- La nuova diga foranea di Genova è uno dei progetti simbolo della semplificazione normativa che il governo Draghi ha voluto per il Pnrr e quello in stadio più avanzato.
- È inserita infatti nel piano straordinario di opere portuali ottenuto dal governatore ligure Toti, prototipo del “modello Genova” per l’alleggerimento delle norme ordinarie.
- Malgrado tutte le deroghe, l’iter della diga è in grave ritardo e la realizzazione a rischio, mentre il governo, nel corso del consiglio dei ministri, ha inserito la proroga dell’incarico commissariale di Bucci per altri tre anni, preludio al prolungamento del termine ultimo (15 gennaio 2022) per l’avvio del pacchetto portuale, diga compresa.
Velocizzare, approvare, cementare. Il paradigma del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, in Italia è questo e il governo Draghi l’ha declinato nel decreto Semplificazioni bis (il primo fu opera del governo Conte II). Il provvedimento, approvato a luglio, oltre a smantellare le procedure ordinarie per la realizzazione di infrastrutture col pretesto del rispetto del termine (2026) per l’utilizzo delle risorse ottenute da Bruxelles, contiene un elenco di dieci opere «di particolare complessità o di rilevante impatto» che potranno beneficiare di ulteriori semplificazioni. Il primo test si sta rivelando però un fiasco per l’esecutivo.
Dopo il ponte Morandi
L’idea della nuova diga foranea del porto di Genova risale a prima del Covid e del Pnrr. La progettazione preliminare fu bandita nel novembre 2018 e fu poi inserita nel pacchetto di infrastrutture per le quali il decreto Genova (il provvedimento post Morandi) consentiva di utilizzare procedure accelerate alla stazione appaltante, l’autorità portuale del capoluogo ligure, presieduta allora come oggi da Paolo Emilio Signorini, fedelissimo del governatore Giovanni Toti e del sindaco Marco Bucci.
Le prerogative procedurali attribuite a Signorini ricalcavano quelle concesse al primo cittadino per la ricostruzione del viadotto Morandi. Con alcune differenze fondamentali: il ponte era un progetto solo, relativamente semplice da un punto di vista tecnico e i soldi non erano un problema dato che sarebbe stata Autostrade a pagare a piè di lista, peraltro una cifra pari a meno del 25 per cento del miliardo del pacchetto portuale.
Toti, Bucci e Signorini, aiutati dall’inspiegabile silenzio delle opposizioni, hanno trasformato questo programma infrastrutturale in uno strumento di propaganda, ottenendo, oltre alle deroghe, 200 milioni da spalmare su decine di appalti e presentandolo come un “new deal” cittadino. Nel giro di due anni ci è stato inserito di tutto e le stime di costo sono lievitate enormemente fino a 2,3 miliardi: la sola prima fase della diga è passata da 300 milioni della prima versione ai 950 attuali.
Il meccanismo inceppato
A differenza del ponte, però, qui paga lo stato e le risorse scarseggiano: ad oggi, a 4 mesi e mezzo dal termine ultimo (stabilito dal decreto Genova a fronte delle velocizzazioni concesse per l’iter) per aggiudicare l’appalto integrato per progettazione definitiva, esecutiva e lavori l’opera è finanziata solo per circa 650 milioni (500 del fondo complementare al Pnrr, 100 di stanziamenti del ministero delle Infrastrutture e 56 della Regione).
Il primo appalto rilevante del pacchetto è stato aggiudicato (alla Pizzarotti) a fine 2019 ma i lavori non sono ancora partiti per carenze degli elaborati progettuali mentre il prezzo è già cresciuto da 128 a 142 milioni. Diversi appalti “minori” restano da aggiudicare e il responsabile dell’attuazione Marco Rettighieri (ingaggiato ad hoc per 180mila euro annui) a maggio, a nove mesi dalla chiusura del programma, si è improvvisamente dimesso, rimpiazzato da Bucci con Umberto Benezzoli (manager cresciuto nella Regione Lombardia di Roberto Formigoni).
Il tutto mentre il progetto più iconico e costoso, la diga appunto, è indietro rispetto al calendario iniziale dell’autorità portuale. Un segnale allarmante per gli amministratori locali (che in caso di insuccesso potranno però addossare a Roma la responsabilità), ma anche e forse soprattutto per chi ha istituzionalizzato in una legge il “modello Genova”.
Un iter opaco
A stupire è il silenzio delle istituzioni dopo la conclusione del dibattito pubblico e l’accantonamento delle numerose problematiche emerse. In assenza di chiarimenti, Domani ha potuto ricostruire l’iter solo attraverso indagini giornalistiche e accessi agli atti dell’autorità portuale.
La progettazione preliminare (fattibilità tecnico-economica) è stata consegnata dalla cordata guidata da Technital a fine aprile. Il 7 maggio è stata inoltrata al consiglio superiore dei lavori pubblici per l’espressione del necessario parere. Mai giunto a Genova, però, secondo quanto riferisce l’ente.
Strano, perché le procedure superveloci concedono al massimo organo tecnico dello stato solo 45 giorni per pronunciarsi. Dopodiché, proprio per la fretta che caratterizza il Pnrr e il decreto semplificazioni bis, la stazione appaltante può considerare il silenzio come un parere positivo e procedere. Invece, malgrado i tempi strettissimi, a tutt’oggi, dopo oltre 100 giorni, non risulta istruita la pratica per la valutazione di impatto ambientale né convocata la conferenza dei servizi.
Contestualmente all’invio al consiglio, la progettazione preliminare veniva sottoposta anche alla procedura di verifica, appaltata a Rina Check, società del gruppo genovese Rina (che aveva partecipato, sconfitta, alla gara per la progettazione vinta poi da Technital, perdendo anche il relativo ricorso). Nulla veniva reso noto, ma a luglio l’autorità portuale sul proprio sito scriveva: «verifica conclusa positivamente». Dicitura poi rimossa.
La testata specializzata Shipping Italy ha scoperto che non era del tutto vero. Come poi pochi giorni fa l’ostensione obbligata del “rapporto finale” di Rina (datato 25 giugno) ha dimostrato: il progetto è «conforme», ma restano irrisolte «alcune osservazioni», in parte attinenti «idrologia, idraulica e infrastrutture portuali».
Il che fa legittimamente ipotizzare che l’impasse del Consiglio possa scaturire da analoghi o ulteriori rilievi (ancorché informali) e che la stazione appaltante non abbia voluto assumersi la responsabilità di procedere in autonomia. Con ciò sconfessando però la logica delle semplificazioni volute da Draghi: fissare termini perentori e superare l’inerzia delle amministrazioni preposte alla realizzazione delle infrastrutture.
Inutile chiedere chiarimenti all’ente genovese e al ministero delle Infrastrutture, cui fan capo sia il consiglio superiore che l’autorità portuale. Certo è che ieri il governo, nel corso del consiglio dei ministri, ha inserito la proroga dell’incarico commissariale di Bucci per altri tre anni, preludio al prolungamento del termine ultimo (15 gennaio 2022) per l’avvio del pacchetto portuale, diga compresa. E che l’autorità portuale ha appaltato (per oltre 12 milioni di euro) la direzione lavori, specificando che in primis l’appaltatore si occuperà di fornire supporto «al fine di consentire all’amministrazione di procedere all’approvazione del progetto di fattibilità tecnico-economica». Un obiettivo alla portata dell’appaltatore, Rina Consulting: ai rilievi sollevati da una società di Rina provvederà un’altra società di Rina.
Molto più difficile, se questo è l’assaggio delle semplificazioni, sarà evitare la restituzione a Bruxelles dei fondi del Pnrr.
Il progetto della diga
La nuova diga foranea di Genova è pensata per aumentare l’accessibilità nautica del porto storico di Genova alle navi di maggiori dimensioni. Il costo è stimato in un miliardo e 300mila euro.
Dopo la progettazione preliminare, affidata per circa sei milioni a una cordata capitanata da Technital, si dovrebbe procedere, grazie alle deroghe permesse dai decreti Genova e semplificazioni bis, con un appalto integrato per progettazione definitiva, esecutiva ed esecuzione. L’opera non è però ad oggi finanziata completamente e i tempi stringono. Il decreto Genova prevede l’affido dell’appalto non oltre il 15 gennaio 2022.
A gennaio 2021 si è svolto il dibattito pubblico sulla progettazione preliminare. Malgrado l’autorità portuale abbia concesso solo un mese sui quattro a disposizione, i rilievi emersi sono notevoli. Da un’analisi costi benefici piena di contraddizioni e dati incongruenti all’impatto sulla viabilità cittadina (stradale e ferroviaria) degli aumenti di traffico previsti, all’ignorato contrasto con gli strumenti pianificatori vigenti dell’opzione progettuale scelta (la più costosa fra le tre suggerite da Technital).
L’insieme di questi fattori può portare a una realizzazione solo parziale i cui benefici sarebbero certi per un paio di concessionari privati (in particolare i gruppi Msc e Spinelli), ma dubbi per gli altri operatori, per i genovesi e per i contribuenti italiani.
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