Quasi trentatremila chilometri in dodici giorni: è impegnativo il quarantacinquesimo viaggio del papa, che dal 2 al 13 settembre sarà in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est, Singapore. L’itinerario – il più lungo del pontificato – sembra una replica dell’ultimo di Paolo VI, il pontefice che tra il 1964 e il 1970 per la prima volta tocca tutti e cinque i continenti in nove percorsi simbolici scelti con attenzione, arrivando fino alle Samoa e a Hong Kong. Ma forse la vera competizione di Francesco è con Giovanni Paolo II, il viaggiatore.

I papi però hanno spesso viaggiato, anche se di frequente sotto costrizione o persino deportati. Per il più antico – Clemente I, ritenuto autore di un’importante lettera alla fine del I secolo – tarda e leggendaria è la tradizione che lo vuole esiliato nell’attuale Crimea e martire: un racconto che riflette probabilmente i contrasti tra papato e impero bizantino. Sono invece condannati ai lavori forzati e deportati in Sardegna, dove muoiono nel 235, Ponziano, vescovo di Roma, e il suo rivale Ippolito, primo antipapa.

Verso Costantinopoli

Quando alle soglie del medioevo i papi iniziano a viaggiare, la meta è obbligata da contingenze politiche più che scelta. Per quasi due secoli la destinazione è infatti sempre Costantinopoli, sede imperiale in crescente conflitto con Roma che tenta di sottrarsi all’ingombrante tutela del sovrano bizantino. Alla sua corte risiede stabilmente un apocrisario, cioè un ambasciatore papale, carica importante e spesso ricoperta da ecclesiastici poi eletti pontefici.

Nel 526, per fermare la persecuzione imperiale contro gli ariani il re goto Teoderico, cristiano di fede ariana, invia a Costantinopoli lo stesso Giovanni I. Il papa è accolto con tutti gli onori dall’imperatore Giustino – è il primo viaggio di un pontefice a Costantinopoli – ma l’ambasceria fallisce e al ritorno, per ordine di Teoderico, il papa è imprigionato a Ravenna, dove muore, forse per le torture subite.

Più o meno lo stesso copione si ripete nel 536 con Agapito I che, mandato a Costantinopoli dal sovrano goto Teodato per stornare l’invasione dell’Italia progettata da Giustiniano, vi incontra l’imperatore e stavolta la missione – che il papa è stato costretto a finanziarsi – riesce a metà e accresce il prestigio pontificio. Agapito però si spegne per una malattia e, dopo esequie solenni, le sue spoglie rinchiuse in una cassa di piombo sono inviate a Roma.

Drammatica è la sorte di Vigilio, nel contesto della guerra tra bizantini e goti, soprattutto a causa della sua resistenza, sia pure non strenua, alla linea teologica dell’imperatore Giustiniano, avversata dai vescovi occidentali e africani. Portato dapprima in Sicilia, il pontefice arriva più tardi a Costantinopoli e qui la partita tra il papa e l’imperatore dura per ben otto anni. Vigilio rifiuta di prendere parte a un concilio appositamente convocato nel 553 – è il secondo costantinopolitano – ma finisce poi per riconoscerlo, morendo due anni dopo sulla via del ritorno a Roma.

Papa Costantino

Un secolo più tardi è l’intrecciarsi tra politica e teologia a decretare la morte di Martino I, nato a Todi e venerato come l’ultimo papa martire. Eletto nel 649, il pontefice decide di non attendere la necessaria conferma dell’imperatore bizantino Costante II – fautore di una dottrina cristologica dubbia condannata in occidente – e si fa subito consacrare. Il sovrano, infuriato, ne ordina l’arresto, ma il rappresentante bizantino si schiera con Martino. Solo quattro anni dopo l’imperatore riesce a farlo catturare e deportare a Costantinopoli: condannato per alto tradimento ed esiliato nell’attuale Crimea, il papa si spegne nel 655.

Un successo, ma effimero, si rivela invece nel 710, su invito dell’imperatore Giustiniano II, il viaggio di papa Costantino, l’ultimo di un pontefice a Costantinopoli. A tornarvi – ma ormai nella moderna Istanbul – saranno infatti Paolo VI nel 1967 e, nei decenni successivi, i tre successori non italiani.

Dall’alto medioevo e per oltre un millennio i viaggi papali si moltiplicano. Sono almeno una trentina quelli al di fuori dell’Italia – quasi tutti in Francia o nei territori dell’impero germanico – tra la fine del 753, quando Stefano II attraversa le Alpi per chiedere l’aiuto franco contro i longobardi, e la primavera del 1814, che segna il ritorno di Pio VII a Roma dopo ben cinque anni di prigionia napoleonica, prima a Savona e poi a Fontainebleau.

L’itineranza del papato

La mobilità, se non addirittura l’itineranza, del papato si spiega in questi secoli con l’adattarsi alle vicende politiche, la necessità di trovare sostegno, la ricerca di nuovi equilibri, il contesto romano. Notissimo è il trasferimento per un settantennio (1309-1377) del papato ad Avignone, ma molto meno conosciuto è il fatto che già nel corso del secolo precedente il pontefice e la sua curia sono assenti da Roma per quasi il 60 per cento del tempo complessivo, quando si muovono tra diverse città laziali e umbre: Anagni, Viterbo, Assisi, Perugia, Orvieto.

Non è dunque un caso che il consolidamento dello stato pontificio agli inizi dell’età moderna riduca i viaggi papali fuori Italia, che spariscono tra il 1533 e il 1782, quando Pio VI per cinque mesi si fa «pellegrino apostolico» per contrastare a Vienna la politica dell’imperatore. Ma inutilmente. In Francia vengono deportati i due pontefici (Pio VI e Pio VII) dell’epoca rivoluzionaria e napoleonica, mentre l’ultimo papa re a viaggiare nei suoi domini – nel 1857, per oltre un mese – è Pio IX.

Dopo la presa di Roma, per un sessantennio i papi non mettono piede al di fuori dei palazzi vaticani e dei giardini circostanti. Dopo il 1929 – con Pio XI, fondatore del moderno stato vaticano – tornano nella residenza estiva di Castel Gandolfo prediletta da Pio XII, che da qui nel 1957 effettua il viaggio più lungo del pontificato: una sessantina chilometri per arrivare nella zona extraterritoriale di Santa Maria di Galeria e inaugurare il nuovo centro trasmittente della Radio vaticana. Fa dunque sensazione nel 1962 il viaggio di Giovanni XXIII, che in treno va ad Assisi e a Loreto per pregare nei due santuari alla vigilia dell’apertura del concilio.

La rivoluzione di Paolo VI

La vera rivoluzione è però quella di Paolo VI. Tra il 4 e il 6 gennaio 1964 effettua il primo dei suoi nove viaggi internazionali (altri gli vengono impediti dalle autorità politiche: in Siria, Polonia, Spagna, Vietnam). L’itinerario – preparato in segreto – è in Terra Santa, dove nessun papa era mai stato.

Per coprire il viaggio Paris Match manda quasi l’intera redazione a bordo di un aereo affittato appositamente e il risultato è una documentazione fotografica unica. I giornali italiani mobilitano le firme migliori: Eugenio Montale, Dino Buzzati, Alberto Cavallari, Giorgio Bocca, Vittorio Gorresio, Camilla Cederna. Alla fine Buzzati stila un bilancio: «Si sperava di poter scrivere pagine fulminanti di struggimento e di amore e non è stato possibile». Forse perché – sono le ultime parole del suo taccuino pubblicate sul Corriere della Sera dell’8 gennaio – «si tratta di uno di quei misteriosi fenomeni che sfuggono completamente alla ragione e al controllo dell’uomo».

Il papa viaggiatore

Sulla scia di Montini si muovono i tre successori non più italiani, ma il papa viaggiatore per eccellenza è Giovanni Paolo II, con statistiche impressionanti. In ventisei anni, 104 viaggi internazionali e 146 in Italia; 129 i paesi visitati – alcuni più volte come la Polonia (otto), la Francia e gli Stati Uniti (sette) – e un migliaio le città toccate; un milione e 250mila i chilometri percorsi in ottocento giorni, quasi il nove per cento della durata dell’intero pontificato.

«Qual è la differenza tra Dio e il papa?» ironizzano i curiali stravolti: «Dio è in ogni luogo, Wojtyła c’è già stato». Se Paolo VI spiega la novità dei viaggi l’8 maggio 1968, il suo successore li teorizza nel lunghissimo discorso del 28 giugno 1980. Riferendosi alla svolta di Montini, il papa polacco afferma che, «tra vari metodi di attuazione del Vaticano II, questo sembra essere fondamentale e particolarmente importante».

Nell’ultimo ventennio, con Benedetto XVI e Francesco, eletti entrambi in età avanzata, il ritmo dei viaggi papali internazionali rallenta un po’: 24 con Ratzinger e 45 con Bergoglio. Ma la formula appare ormai ripetitiva – comprese le conferenze stampa durante il ritorno che finiscono per oscurare mediaticamente i viaggi stessi – e sembra giunta l’ora di ripensare anche questo modo di esercizio del papato.

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