo, le fognature obsolete, scorre su una delle aree più industrializzate e antropizzate del Continente. Era e rimane una scommessa titanica rendere le sue acque balneabili, proporla come scenario delle gare. Non sappiamo se l'atleta belga si è infettata nuotando. Sappiamo però che le autorità sono state costrette ad annullare allenamenti chiamando in causa le piogge che hanno trascinato schifezze. A Giove Pluvio non si comandava nell'antichità e nemmeno ai giorni nostri. Anche rientrasse episodicamente nei parametri consentiti, basta il timore maturato da gran parte degli atleti per varare un piano b, perché sono loro i protagonisti dello spettacolo, non possono esibirsi nell'incertezza di come ne usciranno. A dispetto del miliardo e 4 speso per curare il fiume e della cartolina-sogno da spedire al mondo. Ma, domanda: basta questo per gettare il bambino con l'acqua sporca? Basta questo per sentenziare: Francia, ghigliottina!
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