A Humanity 1 è stato consentito sabato di entrare nel porto di Catania ma i naufraghi non hanno potuto sbarcare. Dopo una sommaria verifica medica, in 35 sono stati lasciati a bordo e poi alla nave è stato detto di andarsene, ma il capitano rifiuta. L’Italia non ha attivato nessuna procedura per la richiesta di protezione internazionale. Ora la storia si ripete con Geo Barents di Msf
«In 145 sono sbarcati: le tre donne minorenni, il neonato di sette mesi, e tutti i maschi minorenni. Poi pure qualche uomo se aveva problemi di salute», riferisce Petra Krischok, tuttora a bordo della nave Humanity, e portavoce di SOS Humanity. In 35 sono ancora sulla nave, nel porto di Catania.
Ma le autorità italiane hanno verificato chi voleva e poteva chiedere protezione internazionale, o hanno solo controllato età, genere, condizioni di salute? «Solo salute, genere ed età», risponde Krischok. Sempre le autorità italiane, hanno tenuto i media alla larga dalla banchina del porto di Catania dove la selezione all’ingresso si è svolta.
Poi nella tarda mattinata di domenica è stato ordinato a Humanity 1 di lasciare il porto di Catania. Ma ci sono ancora 35 naufraghi soccorsi, a bordo della nave, dunque il capitano della Humanity, che è responsabile legalmente per la sicurezza delle persone a bordo, ha respinto la richiesta.
Le sue parole: «È mio compito completare la messa in salvo facendo sbarcare tutti i sopravvissuti a Catania in quanto porto sicuro. Non posso lasciare il porto finché tutte le persone che la mia nave ha tratto in salvo non saranno sbarcate».
Intanto a Catania è arrivata la nave Geo Barents di Msf: la storia si ripete. A bordo ci sono 572 naufraghi, e secondo quanto riporta Candida Lobes di Msf, che è sulla nave, «ci sono donne incinte, bambini, la più piccola di 11 mesi, persone che hanno subìto ripetute violenze in Libia, e hanno bisogno di sbarcare in un posto sicuro».
Il premier ungherese si congratula con la premier italiana.
Niente protezione
Nella notte di ieri, a Catania, i naufraghi soccorsi da questa nave tra il 22 e il 24 ottobre non hanno trovato un vero “porto sicuro”. Hanno trovato una “selezione all’ingresso” in base a un decreto del nuovo governo Meloni, che la ong non esita a definire – con le convenzioni Onu in mano – «illegale». Solo alcuni dei naufraghi sono stati fatti sbarcare. Altri restano in mare. I controlli, a quanto riferisce la ong, sono stati solo di tipo sanitario, non di polizia o di qualcuno competente in fatto di protezione internazionale e diritto di asilo.
Un approdo ma non un posto sicuro
Da quando la nave ha tratto in salvo i 179 naufraghi, ogni giorno, il capitano di Humanity si è rivolto alle autorità italiane e maltesi chiedendo un porto sicuro per i sopravvissuti a bordo. Soccorrere è un obbligo, e con «porto sicuro» si intende – secondo il diritto internazionale – non solo un approdo dove esercitare i propri bisogni primari ma l’esercizio dei diritti fondamentali, incluso quello di asilo.
Sabato sera la nave Humanity 1 ha ricevuto una comunicazione dalle autorità italiane, «ma diversamente da quel che accade di norma, non ci dicevano che ci è stato assegnato un porto sicuro. La guardia costiera ci diceva solo di venire al porto di Catania». La Humanity 1 è arrivata attorno a mezzanotte.
La selezione dei profughi
Ai media non è stato consentito di assistere a quel che è avvenuto successivamente. «Il nostro capitano e il nostro capo missione sono stati interrogati dalla polizia per circa quattro ore», riferisce, sempre da Humanity, Wasil Schauseil. «Poi hanno cominciato lo sbarco, cominciando dalle tre donne e dal neonato, poi una famiglia, poi i minori non accompagnati. Per i restanti, è stato chiesto al nostro medico di bordo di selezionare chi era in una “condizione di salute precaria”. Tutti, ha risposto lei. Dunque una infermiera della croce rossa e due donne dal ministero della Salute sono salite a bordo. C’è stata una ispezione medica, il nostro dottore e il nostro mediatore culturale erano lì».
E il diritto alla protezione?
Trentasei naufraghi sono stati certificati come in salute e sono dovuti restare a bordo. «Quando hanno detto loro che non gli era consentito sbarcare, uno di loro ha perso conoscenza e successivamente è stato portato via in ambulanza. Al momento a bordo ci sono 35 naufraghi. Se ci ordinano di lasciare il porto, questo è respingimento illegale», avverte Schauseil.
Abbiamo chiesto agli operatori a bordo se è stato consentito ai naufraghi di chiedere protezione internazionale, ma a quanto pare non solo ciò non è avvenuto, ma non vi erano neppure le autorità preposte. Petra Krischok spiega infatti che «sono state verificate solo salute, genere, età, le autorità erano croce rossa e ministero della salute, non c’erano traduttori per arabo e altre lingue, solo il nostro mediatore che aiutava per quel che poteva ma non è così che si svolge una richiesta di protezione».
L’Unhcr era sul molo, non è stata fatta salire a bordo. Da giorni Humanity segnala che a bordo ci sono persone traumatizzate, vittime di violenze o persino di torture in Libia.
I 35 rimasti e l’ordine di andarsene
Proprio come chi è sbarcato, i 35 che restano sulla nave «sono in condizioni emergenziali: sono fuggiti da condizioni inumane in Libia e da allora hanno affrontato due settimane molto dure in mane. Durante il sommario e rapido esame medico di sabato notte, quando i 35 sopravvissuti sono stati considerati “in salute” dalle autorità italianne, non c’era né un traduttore per verificarne le condizioni mentali e psicologiche, né c’è stata una valutazione psicologica», spiegano dalla Humanity 1. Inoltre «i 35 hanno diritto di fare richiesta di asilo e di avere una procedura formale di asilo, che può essere condotta solo una volta a terra».
Il capitano non se ne va
Alle 11:30 di domenica le autorità italiane hanno ordinato alla nave Humanity 1 di lasciare il porto di Catania. Il capitano Joachim non intende andarsene: è suo obbligo soccorrere i naufraghi, e il diritto internazionale chiarisce che il soccorso è completo solo con lo sbarco in un porto sicuro dove i diritti fondamentali sono garantiti. «Ho l’obbligo di completare il soccorso dei naufraghi sbarcando tutte le persone nel porto di Catania come porto sicuro. Non posso lasciare il porto prima che tutti siano stati sbarcati». Mirka Schäfer che si occupa del supporto legale per SOS Humanity rileva che «impedendo lo sbarco dei 35 sopravvissuti li si prima sia della loro libertà che del loro diritto di sbarco in un porto sicuro».
I deputati sul posto
La ong definisce «illegale» il decreto a firma Salvini, Piantedosi e Crosetto. Sono presenti a Catania anche la Croce rossa e Save the Children, assieme ai due parlamentari Antonio Nicita e Aboubakar Soumahoro. «Secondo le vigenti regole internazionali gli stranieri vanno fatti scendere per essere identificati e valutarne l’eleggibilità per l’asilo», scrive Nicita. «Intorno alle 7 siamo saliti sulla nave con l’onorevole Soumahoro perché un ragazzo è collassato e si è ripreso dopo un lungo massaggio cardiaco. Abbiamo chiamato un’ambulanza perché vi erano molte auto polizia e carabinieri ma nessuna ambulanza. Dopo venti minuti il ragazzo è stato trasportato in ospedale».
Nonostante le auto della polizia sul molo, gli operatori della Humanity riferiscono che le uniche ispezioni svolte sui naufraghi erano di carattere sanitario. Niente è stato fatto in merito alle procedure di asilo. Da quanto riferito, gli unici interrogati risultano essere capitano e capo missione della ong.
«Selezionare naufraghi è in contrasto con Convenzione Onu diritto del mare», ha twittato Soumahoro. «La mancanza di mediatori culturali, inoltre, crea vizi di forma nella procedura. Se i restanti naufraghi verrano respinti, violando art.19, impugneremo questa decisione in tutte le sedi opportune».
Anche il vicesegretario del Pd, Peppe Provenzano, è sul posto.
E ora la Geo Barents
Domenica pomeriggio la stessa storia si ripete con un’altra nave, la Geo Barents dell’ong Medici senza frontiere, che ha a bordo 572 naufraghi. Alle 16:45 la nave ha da poco attraccato.
Anche in questo caso le autorità italiane vogliono consentire solo uno sbarco parziale, e poi allontanare la nave dal porto. Juan Matias Gil, il capo missione, ha dichiarato che «dopo aver rischiato la vita in mare per fuggire dalla Libia, 572 persone sono rimaste ostaggio di scelte politiche disumane per più di 10 giorni a bordo di una nave, invece di vedersi riconosciuto il diritto a sbarcare in un porto sicuro. Dopo tutto ciò, queste persone devono oggi anche assistere al cinico spettacolo della politica che gioca con le loro vite. Tutti coloro a bordo della Geo Barents devono poter sbarcare immediatamente, per ricevere assistenza e veder riconosciuto il loro diritto a chiedere protezione».
Proteste in corso
La capogruppo Pd alla Camera, Debora Serracchiani, ha chiesto al ministro dell’Interno di riferire in aula sul caso.
L’eurodeputato Pietro Bartolo, medico di Lampedusa prima di essere eletto tra le file del Pd, definisce le decisioni del governo «immorali e in piena violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Se si vuole la redistribuzione automatica dei migranti si voti in Parlamento europeo la modifica del regolamento di Dublino, invece di fare propaganda sulla pelle delle persone». Bartolo è relatore ombra dell’Europarlamento sul patto per la migrazione e nota che nell’aula Ue, «dove è in discussione il patto, i conservatori (Ecr di cui fa parte anche Fdl), i popolari (il Ppe dove c’è anche Forza Italia) e Identità e democrazia (di cui fa parte la Lega) ostacolano il principio della redistribuzione automatica, inserendo sempre paletti che ne impediscono la realizzazione».
Da Roma, Riccardo Magi fa notare che «si fa bene a parlare di convenzioni internazionali ma c’è anche la stessa legge italiana, che non può certo essere superata da un decreto ministeriale». Magi nota che il decreto (atto amministrativo) a triplice firma Salvini-Crosetto-Piantedosi «è platealmente in contrasto con la legge italiana che impone che lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna o giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio sia condotto presso appositi punti di crisi e per le operazioni di rilevamento dattiloscopico e segnaletico».
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