- Note anche come ghost kitchen, virtual kitchen o cloud kitchen, si tratta di cucine commerciali che lavorano soltanto per il mondo del delivery.
- «Durante la pandemia c’erano molti più ordini, mentre oggi la situazione è più tranquilla. Non ne vale più la pena» afferma Asem in sella al suo motorino, mentre aspetta che lo schermo del cellulare si illumini per indicare l’arrivo di un nuovo ordine.
- Se le dark kitchen sembrano essere un modello potenzialmente vincente per gli imprenditori della ristorazione, i residenti che abitano vicino a queste strutture non sempre ne sono altrettanto entusiasti.
Ordinereste mai un pasto preparato nel mezzo di una zona industriale, tra capannoni sfitti, un’azienda di noleggio scooter e i magazzini di una compagnia edile? Probabilmente no, ma altrettanto probabilmente centinaia di persone a Londra lo fanno ogni giorno senza saperlo.
Note anche come ghost kitchen, virtual kitchen o cloud kitchen, si tratta di cucine commerciali che lavorano soltanto per il mondo del delivery. Spesso sono gestite da grandi brand e catene della ristorazione, ma non sono veri e propri ristoranti, anzi: si presentano come strutture in cui diversi marchi convivono fianco a fianco e preparano il cibo ordinato dai clienti tramite le app di delivery più diffuse. Non ci sono tavoli e sedie, ma solo fornelli, friggitrici e cuochi che lavorano per soddisfare le richieste del mercato.
Negli ultimi anni, il fenomeno delle dark kitchen è cresciuto esponenzialmente nelle principali metropoli occidentali. Le città molto grandi infatti offrono milioni di potenziali clienti, ma sono talmente estese che spesso i ristoranti non possono permettersi di aprire abbastanza sedi fisiche per servire ogni zona. L’affitto di una o più cucine commerciali situate in posizioni strategiche permette agli imprenditori di allargare il bacino delle consegne a domicilio senza dover sostenere i costi di affitto e gestione richiesti da un vero e proprio locale. Forte del successo ottenuto all’estero, il modello delle dark kitchen sta arrivando anche in Italia, e già oggi in alcune città sono attivi marchi della ristorazione che non hanno una vera e propria sede fisica ma lavorano soltanto per le consegne a domicilio. Un esempio è Delivery Valley, startup fondata nel 2020 che oggi conta cinque sedi tra Milano e Torino, da cui è possibile ordinare hamburger, pizza, panini e anche specialità orientali.
Le esperienze dei rider
Un mercoledì di maggio, verso le 19, venti rider sono appostati davanti a una grande dark kitchen nell’area industriale di Acton, quartiere a ovest di Londra. Sulle pareti blu e azzurre del capannone numero 33 si staglia il logo di “Deliveroo Editions”, la società sussidiaria con cui dal 2016 Deliveroo gestisce il business delle cucine commerciali, attrezzando gli spazi e affittandoli poi ai ristoranti interessati. Attualmente, le cucine di Acton sono occupate da sette marchi che preparano specialità indiane, cinesi e mediorientali, ma anche poke e ali di pollo.
Emerson, un rider brasiliano che parla poco l’inglese, mi fa strada all’interno dello stabilimento. In una piccola stanza si stagliano due grossi schermi che mostrano il numero degli ordini, le cucine da cui provengono e il tempo di attesa previsto. Dietro a un bancone in metallo due ragazzi si occupano di smistare i pacchetti in arrivo dalle varie cucine e consegnarle ai fattorini. «Devo chiederti di allontanarti» mi dice uno di loro quando mi presento come giornalista e spiego il motivo della mia visita.
«Se posso cerco di evitare questo tipo di cucine, perché ci mandano troppo lontano, chiedono di andare ovunque» racconta a Domani Asem, un ragazzo originario della Libia che dal 2020 fa il rider full-time. «Durante la pandemia c’erano molti più ordini, mentre oggi la situazione è più tranquilla. Non ne vale più la pena» afferma in sella al suo motorino, mentre aspetta che lo schermo del cellulare si illumini per indicare l’arrivo di un nuovo ordine.
Gli fa eco Mnase, un rider di origini etiopi che incontro davanti a una dark kitchen in un piccolo edificio nascosto tra schiere di capannoni nel quartiere di Chiswick. Anche in questo caso, superando una macchina parcheggiata davanti all’ingresso e due bidoni dell’immondizia si raggiunge una stanza in cui gli ordini vengono smistati e consegnati ai rider. Lo stabilimento è gestito da FoodStars, un’altra società che si occupa di attrezzare e affittare cucine commerciali nel Regno Unito.
Calo della domanda
Anche la dark kitchen di Chiswick è meno trafficata rispetto al passato: «Quando ha aperto, circa due anni fa, arrivavano molti più ordini. Ora credo che in generale il settore del delivery sia diventato più tranquillo» afferma Mnase. Nonostante il calo degli ordini, i tempi di attesa sono spesso molto lunghi: «È un problema, perché mentre aspetto qui arrivano altre richieste di consegna che non posso accettare» racconta il rider mentre attende vicino al suo scooter. Le dark kitchen non si trovano solo in periferia. Sia FoodStars che Deliveroo Editions gestiscono varie cucine per il delivery nel centro della capitale inglese, dove molti piccoli e medi imprenditori non possono permettersi di affittare lo spazio per un ristorante vero e proprio e ripiegano quindi sul business delle consegne.
Sotto agli archi della overground – la metropolitana sopraelevata di Londra – nell’area di Shoreditch, ricca di locali e nota per la sua vibrante vita notturna, ha sede un’altra dark kitchen di FoodStars. All’esterno un cartello indica la presenza di oltre 20 ristoranti, ma Asad, che lavora come cuoco in una delle cucine, è convinto che al momento solo tre o quattro spazi siano operativi, mentre gli altri li ha sempre visti vuoti. La sua cucina è di dimensioni «medie», mi dice, e ci lavorano due persone, con turni di otto ore al giorno tra le 11 e le 23.
Anche qui però, nel cuore della città, gli ordini scarseggiano: «I tempi di attesa non sono troppo lunghi, ma è un sito molto tranquillo» mi dice Mohammed, un rider originario del Bangladesh che vive a Londra da 13 anni. «Fino a sei o sette mesi fa arrivavano molti più ordini, in ogni momento c’erano almeno dieci rider qui fuori ad aspettare. Ora non succede più».
Problemi a Swiss Cottage
Se le dark kitchen sembrano essere un modello potenzialmente vincente per gli imprenditori della ristorazione, i residenti che abitano vicino a queste strutture non sempre ne sono altrettanto entusiasti.
Nel quartiere di Swiss Cottage, poco sopra a Camden Town, nel 2017 Deliveroo ha aperto una delle sue prime dark kitchens. Dato che lo spazio non ha finestre, per assicurare il ricambio d’aria Deliveroo ha dovuto installare un sistema di ventilazione che rigetta all’esterno i fumi delle cucine, proprio dove ci sono i balconi e le terrazze delle case circostanti. Inoltre, in seguito alle proteste dei residenti la società ha ingaggiato alcuni vigilanti per monitorare il via vai di rider e assicurarsi che rispettino le regole della strada senza creare problemi. Da anni Edie Raff, ex giornalista di 82 anni che vive poco lontano dalla cucina, porta avanti una battaglia legale per chiedere a Deliveroo di chiudere il sito.
«Nel 2017, Deliveroo ha speso centinaia di migliaia di sterline per organizzare le cucine» racconta Raff dal suo appartamento. Dopo circa due anni e mezzo, il consiglio del quartiere ha ordinato alla compagnia di andarsene, ma Deliveroo è riuscita a ottenere un’estensione temporanea ad alcune condizioni: i rider avrebbero dovuto attraversare nel modo corretto la strada a quattro corsie su cui si affaccia il sito, senza andare contromano e senza tagliare la strada a macchine e pedoni, e la dark kitchen avrebbe dovuto migliorare i sistemi di ventilazione per evitare odori e rumori. «Deliveroo ha giocato con il sistema legale e con i rappresentanti del quartiere, continuando a dire che avrebbe migliorato il servizio e le condizioni delle cucine. Ma non è stato così» afferma Raff.
Ad aprile 2022, il consiglio di zona ha nuovamente negato a Deliveroo l’autorizzazione per rimanere nel quartiere, ma l’azienda ha fatto ricorso. Circa un mese prima del processo però, a marzo 2023, Deliveroo ha ritirato la richiesta di appello senza fornire motivazioni e ha acconsentito a liberare le cucine entro fine maggio. Domani ha contattato Deliveroo e FoodStars per avere un commento riguardo alle attività delle dark kitchens, ma non ha ricevuto risposta. Swiss Cottage non è l’unico quartiere in cui i residenti hanno presentato lamentele formali nei confronti delle dark kitchens. A Lambeth, nel sud di Londra, nel 2021 i residenti del condominio noto come York House hanno avviato una petizione per chiedere la chiusura di una cucina gestita da FoodStars, sostenendo che questa crei traffico e sporcizia nel quartiere.
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