Le ferite per quell’articolo sui «professionisti dell’Antimafia» non si sono ancora rimarginate. Paolo Borsellino non ha mai dimenticato l’articolo sul Corriere. «È cominciato tutto da lì», dice la sera del suo ultimo discorso pubblico, appena un mese dopo l’uccisione di Giovanni Falcone.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.
La bufera di accuse e controaccuse sul «potere» di chi combatte Cosa Nostra, in verità si accende violentissima quando il «Coordinamento Antimafia» di Palermo – un movimento di trecento fra ragazzi e vecchi militanti, ci sono quelli delle Acli e dell’Arci, del Pci e di Democrazia Proletaria – scrive una lettera aperta a Sciascia e «lo colloca ai margini della società civile».
Gli dà anche del quaraquaquà.
E un vocabolo utilizzato dallo stesso Sciascia ne Il Giorno della Civetta per indicare uomini «inutili», senza spina dorsale.
Quel quaraquaquà infiamma gli animi.
Per una settimana, la stampa non fa che parlare dei «meriti antimafia» di certi giudici.
Come Paolo Borsellino, che dopo una vita blindata a Palermo adesso è a Marsala, sempre prigioniero fra il Tribunale dove lavora e il commissariato di polizia dove abita.
Una mattina il Giornale di Sicilia pubblica l’elenco completo, nome per nome, degli iscritti al «Coordinamento Antimafia» che hanno «osato» insultare Leonardo Sciascia. Una lista di proscrizione.
Oggi, venticinque anni dopo, le ferite per quell’articolo sui «professionisti dell’Antimafia» non si sono ancora rimarginate.
Paolo Borsellino non ha mai dimenticato l’articolo sul Corriere.
«È cominciato tutto da lì», dice la sera del suo ultimo discorso pubblico, appena un mese dopo l’uccisione di Giovanni Falcone.
«Sono stato io a scrivere quel comunicato. Non rinnego nulla», mi svela Francesco Petruzzella.
È il 6 gennaio del 2007 e, nel ventennale della polemica, in Italia ancora si dibatte su Sciascia e sui «meriti» dell’antimafia. Chiamo Francesco a Palermo per farmi raccontare qualche particolare – un ricordo, un retroscena – su quella riunione in cui il «Coordinamento» aveva deciso di attaccare lo scrittore frontalmente e con quell’espressione.
Francesco Petruzzella è un analista informatico della procura della repubblica. Vent’anni prima era uno studente di Giurisprudenza.
Mi prende di sorpresa: «Sai, sono stato io a dare del quaraquaquà a Sciascia, puoi scriverlo, dopo vent’anni mi sembra anche giusto uscire allo scoperto». Perché l’hai fatto? «Quando ho letto il suo articolo sono rimasto pietrificato, vivevo in una Palermo di morti e non riuscivo a comprendere come aveva potuto indicare proprio quei due uomini, il sindaco Orlando e il procuratore Borsellino. Ero in preda alla rabbia».
Francesco Petruzzella è nato a Racalmuto, il paese di Sciascia. E, come ogni siciliano, fin da bambino ha sempre letto i suoi libri.
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