L’«intolleranza della coalizione di governo verso qualsiasi forma di critica da parte dei media», la «grave contrazione della libertà di espressione» e quindi «l’indebolimento della qualità della democrazia in Italia»: oggi le organizzazioni internazionali per la libertà di stampa accendono una nuova luce sugli attacchi del governo Meloni contro i media e contro Domani.

«Da quando il governo guidato da Meloni è entrato in carica, la libertà dei media in Italia è stata sottoposta a una crescente pressione, con attacchi senza precedenti e violazioni della libertà di stampa spesso intraprese da esponenti politici nel tentativo di marginalizzare e silenziare le voci critiche». È la conclusione chiave del report ”Silencing the fourth estate: Italy’s democratic drift” (Silenziare il quarto stato: la democrazia in bilico in Italia), che condensa il materiale raccolto dalla Media Freedom Rapid Response nella sua missione in Italia.

Questa squadra speciale per il diritto di informare (composta da European Federation of Journalists, International Press Institute, European Centre for Press and Media Freedom, Article 19 Europe e Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa) si è precipitata a Roma a metà maggio: i segnali di allerta erano tali da non poter aspettare l’autunno. La documentazione che viene diffusa oggi, e che Domani ha potuto visionare in anteprima, arriverà sul tavolo della Commissione Ue.

Un giornale come simbolo

Quindi anche gli attacchi contro questo giornale finiranno all’attenzione di Bruxelles: «L’ondata di attacchi contro Domani è allarmante», si legge nel dossier. «La testata italiana Domani ha dovuto fronteggiare attacchi di svariato tipo, che vanno dagli avvisi e cause legali, alle aggressioni verbali, passando per i presunti tentativi di minare la confidenzialità delle fonti giornalistiche. Nella maggior parte dei casi, questi episodi sono stati innescati da politici e funzionari pubblici».

Iniziative legali e annunci di azioni sono stati avviati da ministri (Giancarlo Giorgetti, Daniela Santanchè), sottosegretari (Giovanbattista Fazzolari, Claudio Durigon), dal capo di gabinetto di Meloni (Gaetano Caputi); pendeva anche una querela di Meloni stessa, ritirata pochi giorni fa, dopo che pure la Commissione europea ha posto l’attenzione sul pluralismo a rischio in Italia. Anche le «aggressioni verbali» contro Domani vedono il governo protagonista: basti citare il comizio pescarese di Meloni a inizio anno o gli attacchi sferrati da Daniela Santanchè nell’aula parlamentare. Il passaggio del report relativo ai «tentativi di minare la confidenzialità delle fonti» fa riferimento al fatto che i giornalisti investigativi Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine rischiano fino a 9 anni di carcere a seguito di una indagine della procura di Perugia.

Come recita l’appello di Domani per la libertà di stampa sottoscritto da oltre ottanta organizzazioni e media internazionali, «l’indagine è iniziata dopo la pubblicazione di articoli sul presunto conflitto di interessi che coinvolge il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, pagato per anni dall’industria delle armi. Il ministro non ha smentito le informazioni sui suoi compensi milionari, ma ha chiesto all’autorità giudiziaria di individuare la presunta fonte di Domani: la decisione della procura di Perugia di risalire alle fonti dei nostri cronisti rischia di trasformare lo stesso giornalismo d’inchiesta in un reato».

Eppure la tutela delle fonti giornalistiche viene ribadita e rafforzata dallo European Media Freedom Act, il quadro normativo europeo al quale l’Italia dovrebbe adeguarsi. Non a caso il report insiste sugli «standard legali europei».

Attacchi «senza precedenti»

«A dispetto dell’Emfa» la politicizzazione (la capture) della Rai «ha raggiunto negli ultimi due anni livelli mai visti prima», scrivono le organizzazioni per la libertà di stampa nel dossier.

Riferiscono la loro «preoccupazione» per gli attacchi a Report, per il caso Agi, oltre che per «l’aumento delle azioni legali vessatorie»: da ottobre 2022, quando questo governo si è insediato, fino a giugno di quest’anno, la Media Freedom Rapid Response coi suoi strumenti di monitoraggio ha rilevato «una impennata del numero di allerte»; in quell’arco temporale se ne sono registrate 193, mentre nei 22 mesi precedenti erano state 75. L’intensità delle allerte è insomma quasi triplicata da quando Meloni è al governo.

Anche la natura di queste allerte è particolarmente allarmante: il tipo di violazioni della libertà mediatica è strettamente connesso alle iniziative politiche. «Ben 54 delle 193 allerte sono innescate da iniziative di governo o autorità pubbliche».

Le iniziative legali contro i giornalisti sono lo strumento prediletto dal governo per attaccare la libertà dei media: rappresentano circa la metà delle violazioni; ci sono anche assalti verbali (oltre il 30 per cento) e tentativi di censura (il venti per cento). Il caso Meloni contro Saviano è citato tra gli esempi chiave.

«Le condanne pubbliche nei confronti dei giornalisti vengono utilizzate di frequente per attaccare i professionisti dell’informazione critici verso il governo». Un «precedente pericoloso» perché «legittima gli attacchi»: se persino i più alti esponenti di governo bersagliano i giornalisti, si crea un clima di liceità anche per altri. Un quarto degli attacchi verbali contro i media proviene proprio da esponenti politici.

La campagna elettorale di Fratelli d’Italia, con scritte come «Fai piangere questa redazione, scrivi Giorgia», e i post social contro giornalisti ritenuti non allineati, sono citati come ulteriori elementi di allarme. «Le tendenze esaminate in questo rapporto – l’interferenza politica sulla Rai, le querele bavaglio (slapp) e i conflitti di interesse – si sono verificate in un contesto di attacchi svariati da parte dei membri della coalizione di governo nei confronti dei professionisti dell’informazione. Un segnale allarmante di intolleranza verso il dissenso».

Visto che il governo e gli esponenti di maggioranza non hanno neppure accettato l’invito a incontrare la task force a maggio, il report rileva pure «la mancanza di volontà politica» di affrontare il nodo. Intanto le allerte si accumulano: il World Press Freedom Index 2024 di Reporters sans frontières ha mostrato che l’Italia è retrocessa di 5 posizioni finendo nelle «zone problematiche», assieme all’Ungheria; il monitor sul pluralismo sul quale si basa il rapporto Ue sullo stato di diritto, e poi quel rapporto stesso, hanno certificato le tendenze preoccupanti su svariati fronti, dalle querele bavaglio del governo al servizio pubblico.

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