- Prima la vendetta del giudice Luca Palamara, che ha raccontato le sordide cose del suo ambiente, poi un discreto Watergate legato all’Eni, infine il Covid ha fatto vedere quello che succede nelle carceri, dove si può morire a schiere senza far rumore.
- Nel giro di quindici giorni il processo sulla trattativa stato-mafia è stato demolito dalle fondamenta. Riguardava nientemeno che l’atto fondante dell’Italia moderna: la stagione delle stragi del 1992-93, la morte degli eroi, la nostra identità.
- Sarebbe bello che la magistratura mettesse sotto processo sé stessa, come ha fatto la mafia e come si spera faccia Zuckerberg. Una cosa accomuna Facebook alla magistratura italiana: scommettere su chi cade per primo.
Prendiamola da lontano: una settimana fa Facebook, il più grande monopolio dell’informazione apparentemente gratuita e della telefonia gratuita, ha avuto un grosso infarto seguito da gravi fibrillazioni: un pauroso blackout mondiale di sei ore, un crollo in borsa si sono sommati alla rivelazione, davanti al Senato americano, dei sordidi motivi che guidano il Moloch: avidità, null’altro; e se si diffondono messaggi di odio, ben vengano, anzi perché generano più link.
Secondo i media americani, intorno al colosso sta maturando un’implosione e prevedono, sulla scorta della storia: gli imperi crollano sempre dall’interno, non resta che monitorare l’ampiezza delle crepe, e, se abbiamo interessi da quelle parti, cercare di anticipare possibili ferali notizie da Wall Street.
Nella nostra piccola periferia, possiamo monitorare, perché anche qui c’è aura di un sommovimento. Questa volta non riguarda populismi o altri movimenti folklorici, ma una delle componenti più stimate e basilari della nostra democrazia, la magistratura.
Era cominciata con la vendetta (riuscita) del giudice Luca Palamara che aveva raccontato le sordide cose del suo ambiente; era proseguito con un discreto Watergate legato all’Eni in cui era coinvolta la “integerrima” procura di Milano; il Covid aveva fatto poi vedere quello che succede veramente nelle carceri, come si possa morire a schiere senza far rumore, come si possa essere massacrati senza pagare dazio; nelle ultime settimane poi è avvenuta una debacle che ha colpito al cuore le toghe.
Nel giro di quindici giorni un processo che durava da quindici anni – quello della trattativa stato-mafia; era diventato una specie di Casa desolata di Dickens – è stato demolito dalle fondamenta; appena ieri il procuratore generale della Cassazione, Pietro Gaeta, argomentando sul trentennale depistaggio operato sul delitto Borsellino, l’ha definito una «mostruosa costruzione, una pagina vergognosa e tragica della giustizia italiana». (Finalmente un coraggioso, se posso dire).
Stiamo parlando di due processi legati indissolubilmente tra di loro e che riguardano nientemeno che l’atto fondante dell’Italia moderna: la stagione delle stragi del 1992-93, la morte degli eroi, la nostra identità.
Ebbene, oggi scopriamo che le grandi inchieste da cui dipende la nostra democrazia sono state condotte da magistrati inetti, o pigri, o loschi, che i pentiti erano falsi, che le prove erano manipolate, che i veri colpevoli sono stati protetti, che i patrimoni dei mafiosi sono stati ipergarantiti, che una dozzina di innocenti sono stati in galera per 15 anni, a Pianosa peraltro, che non è poi così differente da Guantanamo; che in mezzo a queste infamie sono state costruite carriere politiche, giornalistiche: non è uno scandalo, è statistica.
E che nessuno di questi magistrati che abbia preso a cuore le vittime; tutti sapevano e tutti tacevano. Sono passati trent’anni, tanto è durata la “mostruosa costruzione”. Cadrà? Difficile, come ha scritto Mattia Feltri ieri sulla Stampa, perché i loro autori «che stanno intorno a procure e tribunali o magari ci stanno dentro, con le loro corone e i loro scettri… e non pagano mai». (È così, purtroppo, nessuno pagherà mai per la sentenza contro Mimmo Lucano.)
Ma abbiamo finalmente Cartabia, dicono. Sperem, dicono a Milano, quando la cosa è in dubbio... Certo sarebbe bello che la magistratura mettesse sotto processo sé stessa, come ha fatto la mafia e come si spera faccia Mark Zuckerberg; ma credo bisognerà ancora attendere.. Ecco, una cosa accomuna Facebook alla magistratura italiana. Scommettere su chi cade per primo.
Se volete sapere chi ha ucciso Falcone e Borsellino, mettetevi il cuore in pace: non saranno i magistrati a dirvelo, e dire che hanno avuto trent’anni a disposizione. Dovrebbero vergognarsi, come gli suggerisce il loro collega Gaeta, anche perché il caso era tutto sommato semplice.
Vengono tanti brutti pensieri. Uno tra i tanti: come è stato possibile che la “mostruosa costruzione” sia stata accettata, sposata, digerita e cacata da centinaia di magistrati che vi sono stati coinvolti? Come è stato possibile che un paese colto e civile come l’Italia sia stato così fatto fesso? Sta a vedere che alla fine è colpa nostra…
P.S: È uscito ieri un libro di cui si parlerà molto. Ilda Bocassini, la magistrata famosa in tutto il mondo per essere stata protagonista (inaspettata) dei principali avvenimenti italiani degli ultimi trent’anni, getta uno sguardo sincero sulla magistratura che ha conosciuto. La storia che racconta è un’esperienza di passioni, amore e destino. Sarebbe bello fosse l’inizio di un’autocoscienza collettiva della categoria più riservata (omertosa?) della vita pubblica italiana. (Ilda Bocassini, La Stanza numero 30, cronache di una vita. Feltrinelli).
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