Un’eterna proroga tiene Arturo rinchiuso dal 2022 in una delle 31 Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitarie. Da due anni l’uomo aspetta di essere trasferito in una casa di cura. «È una forma di ingiusta detenzione», dice a Domani la sua avvocata Paola Bevere, che ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il sistema delle Rems, introdotte nel 2014, mirava a superare gli ospedali giudiziari e promuovere il reinserimento sociale del soggetto, con un modello assistenziale diffuso sul territorio. Le residenze avrebbero dovuto costituire una misura temporanea di extrema ratio, a cui ricorrere solo quando le misure non detentive non fossero praticabili.

Un paradigma che però è stato tradito dalle politiche degli ultimi anni, come dimostra la storia di Arturo, a cui abbiamo dato un nome di fantasia per proteggerne l’identità. E come conferma un emendamento ritirato in fretta e furia dai relatori del ddl sicurezza, in discussione alla Camera. Con la modifica si chiedeva di introdurre un meccanismo di contenimento che ricorda i vecchi Opg.

L’uomo, con una diagnosi di schizofrenia paranoide cronica, è imputato per il reato di atti persecutori, ma la sua infermità mentale ha inciso sulla capacità di intendere e di volere al momento dei fatti. Se inizialmente era stato considerato socialmente pericoloso, e per questo mandato in Rems, nel maggio 2022 la sua pericolosità sociale è stata definita «contenibile».

Il giudice ha quindi sostituito la misura con quella della libertà vigilata, ordinando di collocarlo in una casa di cura convenzionata. Da allora non è chiaro quale sia il motivo per cui Arturo non venga trasferito. Il problema sembra derivare non solo dall’assenza di posti, ma anche da una ritrosia ad accogliere chi esce dalle Rems.

Cortocircuito burocratico

«È inconcepibile in uno stato di diritto che una persona continui a essere privata della libertà nonostante l’ordine di un giudice di rilasciarla», denuncia l’avvocata Bevere, ricordando che il ricovero in Rems è una misura detentiva: «Un’irregolare privazione, per soli motivi amministrativi». Anche il perito ha segnalato che il protrarsi della misura potrebbe portare a un peggioramento del quadro clinico. L’esperienza delle Rems ha infatti dimostrato «come la privazione della libertà costituisca un rischio per la salute mentale», si legge nel rapporto di Antigone.

Chi proviene dal circuito penale è considerato difficile da gestire: «Il paziente non risulta adeguato per età»; non è «compatibile con gli altri ospiti»; i suoi comportamenti sono «incompatibili con la possibilità di effettuare un adeguato percorso terapeutico»; troppi ospiti «con restrizioni giudiziarie».

Sono le risposte delle case di cura riportate negli atti del processo. Lo scorso giugno si è ripresentato lo stesso schema: il giudice ha rinviato l’udienza di Arturo in autunno e invitato il responsabile dell’Asl a presentarsi per valutare le liste di attesa. L’ennesimo rinvio senza fine.

«Le attese sono molto lunghe», dice a Domani il Garante delle persone private della libertà del Lazio, Stefano Anastasia, e spiega che la regione è tra quelle con maggiore capienza nelle Rems, ma tra quelle con le liste di attesa più lunghe. Ci sono sei strutture con 106 posti: 1,8 posti ogni 100mila abitanti, superiore al dato nazionale di 1,2.«Da un lato, la rete dei servizi sul territorio è depauperata, dall’altro ci sono involuzioni culturali», evidenzia il garante. «Le strutture residenziali spesso non vogliono ricevere chi proviene dalle Rems. La regione però paga il servizio e dovrebbe essere in grado di porre condizioni agli enti convenzionati», spiega Anastasia.

Riforma inapplicata

«Il problema delle Rems non sono le Rems», aggiunge il garante, «la chiusura degli Opg è stata la scelta giusta». Alla fine del 2023 nelle 31 Rems erano ricoverati 577 pazienti, a fronte di una capienza massima di circa 600. A gennaio 2024 le persone in lista d’attesa erano 755.

Alla base dell’attesa ci sono due elementi: da un lato «un eccesso di domanda di internamento», perché «si chiede di inserire nelle Rems persone che hanno problemi di salute mentale contravvenendo all’idea dell’ultima istanza», spiega Anastasia. E infatti «solo il 32 per cento dei presenti in lista di attesa avrebbe effettiva necessità di accoglienza in una Rems», segnala Antigone. «Questo spiega che i presupposti di pericolosità sociale – continua il garante – dovrebbero essere rivisti».

Dall’altro influisce la difficoltà in cui versa la sanità territoriale: «Se non ci sono servizi di salute mentale sul territorio, non si sa chi debba prendere in carico chi esce dalle Rems con la misura della libertà vigilata», sottolinea. La capienza delle residenze è stata fatta sulla base delle migliori prassi e il sistema deve essere capace di mantenerle, conclude Anastasia, «altrimenti non regge. Le Rems sono solo un pezzo di una serie di servizi sul territorio» e tutti gli altri sono in grave affanno.

© Riproduzione riservata