- «Lui dice non va bene perché noi al Morandi con questo materiale l’abbiamo fatto e casca tutto ... bà posso fare spicconare un po’ di più ma non ... no, no così non va bene se mettete un altro tipo di materiale» dice un referente del cantiere dei lavori per il risanamento strutturale del viadotto Bisantis e della galleria Sansinato.
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Oggi il viadotto “Bisantis”, conosciuto anche come il ponte Morandi di Catanzaro, e la galleria Sansinato sulla Statale 280 dei due mari, sono stati sequestrati in attesa di svolgere accertamenti di natura tecnica. È il risultato dell’operazione “Brookyln” condotta dalla procura di Catanzaro che si è conclusa con tre arresti in carcere e uno ai domiciliari.
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L’azienda, sia per ragioni economiche sia di tempo, visto il notevole ritardo dei lavori, ha usato un materiale inadeguato, definito come «una porcheria», di cui tutti ne erano consapevoli.
«Lui dice non va bene perché noi al Morandi con questo materiale l’abbiamo fatto e casca tutto ... bà posso fare spicconare un po’ di più ma non ... no, no così non va bene se mettete un altro tipo di materiale» dice un referente del cantiere dei lavori per il risanamento strutturale del viadotto Bisantis e della galleria Sansinato. «Non abbiamo altri tipi di materiale ... spiccona un po’ di più» è la risposta di Gaetano Curcio il direttore tecnico della Tank srl sospeso per nove mesi dalle sue funzioni di geometra.
Ora il viadotto “Bisantis”, conosciuto anche come il ponte Morandi di Catanzaro, e la galleria Sansinato sulla Statale 280 dei due mari, sempre in Calabria, sono stati sequestrati in attesa di accertamenti di natura tecnica sulla qualità dei materiali usati. Questo l’elemento più preoccupante emerso dall’operazione “Brookyln” condotta dalla procura di Catanzaro che si è conclusa con tre arresti in carcere e uno ai domiciliari.
L’ordinanza di arresto, firmata dal gip Paola Ciriaco, riguarda i fratelli Sgromo (Eugenio e Sebastiano), Rosa Cavaliere, Michele Marinaro, Gaetano Curcio e Silvio Baudi. Sono accusati, a vario titolo, di intestazione fittizia e associazione a delinquere aggravati dalla modalità e finalità mafiosa, corruzione, autoriciclaggio, frode in pubbliche forniture e truffa. Nell’operazione è stato eseguito anche il sequestro preventivo di tre società di costruzione tra cui la Tank srl e una somma in denaro di 200mila euro, un profitto derivato dai reati commessi e contestati dai pm.
«La porcheria»
Le intercettazioni sul materiale scadente contenute nell’ordinanza fanno riferimento all’esecuzione di alcuni lavori appaltati dall’Anas al Consorzio Valori Scarl, che a sua volta ha individuato la Tank srl, riconducibile ai fratelli Sgromo, come azienda esecutrice dei lavori.
Nello specifico l’azienda, sia per ragioni economiche sia di tempo, visto il notevole ritardo dei lavori, ha usato un materiale inadeguato, o meglio definito come «una porcheria» nelle intercettazioni. Scarsissima qualità di cui tutti ne erano consapevoli. Ne era consapevole anche Baudi, l’ingegnere dei lavori Anas che doveva supervisionare i lavori del lotto in questione e che per aver avallato la scelta di un materiale scadente è stato interdetto per sei mesi.
I fratelli Sgromo
Sulla carta, i titolari della Tank srl non sono i due Sgromo. Ma per gli inquirenti non ci sono dubbi, i fratelli avrebbero deciso di intestare la società ad altri soggetti «al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale loro potenzialmente applicabili».
Questo perché secondo gli investigatori gli Sgromo sono vicini ai clan della zona, grazie ai quali avrebbero ottenuto varie agevolazioni, ed è il motivo per il quale gli viene contestato l’aggravante mafiosa. Il collaboratore di giustizia Gennaro Pulice, in un interrogatorio del 2016, ha indicato i fratelli Sgromo come imprenditori di riferimento della cosca Iannazzo a cui hanno subappaltato alcuni lavori. Progetti di un certo livello come quelli eseguiti nell’aeroporto di Lamezia. Per Pulice, appartenente all’omonima cosca, gli Sgromo sono «persone da noi considerate intranee alla cosca e non persone da sottoporre ai danneggiamenti».
Inoltre nel curriculum dei fratelli c’è traccia anche di connessioni con il gruppo riconducibile ad Antonio Gallo, altro imprenditore “signore degli appalti” indagato in una delle tante inchieste sui lavori pubblici della procura di Catanzaro. In quell’indagine è emerso un giro di riciclaggio che ha coinvolto anche persone di nazionalità albanese.
Il finanziere dei servizi
In carcere è finito anche Michele Marinaro, ispettore della guardia di Finanza prima in servizio alla Direzione Investigativa Antimafia e successivamente impiegato nella presidenza del Consiglio dei ministri ambito servizi di informazione. Nell’ordinanza si legge: «Marinaro metteva a disposizione di Eugenio Sgromo la sua funzione in cambio di utilità sia di contenuto economico, che di altro contenuto», per esempio i trattamenti di favori presso un concessionario di auto di Lamezia.
Il ruolo di Marinaro emerge chiaramente dagli atti dell’accusa: indirizzava l’esito delle indagini in corso a favore dei due fratelli e li avvertiva, violando il vincolo di segretezza, anche sulle decisioni prese dalla procura. Oggi Marinaro, già coinvolto nell’operazione con centinaia di arresti “Rinascita-Scott”, è indagato per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreto d’ufficio.
Nelle carte compare anche il nome di un personaggio politico. Si tratta di Ferdinando Aiello del Partito democratico. «A fronte della redazione di una nota di pg favorevole ai fratelli Sgromo il Marinaro avrebbe ottenuto l’utilità consistente nel proprio trasferimento, per il tramite dell’onorevole Ferdinando Aiello, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri», si legge nelle carte. Aiello non è indagato, ma per il giudice che ha firmato l’ordinanza, gli incontri avuti nel 2016 con Sgromo fugano ogni subbio sul suo ruolo.
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