- La partecipazione di Matteo Renzi come ospite di spicco alla conferenza della Future investment initiative (Fii), un evento finanziato dal Fondo sovrano di investimenti dell’Arabia Saudita, ha sollevato una serie di interrogativi
- La “Saudi vision 2030” è fortemente impostata su un nuovo piano di sviluppo post-petrolifero e post-pandemico che mira a ripensare il ruolo delle città.
- La pantomima sul rinascimento messa in scena al Fii pare una folkloristica performance del “vecchio europeo” che, da un lato offre lezioni al “nuovo mondo”, ma dall’altro appare abbagliato dalla promessa di un nuovo mondo green e hi-tech che nasce, però, in un contesto enormemente problematico.
La partecipazione di Matteo Renzi come ospite di spicco alla conferenza della Future investment initiative (Fii), un evento finanziato dal Fondo sovrano di investimenti dell’Arabia Saudita, ha sollevato una serie di interrogativi su un possibile conflitto di interessi da parte di un senatore della Repubblica in carica (e membro della commissione Esteri e commissione Difesa del Senato) che percepisce un compenso da parte di un paese straniero caratterizzato da un regime autoritario tra i più criticati a livello internazionale per la sistematica violazione dei diritti umani e civili.
Renzi ha cercato di fermare le polemiche sostenendo che adesso è il momento di parlare «del futuro dell’Italia, non del futuro dei sauditi», posticipando qualsiasi eventuale discussione sul tema al momento in cui l’attuale crisi di governo avrà trovato soluzione.
Lasciamo ad altri il compito di valutare le questioni giuridiche e istituzionali sollevate da questo incidente, oltre ai possibili risvolti sull’immagine dell’Italia all’estero. Da geografe, vorremo piuttosto mettere in discussione l’idea di sviluppo urbano e sociale messa in evidenza da Renzi nell’intervista al principe Mohammed bin Salman, un’intervista che è diventata virale negli ultimi giorni per l’elogio di Renzi della “Saudi vision 2030” come portatrice di un «nuovo rinascimento».
Ispirazione saudita
È opportuno interrogarsi su quale visione della società post-pandemica il senatore abbia in mente (se quella saudita dovesse fare da fonte di ispirazione), anche perché un’importante parte delle recenti critiche mosse da Renzi al governo Conte hanno a che fare con la visione per il futuro sviluppo dell’Italia associata con i fondi del Next generation Eu.
Nell’intervista a bin Salman emerge un tema chiave, quello dello sviluppo urbano, e Renzi insiste a presentarsi come ex-sindaco di Firenze che sa qualcosa sull’argomento. La “Saudi vision 2030” è fortemente impostata su un nuovo piano di sviluppo post-petrolifero e post-pandemico che mira a ripensare il ruolo delle città. Oltre che poli demografici, le città sono ormai anche nodi fondamentali nelle reti della finanza e degli investimenti globali: l’85 per cento dell’economia mondiale viene dalle città, ci ricorda bin Salman, e l’Arabia saudita non vuole essere da meno su questo fronte. Le città sono per altro anche importanti fulcri di potere geopolitico e diplomatico, consentendo ad un paese di giocare un importante ruolo di playmaker nella regione, sostiene Renzi. Ma sia dal punto di vista demografico sia politico, le città sono anche luoghi all’origine di crescenti diseguaglianze sociali. In un contesto come quello saudita, queste disuguaglianze sono accentuate anche dal rapporto violento del regime con il proprio retaggio urbano, sia architettonico sia sociale.
Lodarlo come esempio da inseguire per un «nuovo rinascimento» rivela sia una profonda ignoranza delle dinamiche di questo paese, sia una visione profondamente problematica di quella che dovrebbe essere «la città di domani».
Epurazioni
Una prima questione riguarda il famoso «costo del lavoro» che Renzi confessa di «invidiare» al principe bin Salman. La realizzazione delle nuove mega-città come Neom, 170 chilometri di infrastrutture sotterranee e vita green in superficie che promette «zero macchine, zero strade e zero emissioni» si sta compiendo, come scriveva il Guardian qualche mese fa, «con il sangue». A parte lo sfruttamento in condizioni di quasi-schiavitù dei lavoratori stranieri (di questo, fra breve), la costruzione della città prevede l’espulsione di almeno 20mila persone che fanno parte della tribù di Huwaitat, una tribù che abita queste terre da prima della fondazione dello stato saudita.
Lo spostamento forzato delle popolazioni locali per far spazio al «nuovo rinascimento» urbano saudita è solo una delle violenze perpetuate da bin Salman.
Oltre all’epurazione delle popolazioni residenti, il regime saudita sta puntando a una epurazione anche dello spazio fisico delle città. Prendiamo ad esempio l’opera di espansione dal 2011 della Grande moschea della Mecca, accusata di fare parte di una campagna di epurazione del retaggio architettonico della città nel nome dello sviluppo urbano, epurazione che include retaggio ottomano, abbaside e dei tempi del profeta. Il governo è infatti stato tacciato di vandalismo culturale dall’Islamic heritage research foundation, che lo accusa di aver distrutto il 95 per cento del patrimonio architettonico della Mecca.
C’è anche da segnalare l’epurazione della diversità religiosa. Secondo l’International Crisis Group, la minoranza sciita è oggetto di forte discriminazione e settarismo: un esempio è la distruzione del quartiere storico di Musawara ad Awamiya. Con la motivazione ufficiale dell’eliminazione di una cellula terroristica annidatasi tra i vecchi vicoli, l’operazione, secondo l’inviato speciale dell’Onu Karima Bennounce, vide «la cancellazione del retaggio storico e vissuto e una chiara violazione saudita delle leggi dei diritti umani internazionali».
Kafala
Ma torniamo alle politiche del lavoro sulle quali si basa lo sviluppo urbano saudita: come documentato da Amnesty international e Human rights watch, la costruzione delle città saudite è basata su un sistematico sfruttamento di lavoratori stranieri, che lavorano in condizioni di semi-schiavitù, spesso senza nessuna protezione sia sanitaria sia lavorativa, e vivono in favelas nascoste nei cantieri delle città-in-divenire.
Inoltre, questi lavoratori, che formano la maggior parte della mano d’opera saudita, sono privi di qualsiasi diritto: come in altri paesi del Medio oriente, lo stato saudita utilizza il sistema di sponsorizzazione chiamato kafala che lega interamente lo status legale degli stranieri al loro contratto di lavoro. Questo vuol dire che i lavoratori possono essere non solo licenziati senza motivazione, ma anche imprigionati o deportati in qualsiasi momento. È sicuro Renzi che questo sia il modello che vogliamo prendere come esempio?
Vale la pena anche aggiungere una nota sulle politiche di genere: solo nel 2019 è stato permesso dallo stato saudita alle donne di guidare (insieme con altre riforme piuttosto “cosmetiche”), ma gli arresti, carcerazioni e maltrattamenti in carcere di attiviste per i diritti delle donne continuano ad oggi, come nel caso dell’attivista Loujain al-Hathloul, ancora in carcere dopo essere stata arrestata due anni fa negli Emirati Arabi.
Il nuovo rinascimento
L’utilità di Renzi per il tentativo di bin Salman di fare un re-branding dell’Arabia Saudita nel mondo come paese all’avanguardia è chiaro: come dice lui stesso, più come ex-sindaco di Firenze che ex-primo ministro dell’Italia. Renzi è un perfetto oggetto folkloristico, un pezzo di heritage europeo da esibire per sostenere la creazione di un nuovo heritage saudita. Ma il rinascimento fiorentino che Renzi crede di poter anacronisticamente rappresentare non corrisponde a quello moderno prospettato da bin Salman. Certo, come allude Renzi, il rinascimento è fiorito in seguito alla peste nera.
Ma va anche ricordato che, in seguito alla peste, il 20 luglio 1378, a Firenze ci fu il tumulto dei Ciompi, una drammatica rivolta popolare provocata dai lavoratori della potente Arte della lana. La forte pressione economica e sociale e la totale privazione di diritti politici ed economici avevano spinto i Ciompi a ribellarsi, prendendo il controllo della città, prima di essere a loro volta sconfitti. La rinascita urbana di Firenze fu quindi possibile grazie proprio ai profondi cambiamenti sociali che consentirono anche lo spostamento di grandi capitali dall’imprenditoria feudale a quella della mercanzia corporativa, e alla diffusione, attraverso le opere d’arte, di nuovi temi di ispirazione profana, spesso inerenti alla vita pubblica e civile.
Nonostante il modesto tentativo di Renzi di ricordare al principe saudita il significato letterale di civitas e polis, egli sembra non ricordarsi il percorso della propria storia urbana. La pantomima sul Rinascimento messa in scena al Fii pare una folkloristica performance del “vecchio europeo” che, da un lato offre lezioni al “nuovo mondo”, ma dall’altro appare abbagliato dalla promessa di un nuovo mondo green e hi-tech che nasce, però, in un contesto enormemente problematico. Possiamo solo sperare che la pièce di Renzi sia, appunto, solo una messa in scena e non effettivamente la sua visione di una rinascita post-pandemica per l’Italia e per l’Europa di oggi.
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