L’attacco al conduttore di Rai 3, Riccardo Iacona, e al procuratore Nicola Gratteri: «Processo Rinascita-Scott celebrato dalla Tv di Stato con la condanna anticipata di tutti gli imputati». Il giornalista si difende: «Con questo criterio, non si potrebbe raccontare la grande criminalità organizzata nel nostro Paese»
La trasmissione Presa Diretta, condotta da Riccardo Iacona, con al centro la ‘ndrangheta e il processo Rinascita Scott, non è piaciuta agli avvocati italiani. «Facciamo trasmissioni e parliamo di indagini come fossero già l'accertamento della verità. Questo è un Paese affetto da un analfabetismo costituzionale devastante, che confonde il pm con il giudice e l'arresto preventivo con la sentenza definitiva di condanna».
Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, è il primo a puntare il dito contro Iacona. «È stato usato a piacimento il materiale investigativo, i filmati, le intercettazioni, senza contraddittorio, in relazione a un processo penale che non è ancora nemmeno cominciato e a un'indagine nella quale sono state già annullate 140 delle 300 misure cautelari irrogate. È una vergogna, è uno scandalo ed è la cifra del giornalismo italiano».
L’avvocato, però, dimentica che nella puntata di Presa diretta è stato dato ampio spazio agli avvocati Guido Contestabile e Salvatore Staiano, difensori dell’ex parlamentare Giancarlo Pittelli, uno dei personaggi più in vista del processo. I due legali hanno potuto esporre le ragioni del loro assistito e parlare anche di intercettazioni telefoniche non ancora trovate negli sterminati fascicoli dell’inchiesta.
Ma non conta, quello che interessa al numero uno dell’avvocatura italiana è il ruolo del procuratore Nicola Gratteri. Troppo mediatico, troppo intervistato. Invece «se ci fosse un'analisi critica da parte dell'informazione di questa narrazione, anche il personaggio Nicola Gratteri sarebbe ricondotto al suo importantissimo ruolo, di Procuratore della Repubblica. Lui è convinto di quello che fa - aggiunge Caiazza riferendosi al magistrato - il problema è che qualcuno dovrebbe sapere che le cose che lui dice sono una ipotesi accusatoria, che andrà verificata al processo. Il tema è pur sempre quello dell'esposizione mediatica dell'inchiesta».
Gli avvocati calabresi rincarano la dose e parlano di «processo celebrato dalla Tv di Stato (Rai Tre) con la condanna anticipata di tutti gli imputati», scrivono in un documento i rappresentanti di tutte le camere penali calabre. Quello di Iacona è un «tribunale del popolo». «Da avvocati penalisti abbiamo il dovere di resistere alle barbarie del processo virtuale, mediatico, anticipato, capace di condizionare non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto i giudici che compongono il Tribunale del processo Rinascita Scott».
Carte processuali, intercettazioni audio e fotografie, sono stati «interpretati come nelle migliori fiction dai loro stessi protagonisti», con il rischio di essere «valutate come prove della responsabilità penale dei singoli». Insomma, quello messo in scena da Iacona è «giustizialismo propagandistico e inquisitorio, degno di una tv di regime». Al punto che gli avvocati calabresi si appellano al ministro Marta Cartabia «che ha riaffermato, a questo punto anche lei inutilmente, il “no” al processo mediatico, denunciando “la sponda” che gli inquirenti cercano sui media per amplificare la forza delle accuse».
Dal canto suo, Iacona rimette tutti i tasselli al loro posto, ricordando agli avvocati ruolo e funzione del giornalista e dell’informazione in tema di mafie. «Io non ho fatto un processo in tv, il processo si fa nell’aula bunker di Lamezia Terme e non era l’oggetto della mia inchiesta. L’oggetto della mia inchiesta era l’indagine Rinascita Scott. E le riprese sono cominciate prima ancora che iniziasse la prima udienza. Invece è importante che i giornalisti tornino a parlare di queste cose. L’avvocato Caiazza vuole impedire ai giornalisti di raccontare le inchieste se non raggiungono il terzo grado di giudizio? Dove finiamo? Ma di cosa stiamo parlando? Con questo criterio, non si potrebbe raccontare la grande criminalità organizzata nel nostro Paese».
Come si vede ritorna, e questa volta con grande clamore, la polemica sul maxi-processo e l’informazione. Solo da pochi giorni sono state autorizzate le riprese tv nell’aula bunker di Lamezia Terme, anche se con una serie di limitazioni, già evidenziate dal sindacato dei giornalisti, per le registrazioni audio e video e la loro messa in onda. Tanta indignazione da parte degli avvocati calabresi e nazionali, non abbiamo registrato sul processo a carico di Mimmo Lucano e del modello Riace. Certo, non c’è stata una trasmissione tv sull’inchiesta, non un approfondimento, ma una intervista sì.
Quella che a pochi giorni dall’arresto dell’ex sindaco di Riace, rilasciò il procuratore di Locri Luigi D’Alessio. «Sono spariti almeno due milioni di euro – disse il magistrato a La Repubblica – riteniamo che Lucano li abbia usati per fini personali». Il processo va avanti ormai da un anno e si sta avviando verso la fase conclusiva, l’accusa ha prodotto carte e testimonianze, e di quei due milioni non vi è ancora traccia. Ma Lucano non è l’ex parlamentare Pittelli, né il boss di ‘ndrangheta Luigi Mancuso detto Il Supremo. Per lui gli avvocati riuniti nelle camere penali non hanno sprecato parole e appelli garantisti.
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