Per una procedura di ricongiungimento familiare che dovrebbe chiudersi in 120 giorni, occorrono in media due anni, così molto spesso i minori rimangono nei paesi di origine e vengono separati dai loro padri e dalle loro madri per le inefficienze della burocrazia italiana
Faizan (il nome è di fantasia) è un uomo nato in Pakistan che vive in Italia da diverso tempo e, da altrettanto tempo, desidera far venire in Italia suo figlio minorenne che è rimasto nel paese di origine. Ma da tre anni non ci riesce.
Il diritto al ricongiungimento familiare è regolato in Italia dal Testo Unico Immigrazione del 1998 che consente ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti di richiedere il ricongiungimento con coniugi, figli minorenni e genitori a carico, e prevede due fasi: la prima di verifica dei requisiti oggettivi da parte della Prefettura competente, che per legge dovrebbe concludersi entro 90 giorni con il rilascio del nulla-osta. La seconda fase è di competenza delle Ambasciate, che spesso affidano la gestione delle pratiche per il visto ad agenzie esterne per raccogliere la documentazione necessaria prima di valutare i requisiti soggettivi per il rilascio del visto.
L’intero iter dovrebbe durare qualche mese e, invece, può durare anche qualche anno. È il caso di Faizan, l’uomo pakistano, il quale è riuscito ad ottenere il nulla-osta dalla Prefettura soltanto al quarto tentativo, dopo due anni, perché gli erano state contestate lievi carenze nei documenti da presentare in allegato alla domanda, in particolare per ciò che riguarda il reddito e l’idoneità abitativa.
E, tuttavia, ora la domanda dell’uomo si è arenata di fronte alle inefficienze della società esterna che gestisce i servizi di appuntamento per conto dell’Ambasciata competente, che dovrà rilasciare il visto al figlio minore per farlo arrivare in Italia.
L’attesa
Già, perché nel caso del Pakistan, per fissare un appuntamento per la consegna della documentazione necessaria, bisogna rivolgersi a BLS International, una società internazionale che gestisce visti e passaporti per conto di 46 governi. E, ad oggi, è praticamente impossibile trovare disponibilità sulla loro piattaforma, nemmeno nei mesi a venire.
Dice Faizan: «Ho deciso di far venire qui mio figlio perché mi sentivo molto solo, sono qui dal 2017. La difficoltà più grande che ho affrontato nella procedura, è stata la richiesta di idoneità alloggiativa, che necessita della planimetria della casa firmata da un tecnico professionista iscritto all’albo. Sono dovuto andare più volte in Comune e ogni volta ho dovuto pagare per la pratica». Prosegue: «Anche recuperare i documenti attestanti la regolarità del reddito non è stato immediato. Perché ho cambiato diversi lavori, ma ogni volta che la domanda veniva respinta, la mia ansia aumentava».
Nel frattempo, dopo aver raggiunto il tanto agognato nulla-osta dalla Prefettura che vale sei mesi, in attesa del rilascio del visto da parte dell’Ambasciata, l’uomo rischia di dover ripetere per intero la procedura, e così Faizan aggiunge: «Questa cosa mi sta causando molto stress, ma so di non essere l’unico, perché c’è tanta gente in Pakistan che aspetta anni per ottenere un appuntamento; persone che si sono rivolte a un intermediario, spendendo 3.000 euro per ottenere un loro diritto, e sono state anche fregate», conclude.
Infatti, quella di Faizan non è una storia isolata. È una delle 80 persone che sono state sostenute (nel percorso logorante per poter riabbracciare legalmente un proprio familiare) dal progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare”, curato da Melting Pot ODV in collaborazione con il Circolo Arci Pietralata di Roma e il supporto dei legali dell’Associazione Spazi Circolari. Il progetto, finanziato da ActionAid International Italia E.T.S, Fondazione Realizza il Cambiamento, e cofinanziato dall’Unione Europea, ha attivato dall’inizio dell’anno sportelli di assistenza legale in tre città, Padova, Roma e Napoli, oltre che un servizio online. È stato dedicato alla memoria di Annick Mireille Blandine, giovane donna di 37 anni che nel 2021 aveva chiesto il ricongiungimento per i figli residenti in Costa D’Avorio da cui era separata da 8 anni e che dopo aver ottenuto il nullaosta al ricongiungimento dopo oltre un anno di attesa, pochi giorni dopo, è morta.
Ricatti
Come spiega a Domani l’avvocato di Annick, Gennaro Santoro: «L’unità familiare è un diritto costituzionale spesso calpestato nei procedimenti di ricongiungimento familiare. Si tratta di un procedimento che dovrebbe durare 120 giorni, invece, nella prassi, dura anche due anni». Continua il legale: «Riscontriamo i maggiori ritardi e disservizi nella parte di procedura gestita dalle Ambasciate italiane nel mondo che dovrebbero rilasciare i visti; questa inefficienza comporta il proliferare di faccendieri che chiedono anche più di 10mila euro per procurare un appuntamento in Ambasciata». E poi ancora Santoro aggiunge: «Il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale sostiene di aver appaltato i servizi di preparazione dei documenti da presentare nei servizi consolari per la richiesta del visto ad agenzie esterne; la Farnesina si difende così nei ricorsi, dimenticando che responsabile del procedimento resta sempre e solo l’ambasciata e quindi il ministero stesso cui fa capo».
Nel frattempo, diversi avvocati con cui Domani ha parlato, raccontano di aver presentato alla Farnesina diversi Foia (richieste di accesso agli atti) con cui stanno cercando di ottenere maggiori informazioni sui rapporti tra ogni singola ambasciata e le agenzie esterne aggiudicatrici degli appalti; mentre è in preparazione una class action rivolta alla Farnesina attraverso cui una moltitudine di persone ed associazioni si sono unite per ottenere giustizia e pretendere risposte per i ritardi e i disservizi.
Da parte sua, invece, Stefano Bleggi, che ha coordinato il progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare” insieme a Marco Sirotti, e che presenta oggi a Roma, per la prima volta, in un convegno, il dossier-toolkit: “L’unità familiare: toolkit per tutelare un diritto ad ostacoli”, una pubblicazione che raccoglie dati, testimonianze e soluzioni operative per i ricongiungimenti familiari, si chiede: «Ostacolare il ricongiungimento familiare è una scelta politica o è negligenza?».
E poi Bleggi afferma: «L’evidente intento di ostacolare i ricongiungimenti familiari mediante prassi amministrativo-burocratiche fumose e poco trasparenti rappresenta un vero e proprio atto di violenza istituzionale che acuisce le disuguaglianze e alimenta situazioni di marginalizzazione». La risposta alla domanda di Bleggi è arrivata insieme all’ultimo Decreto Flussi, con cui il Governo Meloni ha stretto ancora di più le maglie sui ricongiungimenti, stabilendo che per il ricongiungimento di un familiare è necessario il requisito del soggiorno legale per almeno due anni nel territorio nazionale per i cittadini stranieri, aumentando così il periodo di permanenza di un anno; fissando, inoltre, requisiti ancora più stringenti per l’idoneità alloggiativa, relativi alla conformità dell'alloggio, alla verifica del numero degli occupanti e ai requisiti minimi di superficie.
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