Prima di tutto evitiamo di chiamarla “variante inglese”, per non ripetere l’abiezione del “virus cinese”. Chissà dove è spuntato questo nuovo ramoscello delle migliaia già presenti del virus Sars-Cov-2, il nome ufficiale del nuovo coronavirus. Il primo esemplare è stato raccolto nel Kent il 20 settembre, il secondo il giorno dopo in una zona imprecisata della Greater London.

La scoperta

Quel che si può dire al momento è che questo nuovo “lignaggio virale” che sta causando molta preoccupazione è stato trovato anche grazie al fatto che in Gran Bretagna è in corso da mesi una sorveglianza su grande scala delle varianti del Covid-19, basata sul sequenziamento genetico dei virus estratti da circa il 10 per cento dei casi positivi. La nuova variante ci ha messo solo due mesi per passare da 0 al 65 per cento dei casi nella grande Londra e nel sud est, e ora si scoprono i primi casi anche altrove, fra cui in Italia. Al momento non si può dire che sia più clinicamente aggressiva, ma è difficile negare una sua molto più elevata capacità di diffondersi fra le persone, con un’efficienza stimata del 70 per cento superiore alla variante che era dominante in Inghilterra fino a poche settimane fa.

Il Consorzio degli studi genomici britannico Cog-Uk ha pubblicato due giorni fa un rapporto scientifico che ne delinea le prime caratteristiche dal punto di vista squisitamente genomico. E il ritratto genetico e proteico del nuovo virus ne indica un potenziale di infettività aumentato e quindi preoccupante per la prossima fase della pandemia. Il centro britannico, nato il 4 marzo di quest’anno, ha già sequenziato circa 150mila genomi virali di Sars-Covd-2 scoprendo ora che il nuovo arrivato mette insieme alcune mutazioni già note ma in varianti distinte del virus.

La variante

Lui, il B.1.1.7., invece, ce le ha insieme, e questo non va bene. Due mutazioni in particolare, delle 14 trovate sul genoma del coronavirus, destano preoccupazione. Una è la cosiddetta N501Y, posta in uno dei punti chiave in cima alla proteina S (spike) del coronavirus, quella che serve come una chiave per forzare le serrature delle cellule umane aggredite dai virus, ovvero i recettori ACE2. La mutazione riguarda proprio una dei sei domini che legano il recettore presi di mira anche dai vaccini. In presenza di questa mutazione, la chiave, diciamo, gira meglio nella serratura.

La nuova variante ha poi un’altra mutazione significativa, la P681H, che sembra invece facilitare - attraverso il taglio coordinato delle proteine del virus - il suo ingresso nelle cellule epiteliali respiratorie e la replicazione.

L’osservazione clinica dei casi affetti dalla variante vede di fatto una maggiore probabilità di trasmissione a parità di carica virale. Da qui probabilmente l’improvvisa accelerazione dei casi, ricoveri e anche decessi registrati nelle ultime due settimane in Inghilterra, che hanno indotto uno sconfortato Boris Johnson a cancellare le feste natalizie nell’area londinese e del sud est dove la variante è maggiormente diffusa.

L’origine

Come sia riuscito a farsi strada fra le tante varianti questa forma particolarmente divergente di virus è presto per dirlo. Secondo un primo studio firmato dalle principali università inglesi (fra cui Imperial College, università di Oxford e Cambridge), e fra i cui autori si segnala anche l’italiano Alessandro Carabelli, la variante potrebbe essere nata per pressione selettiva in pazienti immunocompromessi che hanno fatto lunghe infezioni (dai due ai quattro mesi) e trattati con più tipi di plasmi iperimmuni. Dal fuoco incrociato, insomma, potrebbero essere usciti nemici più tosti.

L’azione dei vaccini in arrivo potrebbe non risentirne. Anche se, come osserva in un commento sul sito del Consorzio genomico inglese il ricercatore Alessandro Carabelli, il fatto che sia i vaccini sia gli anticorpi somministrati via plasma dei convalescenti «prendono di mira principalmente la proteina spike del coronavirus, questo fornisce la prova di una maggiore possibilità di fuga dei mutanti generati nelle infezioni persistenti». I quali - se diventassero dominanti nella popolazione - potrebbero «eludere l'immunità mediata dai vaccini».

Ma secondo molte fonti i vaccini inducono una reazione immunitaria molto ampia nella popolazione trattata, che difficilmente può essere manomessa da una singola variante virale. Ciò non toglie che sia un bene isolare la zona di maggior diffusione della nuova variante e procedere con molta decisione e discernimento con le vaccinazioni.

Resta da capire se bastino queste misure per fermare un virus già individuato altrove. Oltre all’inaspettato rimbalzo del numero totale di casi nel Regno Unito, la curva dell’epidemia sta leggermente risalendo in Francia, e sembra che la discesa si sia fermata anche in Italia.

 

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