Il governo vuol far ripartire le lezioni in presenza il prima possibile e ora si parla di fare tamponi rapidi a tutti gli studenti, ma c’è un grosso problema
Il governo è intenzionato a riaprire la scuola non appena le condizioni della pandemia di Covid-19 lo permetteranno, ha detto ieri alla Camera il presidente del Consiglio Mario Draghi. Oggi, diversi giornali riportano l’esistenza un piano che sarebbe stato elaborato dal consulente del ministero dell’Istruzione Agostino Miozzo e che renderebbe possibile il rientro a lezione nel giro di due settimane.
L’idea di Miozzo è semplice: sottoporre a un test rapido antigenico tutti gli studenti che rientrano a scuola e ripetere il test una volta a settimana. Se viene individuato un positivo, l’intera classe viene sottoposta al più preciso tampone molecolare e chi viene confermato positivo viene quindi messo in quarantena.
Il piano, scrive Repubblica, sarebbe già stato sottoposto al commissario straordinario all’emergenza, il generale Francesco Figliuolo, e il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi sarebbe al momento in attesa di una risposta.
L’idea si scontra però con un limite difficile da superare: per realizzare la versione più ambiziosa di questo piano servirebbe fare 8,4 milioni di tamponi rapidi a settimana (uno per ogni studente). Se invece volessimo limitare i tamponi solo agli studenti della scuola superiore, quelli che hanno trascorso più tempo in didattica a distanza, ne servirebbero circa 3 milioni a settimana.
Il problema è che ogni settimana in Italia viene fatto in tutto un milione di tamponi antigenici, a cui va aggiunto un altro milione di tamponi molecolari. In altre parole, considerata l'attuale capacità di realizzare tamponi nel nostro paese, se anche dedicassimo tutti gli sforzi del sistema agli studenti non saremmo comunque in grado di fare un tampone settimanale nemmeno ai soli studenti delle scuole superiori.
Purtroppo non si tratta di una capacità facile da espandere in breve tempo. Serve personale medico per somministrare i tamponi e poi servono laboratori specializzati per analizzarli, entrambe risorse piuttosto scarse e sotto pressione in questo momento. Lo scorso 2 novembre, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva promesso di portare la capacità di testing a 350mila tamponi al giorno prima della fine dell’anno. Soltanto a febbraio, però, questo quantitativo è stato finalmente raggiunto.
Nonostante le difficoltà, la riapertura della scuola è considerata una priorità da gran parte delle forze politiche. Sia il presidente del Consiglio Draghi che il ministro dell’Istruzione Bianchi hanno detto che l’obiettivo del governo è riaprire almeno parzialmente le scuole anche nelle zone rosse a partire dal prossimo 7 aprile.
L’autore del piano, Agostino Miozzo, è stato a lungo uno dei principali sostenitori delle lezioni in presenza, in particolare quando era coordinatore del Comitato tecnico scientifico, il principale organo di consulenza del governo. La sua posizione “aperturista”, ripetuta in numerose interviste, lo ha visto entrare in contrasto con altri membri del comitato (Miozzo è stato rimosso da questo ruolo dal governo Draghi lo scorso 15 marzo).
Proprio questa settimana è stato pubblicato un nuovo studio in cui si sostiene che la scuola non sia un luogo di contagio che è stato molto citato dai sostenitori della necessità di riaprire la scuola quanto prima. Quella contenuta nello studio è però un'affermazione molto controversa e molti altri studi hanno indicato che l’apertura della scuola ha un ruolo, anche se non il principale, nella diffusione della pandemia, come ha scritto su Domani il medico e ricercatore Andrea Casadio.
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