Saranno pure «eroi» in prima linea che affrontano il virus per assistere i nostri anziani nelle case di riposo. Ma adesso restituiscano 3 milioni di euro di indennità di rischio e aumenti di stipendio. È l’incredibile vicenda dell’Istituto assistenza anziani di Verona, un ente pubblico che si occupa di anziani non autosufficienti e con le sue cinque sedi è una delle più grandi Rsa del Veneto. Risparmiato dal virus nella prima ondata, è stato invece flagellato dal Covid a partire dall’ottobre scorso, con 112 ospiti deceduti e oltre il 30 per cento del personale infettato. Infermieri e operatori sociosanitari nonostante i contagi hanno cercato di garantire gli standard infermieristici minimi per la cura degli anziani. Tuttavia l’11 gennaio scorso, rispondendo a una vertenza sindacale, la dirigenza ha chiesto al giudice del lavoro la restituzione degli aumenti percepiti dai dipendenti nell’ambito della contrattazione aziendale in vigore dal 1999 a oggi.

Senza precedenti

Secondo i legali dell’istituto gli accordi sindacali tra il vecchio direttore e i rappresentanti dei lavoratori sono stati sottoscritti ma non inquadrati nella corretta procedura prevista dalla legge. «I 500 lavoratori alle prese con il Covid, anziché pensare alla loro salute, stanno cercando documentazione nelle cantine e negli archivi perché sono costretti a provare la loro posizione», spiegano i rappresentanti della Funzione Pubblica Cgil, Cisl e Csa, in rotta di collisione totale con l’ente, «è un atto senza precedenti in Italia, che non si basa su alcuna pronuncia della Corte dei conti. Stiamo parlando di Oss che guadagnano 1.200 euro al mese». La richiesta potrebbe estendersi anche agli operatori cessati e pensionati negli ultimi dieci anni, interessando in totale un migliaio di operatori. Il rischio concreto per loro è di perdere fino a 400 euro al mese di stipendio e di dover restituire gli ultimi dieci anni di progressioni economiche, circa 18mila euro a testa.

Nomine politiche

La tensione è alle stelle e i sindacati hanno interessato i parlamentari veneti e l’assessore regionale alla sanità, Manuela Lanzarin. A quest’ultima si è rivolta con un’interrogazione anche la consigliera regionale del Pd, Anna Maria Bigon, chiedendo di «porre fine all’esasperata conflittualità che impedisce il normale e sereno svolgimento delle attività» dell’istituto, in cui sono ospitati poco meno di 600 anziani in condizioni di grave fragilità. La richiesta dei rappresentanti dei lavoratori è la revoca del Cda e della direzione. L’ultimo tentativo di mediazione è nelle mani del sindaco di Verona di Fratelli d’Italia, Federico Sboarina.

La casa di riposo è un ente a statuto autonomo, un Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza) gestito da un consiglio di amministrazione i cui componenti però sono nominati dalla politica locale: tre membri su indicazione del sindaco e uno scelto dal presidente della provincia. Tra i consiglieri non c’è nessuno che abbia esperienza di amministrazione di case di riposo o enti di assistenza. Guidati dal presidente in quota Lega, l’avvocato veronese Alessandro Cappiotti, i membri del Cda, stando ai curriculum pubblicati sul sito dell’ente, si sono sempre occupati d’altro: agenti di commercio, impiegati in aziende di rifiuti, insegnanti, tranne forse un consigliere di minoranza in quota M5s, che di mestiere fa l’operatore sociale.

Il killer silenzioso

Quello relativo alle quote di stipendio da restituire è solo l’ultimo atto di un conflitto che da tempo è ai massimi livelli nell’ente veronese, una delle tante Rsa che si è trovata impreparata di fronte ai disastri provocati dal virus.

«A settembre avevamo solo le mascherine chirurgiche e le tute scarseggiavano», racconta un’infermiera che chiede di restare anonima, «ci siamo fatti in quattro per organizzare i reparti e allestire i percorsi sporchi e puliti, ma non siamo adeguatamente formati e soprattutto non c’è il personale da dedicare solo al reparto Covid. A partire da novembre è stato un disastro, con i tamponi rapidi c’è stata confusione perché certi ospiti risultavano negativi e se ne andavano in giro per i reparti ma in realtà erano positivi al Covid.

Così il contagio si è diffuso in tutta la struttura e non c’è stato più niente da fare, vedevamo una persona che stava bene e dopo due ore la trovavamo morta. Ho ancora negli occhi tutti quegli anziani che abbiamo dovuto avvolgere nei sacchi neri».

Per la dirigente, Adelaide Biondaro, si tratta di una situazione grave ma non dissimile da quella di altre Rsa del Veneto, dove da novembre hanno trovato la morte più di 2.000 anziani. «La criticità dell’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale si è verificata solo nelle prime settimane di marzo 2020», precisa Biondaro, «tra aprile e dicembre dell’anno scorso abbiamo ricevuto tre visite ispettive dello Spisal, che non hanno riscontrato irregolarità e lo stesso ha certificato anche la regione Veneto nella sua ispezione del 19 gennaio scorso».

Ma nel mirino dei sindacati è proprio la direttrice, che secondo i rappresentanti dei lavoratori avrebbe trasferito il suo contratto a tempo indeterminato da un altro Ipab, nel frattempo privatizzato, senza che venisse aperta una procedura di mobilità: il caso è al centro degli ultimi comunicati sindacali congiunti e viene evocato anche nell’interrogazione della consigliera Bigon del 28 gennaio scorso, che chiede all’assessore alla salute di «verificare la correttezza della procedura». Una vicenda su cui la magistratura si è già espressa due volte, archiviando su richiesta della procura i fascicoli per abuso d’ufficio nei confronti del presidente e della dirigente, senza rilevare irregolarità.

Antisindacale

In tribunale è finito anche uno sciopero del giugno 2019, al termine del quale l’istituto aveva denunciato 33 lavoratori, inciampando però questa volta in una condanna per condotta antisindacale.

La Rsa non aveva convocato il tavolo per decidere i contingenti minimi di personale in caso di sciopero, oltre ad aver stracciato i cartelli affissi dai lavoratori e ordinato di rimuovere degli adesivi. Il comportamento degli infermieri che avevano aderito allo sciopero, segnalati dall’istituto anche all’ordine professionale è stato giudicato corretto. I tentativi di mediazione del sindaco non riscuotono successo: un primo incontro è saltato per la contrarietà di alcune sigle sindacali, che insistono nel chiedere un cambio ai vertici dell’ente.

«La volontà di trasferire davanti a un giudice tutte le questioni sindacali riguardanti gli ultimi 20 anni rappresenta il fallimento conclamato della direzione ma anche della presidenza dell’ente e dell’intero consiglio di amministrazione», commenta il consigliere comunale di Sinistra in Comune, Michele Bertucco, per cui il commissariamento dell’ente «resta l’unica strada per rompere una situazione di conflittualità senza sbocco».

© Riproduzione riservata