Dopo aver ricevuto tre anni e sei mesi dalla Corte d'Assise di Taranto, il presidente nazionale di Sinistra ecologia libertà ha annunciato ricorso in appello, per fare giustizia, definendo vergognosa la sentenza ricevuta insieme allo scienziato Assennato
La Corte d'Assise di Taranto, nell'ambito del maxi processo Ambiente svenduto, ha emesso sette condanne, tra le quali una di tre anni e sei mesi di reclusione nei confronti di Nichi Vendola, che dopo la sentenza ha detto la sua sul verdetto della giuria.
«Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità. Una sentenza che colpisce chi non ha mai preso un soldo dai Riva, che ha scoperchiato la fabbrica, che ha imposto leggi contro i veleni. Ho taciuto per dieci anni, difendendomi nelle aule di giustizia. Ora non starò più zitto», ha dichiarato il presidente nazionale di Sinistra ecologia libertà. «Condannare me e Assennato è una vergogna, non fummo complici dei Riva, ma coloro che ruppero lunghi silenzi e una diffusa complicità – ha aggiunto -. È come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova», ha spiegato Vendola, precisando che né lui né Assennato hanno mai accettato o preso soldi dai fratelli Riva. Poi, ha annunciato ricorso in appello, contro quella che ha definito una «giustizia malata».
Oltre a Nichi Vendola, a sostegno delle condanne, si è invece espresso Rocco Palombella, segretario generale della Uilm: «Dopo pesanti condanne, serve ora accelerare sulla transizione ecologica e su un futuro che sia ecosistemi».
«Questa sentenza con pesanti condanne penali deve rappresentare la fine di un’epoca, fatta di inquinamento, di conflitto tra salute e lavoro, tra cittadini e lavoratori. Oggi è stato stabilito, ancora una volta, che uno stabilimento così grande e importante per l’intero Paese non può essere lasciato in mani private senza alcun controllo da parte dello Stato che, al contrario, deve garantire contemporaneamente il rispetto della salute e il lavoro», ha dichiarato Palombella, secondo il quale ora toccherà proprio allo Stato dover investire senza badare ai costi, ma al contrario ai benefici che potrebbe trarne il paese, anche grazie ai fondi europei, per anticipare i tempi della transizione ecologica al meglio. Palombella ha chiesto al governo di dare una risposta che sia il più chiara possibile su ciò che vuole fare nella città di Taranto: che futuro immagina per la città, su cosa e come vuole investire, soprattutto. Perché è proprio da Taranto che dipende il futuro di tutti gli altri stabilimenti del gruppo. «Dopo nove anni dal sequestro degli impianti, è arrivato il momento delle scelte definitive da parte dello Stato – conclude – Non è più il tempo di rimandare decisioni che da troppi anni i lavoratori e i cittadini di Taranto attendono».
Anche la segreteria nazionale di Sinistra italiana ha commentato la notizia attraverso un comunicato: «Nichi Vendola e il prof. Giorgio Assennato hanno passato la vita a difendere il lavoro, la salute e l’ambiente. In settanta anni (70 anni, lo ribadiamo) di attività dell’Ilva di Taranto, nessuno è intervenuto quanto loro sia sul fronte normativo, attraverso leggi e regolamenti, sia sul fronte dei controlli sull’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico, serrati e ripetuti e documentati».
«Del resto, sono proprio quei controlli – prosegue il comunicato – ad aver generato la grande mole di dati necessaria a svelare la verità su quanto si consumava (e ancora si consuma) da molti decenni a Taranto. Dati indispensabili persino a imbastire il processo che ha coinvolto Vendola e Assennato, condannati questa mattina, insieme ai gestori nella sentenza di primo grado. Sta anche in questo paradosso la profonda ingiustizia che si è consumata con l’odierna pronuncia la quale, ne siamo certi, sarà ribaltata nei prossimi gradi di giudizio».
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