- Programmi televisivi e quotidiani talvolta offrono spazio ad opinioni personali spesso infondate o in malafede. Anche nel campo degli esperti ed addetti ai lavori c’è molta confusione sulle competenze e sui pareri poco informati.
- Uno dei casi più discussi e controversi è quello del sociologo Alessandro Orsini che, tra le altre cose, propone di rompere il fronte compatto dell’Unione europea per segnalare che l’Italia sarebbe disposta a riconoscere la sovranità russa su Crimea e Donbass.
- Anche il generale Fabio Mini scade in teorie complottiste. Secondo il militare in pensione simili false flag e finti massacri di civili sarebbero il consueto modus operandi dell’Ucraina.
Oltre all’information warfare e alla guerra ibrida mosse dal Cremlino, l’invasione dell’Ucraina ha messo in risalto alcuni problemi strutturali dei media italiani. Programmi televisivi e quotidiani talvolta offrono spazio ad opinioni personali spesso infondate o in malafede. Anche nel campo degli esperti ed addetti ai lavori c’è molta confusione sulle competenze e sui pareri poco informati. Sovente le analisi non sono frutto di un’osservazione imparziale della realtà, ma partono dal risultato che si vuole dimostrare o confutare. Succede così che le informazioni fornite vengano distorte per suffragare una tesi. Uno dei casi più discussi e controversi è quello del sociologo Alessandro Orsini, docente dell’Università Luiss di Roma.
Una mossa sconsiderata
Il professore ha proposto di calibrare le sanzioni in base al numero di bambini ucraini uccisi dai russi, sostenendo che questo approccio è già stato adottato dalle Nazioni Unite in Yemen con i bombardamenti sauditi. In realtà non c’è stata una conseguenza di sanzioni per i bambini morti in Yemen e sarebbe comunque difficile poter verificare in modo indipendente il numero delle vittime civili.
Una proposta ancor più ardita è quella di rompere il fronte compatto dell’Unione europea per segnalare che l’Italia sarebbe disposta a riconoscere la sovranità russa su Crimea e Donbass. Si tratterebbe della fine dei principi di Helsinki nel 1975 sull’integrità territoriale e dell’architettura di sicurezza in Europa.
Una tale mossa sconsiderata sancirebbe il principio per cui un paese può invaderne un altro per regolare controversie, cambiarne i confini o il governo quando non gradisce il suo orientamento politico. Ancora più grave se consideriamo che si tratta di una dittatura, la Russia, che ha invaso una democrazia, l’Ucraina.
La tesi delle esercitazioni
Nello spiegare le cause dell’invasione russa, il professor Orsini ha definito «gigantesche esercitazioni in Ucraina» nel 2021 la Sea Breeze (tra i duemila e i cinquemila uomini impegnati), la Three Swords (milleduecento partecipanti) e la Rapid Trident (seimila uomini).
Numeri molto bassi per esercitazioni internazionali, che equivalgono agli oltre mille soldati russi, bielorussi e serbi che nel giugno 2021 hanno preso parte all’esercitazione annuale Slavic Brotherhood, svoltasi nel Territorio di Krasnodar, a pochi chilometri dalla Crimea e dal Mariupol.
Viene da chiedersi, dunque, come il sociologo della Luiss definirebbe l’esercitazione congiunta Zapad 2021 che ha coinvolto 200mila soldati russi e bielorussi, prodromica all’attuale invasione.
Se alcune migliaia di soldati costituiscono un’esercitazione “gigantesca”, allora come chiamare una manovra cento volte più numerosa? Inoltre, le esercitazioni occidentali non erano della Nato in quanto tale, ma piuttosto di singoli paesi membri come per la Three Swords, che ha coinvolto solo Polonia e Lituania, dieci paesi dell’Alleanza nel caso di Rapid Trident, più numerosi nel caso di Sea Breeze, che però si limitava a esercitazioni navali e anfibie.
Le tre esercitazioni si svolgevano già da anni e avevano una funzione puramente difensiva, non certo di invasione della Russia dato il numero limitato delle forze impiegate. Sono state molto utili a integrare le forze ucraine nelle procedure di comando e controllo Nato, oltre che nella condivisione di tattiche che gli ucraini hanno poi efficacemente adottato nella resistenza all’occupazione.
Il professor Orsini ha anche erroneamente definito l’esercitazione Agile Spirit 2021 in Georgia “gigantesca”, pur coinvolgendo solo 2.500 uomini, e ha preconizzato un’imminente invasione del paese caucasico da parte della Russia, che già estende il suo controllo tramite l’Fsb e contingenti militari sulle due regioni separatiste di Abkhazia e Ossezia.
Peccato che le unità russe e locali dell’Ossezia del sud siano state mandate a combattere in Ucraina, lasciando sguarnito il fronte georgiano. Nel 2014 è stata fondata anche la 15ª Brigata Internazionale, composta da volontari filorussi provenienti da Abkhazia, Ossezia del Sud, Daghestan, Circassia e Kabardino-Balkaria.
Il nome era ispirato alla XV Brigada Internacional che combatté nella guerra civile spagnola. Questa milizia ha scelto come simbolo una mano bianca su sfondo rosso circondata da stelle, l’antico simbolo degli abazi, un gruppo etnico di Circassia e Adighezia legato agli abkhazi, che infatti lo riprendono nella loro bandiera a strisce biancoverdi.
Il fondatore dell’unità è Akhra Avidzba, nato a Gudauta in Abkhazia nel 1986, che nel 2020 si è espresso a favore dell’accoglienza degli armeni del Nagorno Kharabakh, creando anche problemi politici al governo separatista di Sukhumi.
La 15ª brigata è inquadrata nelle forze dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, dove nel 2015 ha partecipato alla tradizionale parata per la Giornata della vittoria il 9 maggio, e all’inizio dell’invasione è stata schierata nel Donbass. Abkhazi e osseti, durante l’offensiva georgiana del 2008, furono aiutati in modo determinante dalla Russia e adesso vedono un'analogia tra la loro causa e quella dei separatisti filorussi.
Ingenuità ed errori
Tornando alle tesi di Orsini, queste esercitazioni occidentali avrebbero “provocato” la Russia e causato l’invasione dell’Ucraina. Si tratta di una interpretazione ingenua ed errata. Il disegno del Cremlino prescinde dalle esercitazioni occidentali, Putin vuole stati vassalli nello spazio post-sovietico, come la Bielorussia di Lukashenko, e desidera allargare la sfera d’influenza sull’estero vicino a Ucraina, Moldavia e altri paesi non-Nato, perché crede in una missione superiore del popolo russo.
La resa di Kiev proposta da Orsini equivale alla sottomissione a Mosca di una giovane democrazia che guarda all’Unione europea. Se Zelensky si fosse arreso nei primi giorni, oggi l’Ucraina sarebbe probabilmente un clone della Bielorussia, mentre la tenace resistenza e il sostegno occidentale hanno permesso di ridimensionare gli obiettivi massimalisti del Cremlino, che è costretto a limitare le sue operazioni al sud-est costiero, senza neanche arrivare allo spartiacque del Dnipro.
Per questa ragione, la Russia ha bisogno di una pausa tecnica favorita dai negoziati a Istanbul, al fine di riposizionare le forze ritirate da Kiev e Chernihiv verso il Donbass. Mosca vuole arrivare al tavolo delle trattative finale dopo aver garantito la contiguità territoriale da Kherson a Luhansk, analogamente a ciò che fecero frettolosamente croati, bosgnacchi e serbi nelle operazioni Mistral 2 e Sana in Bosnia alla vigilia dei negoziati di Dayton nel 1995.
I mediatori
Proprio la Serbia di Vučić è stata proposta dal ministro degli Esteri Lavrov come mediatrice di nuovi negoziati bilaterali, al posto della Turchia. Belgrado ha partecipato sino al 2021 alle esercitazioni Slavic Brotherhood con Russia e Bielorussia, non solo integrando le forze d’élite in un’alleanza slavo-ortodossa, ma anche coltivando un rapporto privilegiato con il Cremlino.
Allo stesso tempo, Vučić ha mantenuto un canale aperto con l’Unione europea e l’esercito serbo ha partecipato anche a esercitazioni occidentali. Il tentativo di mantenere il piede in due scarpe, tuttavia non può durare a lungo per la Serbia, che non partecipa alle sanzioni contro Mosca, anche a causa di un’opinione pubblica memore dei bombardamenti Nato e venata di anti americanismo, ma riconosce l’integrità territoriale ucraina per ovvie ripercussioni sulla questione del Kosovo.
Teorie complottiste
Proprio su questo paese balcanico ha concentrato la sua attenzione il generale in congedo Fabio Mini, che sulle pagine del Fatto quotidiano traccia un parallelo con la guerra in Ucraina. Il generale, che nel 2003 ha comandato la missione Nato in Kosovo, accusa apertamente l’organizzazione che ha servito di aver “allestito fosse comuni” a Račak per giustificare un intervento occidentale contro la Serbia di Slobodan Milošević.
Secondo il militare in pensione simili false flag e finti massacri di civili sarebbero il consueto modus operandi dell’Ucraina, come a Mariupol, per coinvolgere l’occidente in guerra. Nel suo commento, il generale Mini confonde l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa con sede a Vienna, e dimentica di dire che la sua versione del massacro in Kosovo è quella sancita da un team governativo serbo-bielorusso, mentre quella dell’Unione europea a guida finlandese riconosce la strage come autentica.
Non è la prima volta che il generale scade in teorie complottiste, come quando ha dichiarato di credere nell’esistenza delle scie chimiche. Occorre riflettere sul fatto che ai vertici delle missioni Nato in passato l’Italia abbia espresso ufficiali con tali visioni del mondo e sentimenti, che traspaiono anche in un altro contributo sul Fatto quotidiano.
Secondo Mini, infatti, «le giovani generazioni sono impregnate di odio antirusso» e mentre Mosca è impegnata a invadere l’Ucraina il generale accusa l’occidente di veemente russofobia, uno degli argomenti preferiti della propaganda del Cremlino.
Le analisi e tesi espresse dagli addetti ai lavori dovrebbero sempre essere sostenute da solidi argomenti e dati, perciò è utile l’attività di fact checking e la verifica delle fonti dietro a ogni affermazione.
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