- Uno studio condotto dall'osservatorio sul lavoro agile del Politecnico di Milano ha fatto emergere che, durante il lockdown, i lavoratori in smart working sono stati 6,58 milioni, dieci volte in più del 2019.
- Stando alle informazioni contenute nel report, il lavoro da remoto ha riguardato in maniera trasversale grandi, piccole e medie imprese nonché amministrazioni pubbliche in percentuali altissime.
- Il ricorso allo smart working durante il periodo di confinamento generalizzato ha dimostrato come un modo diverso di lavorare sia possibile, ma ha anche messo a nudo l'impreparazione tecnologica di molte organizzazioni.
Sono stati 6,58 milioni i lavoratori in smart working in Italia durante il lockdown, oltre dieci volte di più dei 570mila censiti nel 2019.
È il dato emerso dallo studio condotto dall'osservatorio sul lavoro agile del Politecnico di Milano, i cui risultati sono stati presentati oggi durante il convegno Smart working, il futuro del lavoro oltre l'emergenza.
Stando alle informazioni contenute nel report, il lavoro da remoto ha riguardato in maniera trasversale grandi, piccole e medie imprese nonché amministrazioni pubbliche in percentuali altissime, tra il 60 e il 97%, coinvolgendo circa un terzo dei lavoratori dipendenti.
Superata la fase acuta dell'emergenza, il numero di smart worker è lievemente sceso, a settembre il dato è di 5,06 milioni. In media i dipendenti delle grandi aziende private hanno lavorato da remoto per la metà del loro tempo lavorativo (circa 2,7 giorni a settimana), nel pubblico 1,2 giorni a settimana.
Nonostante una lieve flessione, secondo le stime, il numero di coloro che lavoreranno almeno in parte da remoto, nei prossimi mesi, durante la cosiddetta fase di 'new normal', si assesterà intorno ai 5,35 milioni.
Il ricorso allo smart working durante il periodo di confinamento generalizzato, seppure in maniera forzata ed emergenziale, ha dimostrato come un modo diverso di lavorare sia possibile anche per figure professionali prima ritenute incompatibili, ma ha anche nel contempo messo a nudo l'impreparazione tecnologica di molte organizzazioni.
Problemi tecnologici, di work-life balance e gestione del carico di lavoro tra le criticità più frequentemente rilevate, tanto da costringere almeno 2 grandi imprese su 3 ad aumentare la dotazione di pc portatili e strumenti hardware.
Nonostante le difficoltà, questo smart working atipico ha però contribuito anche a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% nella pubblica amministrazione), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile (65% delle grandi imprese), segnando una svolta irreversibile nell'organizzazione del lavoro.
«L'emergenza Covid-19 ha accelerato una trasformazione del modello di organizzazione del lavoro che in tempi normali avrebbe richiesto anni, dimostrando che lo smart working può riguardare una platea potenzialmente molto ampia di lavoratori, a patto di digitalizzare i processi e dotare il personale di strumenti e competenze adeguate», ha affermato Mariano Corso, responsabile scientifico dell'osservatorio, che invita a fare tesoro e a non disperdere il know-how e il patrimonio conoscitivo, in termini di flessibilità lavorativa, conseguito in questi mesi.
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