Con meno decessi di oggi lo scorso autunno abbiamo messo il coprifuoco e adottato il sistema dei colori e siamo ancora lontani dalla situazione alla fine della prima ondata. Medici e infermieri chiedono prudenza
- Gli italiani sono stanchi, l’economia è a pezzi e sono sempre più numerosi coloro che chiedono la fine delle restrizioni anti Covid-19.
- Ma i numeri dell’epidemia non sono affatto confortanti: siamo messi molto peggio di quando è finita la prima ondata e peggio anche di quando è iniziata la seconda.
- La situazione potrebbe migliorare nei prossimi giorni, ma in Italia e in Europa non mancano esempi di come le riaperture abbiano spesso portato a nuove e rapidi chiusure.
Oggi il governo Draghi si incontrerà con le forze di maggioranza e con i tecnici per discutere le riaperture. Al centro della discussione ci sarà il documento in cui le regioni propongono la più significativa riapertura di attività economiche dalla fine della prima ondata di Covid-19.
Ma su che base viene proposta questa massiccia riapertura? I numeri, purtroppo, mostrano che non solo la situazione è molto peggiore di quando un anno fa siamo usciti dalla prima ondata. È peggiore anche dello scorso autunno, quando è iniziata la seconda ondata.
Le riaperture
Le regioni chiedono di poter riaprire bar e ristoranti e di poterli tenere aperti anche in regioni con profili di rischio «alto». Chiedono anche la riapertura di palestre, piscine, impianti termali, cinema e dei luoghi dove si tengono spettacoli all’aperto.
Per garantire la sicurezza propongono norme ancora più stringenti su distanziamento, presenza di disinfettanti, barriere in plexiglass. Per i circoli e ludoteche suggeriscono una «frequente sostituzione dei mazzi di carte usati con nuovi mazzi».
Il governo è intenzionato ad accogliere queste richieste almeno in parte. Le riaperture, hanno già annunciato il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro della Salute Roberto Speranza, saranno condizionate all’andamento dell’epidemia e a quello del piano vaccinale. Più persone fragili saranno protette, più una regione potrà aprire.
I numeri
Dopo quasi sei mesi di chiusure più o meno continuo, il paese è prostrato e stanco, l’economia a pezzi e le richieste di allentare le misure di contenimento sono sempre più accorate. Ma i numeri mostrano che l’epidemia è ancora fuori controllo e il sistema sanitario vicino al punto critico.
Siamo molto lontani dalla situazione di una anno fa, quando siamo usciti dal primo lockdown. Nella seconda settimana del maggio 2020, quando hanno riaperto bar e ristoranti, c’erano in media 181 decessi al giorno e 828 persone in terapia intensiva.
Oggi di decessi ne abbiamo in media 427 al giorno e le terapie intensive sono oltre la soglia di allarme, con quasi 3.600 ricoverati. La situazione dell’epidemia era migliore di oggi anche lo scorso autunno, quando di fronte all’inizio della seconda andata è stato introdotto il primo coprifuoco e il sistema a zone colorate. Nella prima settimana di novembre i decessi medi erano 349 al giorno e i ricoveri in terapia intensiva 2.288.
La speranza
C’è però una differenza importante tra oggi e lo scorso autunno. All’epoca, i principali indicatori del contagio erano in rapido peggioramento. Oggi, i dati dell’epidemia sono da settimane stabili o in lento miglioramento. Se le cose dovessero continuare così, in poche settimane l’epidemia potrebbe finalmente tornare più gestibile.
Ma non è detto che le si muovano in questa direzione. La Francia ha allentato le misure lo scorso dicembre, ma lo scorso 31 marzo è dovuta tornare in lockdown.
In Germania il governo ha approntato poche settimane fa un piano di graduale di riapertura, ma la situazione è peggiorata invece che migliorare. «Dobbiamo rompere quest'ondata con ulteriori restrizioni», ha detto ieri il ministro della Salute Jens Spahn.
Anche in Italia abbiamo assistito a qualcosa di simile. Il primo marzo la Sardegna è entrata in zona bianca. Questa settimana, dopo poco più di un mese trascorso con restrizioni minime, il peggioramento dell’epidemia l’ha riportata in zona rossa.
L’appello
Oggi ci sono dodici regioni che sono oltre la soglia di allarme per i posti in terapia intensiva occupati da malati Covid-19. Significa che i loro sistemi sanitari sono già oltre il punto critico.
Medici e operatori sanitari sono tra preoccupati per questa situazione e guardano con timore alle possibili riaperture. «Chiediamo alla Politica di ascoltare le decine e decine di migliaia di Colleghi che da tredici mesi lavorano senza tregua nell’emergenza territoriale e negli ospedali», hanno scritto questa settimana i principali sindacati del settore in un comunicato comune. Parlano di «perplessità e amarezza» per il dibattito in corso in questi giorni e ricordano il «rischio di un prolungamento della pandemia e di una persistente elevata mortalità tra i cittadini non ancora protetti con la vaccinazione».
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