- Uno dei problemi che hanno minato la credibilità della professione giornalistica nel nostro paese è l'incrocio incestuoso tra politica e informazione.
- Per affrontare, con piglio senza dubbio originale, l'atavica questione Alfredo Romeo, imprenditore napoletano con la passione per i giornali e qualche grana giudiziaria da affrontare, ha deciso di puntare in alto e ha scelto come nuovo direttore del Riformista un senatore in carica.
- Non ha puntato su uno qualsiasi, ma su un cavallo, un tempo vincente, Matteo Renzi.
Uno dei problemi che hanno minato la credibilità della professione giornalistica nel nostro paese è l'incrocio incestuoso tra politica e informazione. Per risolvere a modo suo la questione Alfredo Romeo, imprenditore napoletano con la passione per i giornali e qualche grana giudiziaria da affrontare, ha deciso di puntare in alto e ha scelto come nuovo direttore del Riformista un senatore in carica: Matteo Renzi.
Così ha consegnato il foglio, gradito ai nemici dei giudici, all'ex primo ministro che con le toghe ha diversi conti aperti. Ma anche con i giornalisti che, a ogni battuta corrosiva scritta sul suo conto, colpisce con raffiche di querele.
«Tanti parlamentari hanno fatto i direttori. Walter Veltroni era vice direttore dell’Unità, Sergio Mattarella direttore del Popolo», ha detto Renzi per smussare le polemiche. Quelli erano però fogli di partito.
Anche questa volta, con la nuova avventura al Riformista, Renzi si regala un altro primato assicurando che «ci sarà un direttore, lo annunceremo a breve, perché non ho il tesserino da giornalista»
La storia diventa poi ancora meno banale se si pensa che i cognomi Romeo e Renzi sono cognomi che si incrociano non solo nei trafficato mondo dell’editoria, ma anche in un’inchiesta per traffico di influenze, dove sono imputati Romeo, appunto, e il padre di Renzi, Tiziano.
Il guaio giudiziario
Il babbo di Matteo è stato in passato in ottimi rapporti con Romeo. Secondo la procura addirittura troppo stretti: i pm di Roma contestano alla coppia appunto il traffico d’influenze, processo che è ancora in piedi in primo grado.
L'ex primo ministro si sta difendendo a Firenze per un presunto finanziamento illecito, ma non ha alcuna pendenza a piazzale Clodio, che da poco ha archiviato un’inchiesta sui rapporti economici tra il senatore di Rignano e l’agente delle star Lucio Presta.
Tiziano Renzi e Romeo sono invece imputati in un filone romano della mega inchiesta nata dagli appalti Consip.
I fatti riguardano i contatti e le interazioni con l'allora manager della più importante stazione appaltante italiana, Luigi Marroni, per facilitare gli interessi della Romeo Gestioni interessata a una delle gare, quella Fm4 da 2,7 miliardi di euro, indette da Consip.
Carlo Russo, vivace imprenditore del settore farmaceutico, avrebbe agito in accordo con Tiziano Renzi. Un'inchiesta che ha perso pezzi, è stata ridimensionata, ma che ha avuto un punto fermo quando il funzionario Consip, Marco Gasparri, nel 2017, ha patteggiato una condanna a un anno e otto mesi di reclusione dopo aver ammesso di aver «preso 100 mila euro nell’arco di quattro anni per informare Alfredo Romeo sulle gare bandite da Consip».
Una vicenda per la quale, lo scorso novembre, l'imprenditore-editore è stato condannato a 2 anni e 6 mesi di carcere, dopo aver versato anche una provvisionale di 150 mila euro alla Centrale unica degli acquisti. Ma siamo solo in primo grado.
Nel gennaio scorso, invece, è stato assolto in un altro filone dall’accusa di turbativa d’asta in merito alla gara Fm4.
Le pendenze giudiziarie vengono ignorate dagli amici dell'editore, «Alfredo Romeo è un galantuomo e le vicende giudiziarie che avete seguito mi convincono ancora di più di questo, perché l’inchiesta Consip ha dimostrato il ruolo avuto da pezzi deviati delle istituzioni», ha detto Renzi.
Nel caso qualcuno dalle parti della procura dovesse querelarlo, Renzi potrebbe sempre difendersi invocando l'insindacabilità, in fondo quella del senatore-direttore risolve anche un'altra questione, quella relativa alle querele temearie, altra spina nel fianco della libera informazione.
Il direttore Renzi quando pubblicherà inchieste sferzanti contro il potere, in caso di offensiva giudiziaria potrà alzare lo scudo delle guarentigie parlamentari del senatore Renzi per proteggere il giornale.
In nome del padre
Oltre le pieghe giudiziarie c'è il rapporto tra babbo Renzi e Romeo, raccontato da chi scrive sull'Espresso attraverso le dichiarazioni dell'allora manager renziano a capo di Consip.
Marroni, nel dicembre 2016, interrogato dai pubblici ministeri parlava di pressioni che avrebbe subito, di interessi in gioco riferiti a due cordate imprenditoriali che si erano munite di sponsor politici.
In mezzo alle dichiarazioni c'è un fatto raccontato ai magistrati dall'allora manager. Nel marzo del 2016 Tiziano Renzi in persona gli chiese un incontro riservato, effettivamente avvenuto - a suo dire - in piazza Santo Spirito a Firenze.
Il numero uno della Consip ammette con gli inquirenti che il papà dell’allora premier gli avrebbe chiesto in quel frangente di «accontentare» le richieste di Russo, perché persona di sua fiducia.
Tiziano stesso avrebbe presentato l’amico imprenditore all’ad di Consip durante un primo incontro avvenuto qualche tempo prima. Marroni aggiunge pure che, di fronte alle sollecitazioni, lui non si è mai piegato. Avrebbe ascoltato con pazienza gli interlocutori, senza però dare seguito a nessuna delle richieste.
Marroni ai magistrati ricordava anche che Carlo Russo, in occasione di un incontro a due negli uffici romani della Consip, gli avrebbe chiesto in modo pressante di favorire una società nel cuore di Denis Verdini, ex senatore vicino al mondo renziano, ricordandogli che la sua promozione in Consip era avvenuta proprio grazie ai buoni uffici di Tiziano Renzi e di Verdini.
Di più: Russo avrebbe sottolineato a Marroni - dice ancora l’ex numero uno della Consip agli inquirenti - come Tiziano e Denis fossero ancora «arbitri del mio destino professionale», potendo la coppia «revocare» il suo incarico di amministratore delegato della stazione appaltante: una spa controllata al cento per cento dal ministero dell’Economia.
Per Verdini il processo di primo grado si è chiuso con una condanna a un anno per turbativa d’asta, il pubblico ministero aveva chiesto l'assoluzione.
Verdini aveva anche sostenuto, con il suo partitino Ala, l'avventura politica del governo Renzi. Ora per l'ex presidente del Consiglio la sfida sarà tripla, senatore, conferenziere internazionale con frequenti ingaggi da parte di paesi non democratici come l'Arabia Saudita e anche direttore. Uno e trino.
© Riproduzione riservata