Un impero costruito con i soldi di uno dei boss catanesi più sanguinari. È la tesi sostenuta dalla procura di Catania, e al momento accolta dal tribunale, per descrivere la crescita di Antonino e Carmelo Paratore, imprenditori che negli anni si sono affermati in diversi settori, tra cui quello dei rifiuti, delle pulizie negli ospedali e degli stabilimenti balneari.

Nel 2017, padre e figlio finirono al centro di un'inchiesta sui rapporti intrattenuti con Maurizio Zuccaro, esponente apicale della famiglia di Cosa nostra Santapaola-Ercolano e già condannato all'ergastolo perché ritenuto responsabile di diversi omicidi. Tra questi c'è l'assassinio di Luigi Ilardo, il mafioso di Caltanissetta ucciso nella primavera del '96, cinque giorni prima dell'inizio ufficiale della propria collaborazione con la giustizia. Ilardo, già da alcuni anni, offriva un importante contributo nella ricostruzione dei vertici di Cosa nostra: era l'epoca in cui il numero uno della Cupola era Bernardo Provenzano e Ilardo – con il nome in codice di fonte Oriente – aveva aperto un proficuo canale di comunicazione con il colonnello dei carabinieri Michele Riccio.

Sette anni dopo il coinvolgimento nell'inchiesta, per i Paratore è arrivata la confisca di primo grado di un patrimonio del valore di diverse decine di milioni di euro su cui erano stati posti i sigilli, nell'ambito di un sequestro preventivo, nel 2021.

Per i giudici del tribunale di Catania, che hanno disposto nei loro confronti la misura della sorveglianza speciale per la durata di tre anni con obbligo di soggiorno, nelle imprese dei due imprenditori Zuccaro «era socio occulto, quantomeno al 50 per cento, avendo conferito ai Paratore ingenti risorse economiche frutto della sua pluridecennale attività mafiosa che ne hanno permesso la costante crescita ed espansione».

Un rapporto speciale

Più che un rapporto generico con i Santapaola-Ercolano, i Paratore avrebbero coltivato un rapporto speciale con Zuccaro, al punto che le risorse economiche di cui avrebbero disposto sarebbero da ricondurre specificatamente al boss e non alla cosiddetta bacinella della cosca.

A sostegno di questa ipotesi ci sono diversi elementi, tra cui un incendio in un lido balneare dei Paratore appiccato su decisione di alcuni esponenti di rilievo dei Santapaola e motivato, si legge nel decreto di confisca, dai «contrasti insorti sulla condotta tenuta dallo Zuccaro, in particolare proprio per la gestione personale e autonoma da parte di questi delle attività imprenditoriali dei Paratore». Ma a dimostrare la vicinanza degli imprenditori al boss ci sono anche fatti privati: Antonino Paratore, infatti, fu il padrino in occasione del battesimo di una figlia di Zuccaro, mentre Carmelo Paratore è stato testimone di nozze del matrimonio del figlio Rosario.

A finire agli atti dell'indagine è stata anche la presenza di Maurizio Zuccaro all'inaugurazione di Cisma Ambiente, società dei Paratore che per tanti anni ha gestito una discarica di rifiuti speciali.

I due, che in questi anni hanno comunque continuato a essere attivi nel mondo imprenditoriale, con il figlio attivo anche nel settore della realizzazione di campi da padel in giro per la provincia di Catania, per il tribunale sono da ritenere socialmente pericolosi e questo a prescindere dal fatto che il processo che li vede imputati di associazione mafiosa tratta vicende che risalgono fino all'aprile 2010.

Le chat di Amara

Il nome di Carmelo Paratore, negli anni scorsi, è finito anche nelle vicende giudiziarie legate a Piero Amara. Tra le chat sequestrate all'ex avvocato dell'Eni ce n'era una in cui Amara parlava con Denis Verdini, l'ex senatore che attualmente sta scontando una condanna definitiva per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino e di recente coinvolto anche in un'indagine per corruzione all'interno di Anas.

Nella chat risalente al 2016, Amara chiedeva a Verdini la disponibilità a incontrare Paratore, indicato come «uno dei nostri sostenitori mensili». Per gli inquirenti il riferimento sarebbe stato ai contributi che Paratore avrebbe dato ad Ala, il movimento politico che all'epoca sosteneva il governo di Matteo Renzi. Sentito sul rapporto con Paratore – nell'ambito dell'indagine poi archiviata sulla presunta esistenza della loggia Ungheria – Verdini ha detto ai magistrati: «Amara mi presentò diversi politici e imprenditori. Questi ultimi facevano offerte di denaro per sostenere il movimento ma io le ho sempre rifiutate».

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