- Dopo un’inchiesta interna alla Compagnia sugli abusi denunciati da almeno quindici persone, i gesuiti avevano provato a offrire a Rupnik «un’ultima possibilità». Ma è stato tutto inutile.
- Il sacerdote non ha risposto alle direttive dei suoi superiori, rifiutandosi di sottostare alle restrizioni che gli erano state imposte.
- Rupnik resta un sacerdote secolare: la sua eventuale dimissione dallo stato clericale dipende ora dalla Santa sede, cioè, in ultimo da papa Francesco, che già una volta lo ha salvato dalla scomunica latae sententiae.
Alla fine, il decreto è arrivato: espulsione. Marko Rupnik, il sacerdote accusato di abusi da diverse religiose, è stato dimesso dalla Compagnia di Gesù.
La decisione è stata presa il 9 giugno scorso dal generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal, «a causa del suo rifiuto ostinato di osservare il voto di obbedienza», come si legge nel comunicato ufficiale diffuso il 15 giugno da padre Johan Verschueren, superiore di Rupnik e delegato per le Case e le Opere interprovinciali romane dei gesuiti.
Dopo un’inchiesta interna alla Compagnia sulle responsabilità del famoso artista, durata diversi mesi, e che aveva appurato gli abusi sessuali, spirituali, di coscienza commessi da Rupnik nei confronti di almeno quindici persone, i gesuiti avevano provato a offrirgli una nuova comunità e una nuova missione, in sostanza «un’ultima possibilità di fare i conti con il proprio passato e di dare un segnale chiaro alle numerose persone lese che testimoniavano contro di lui».
Ma è stato tutto inutile: Rupnik non ha risposto alle direttive dei suoi superiori, rifiutandosi di sottostare alle restrizioni che gli erano state imposte. Come abbiamo documentato su Domani, ha infatti continuato come nulla fosse a celebrare messa, a viaggiare e addirittura a portare avanti gli affari dell’atelier del Centro Aletti.
Perdono sempre le vittime
«Di fronte al reiterato rifiuto di Marko Rupnik di obbedire», scrive ancora padre Verschueren, «ci è rimasta purtroppo una sola soluzione: la dimissione dalla Compagnia di Gesù».
Ora l’ex gesuita, a cui è stata comunicata la dimissione dall'ordine il 14 giugno, secondo le norme del codice di diritto canonico ha un mese di tempo per presentare ricorso. I gesuiti hanno anche ringraziato «per la comprensione e il sostegno» le persone che hanno testimoniato al Team Referente, formato a dicembre per verificare la verosimiglianza delle denunce a carico del prete.
«Se e quando la dimissione dovesse diventare definitiva – promette la Compagnia in una lettera alle vittime – sarà possibile approfondire i temi e rendere note più cose».
«Rupnik è stato ritenuto responsabile dei fatti che tutte noi abbiamo denunciato – dichiara Anna (nome di fantasia), la prima ex sorella della Comunità Loyola ad aver raccontato a Domani le violenze subite da Rupnik – ma chi perde veramente ancora una volta in questa storia? Le vittime, che sono chiamate ad attendere ulteriori sviluppi».
«Siamo di fronte a un gioco delle parti, dove la grande assente è la giustizia per chi, come me, aveva creduto nella chiesa e si è ritrovata abusata nello spirito, nell’anima e nel corpo – aggiunge ancora Anna – vincono invece i gesuiti, che allontanano un confratello problematico, la chiesa, che continua a proteggerlo, e ovviamente lo stesso Rupnik, che non è obbligato ad assumersi le sue responsabilità e a iniziare un percorso di conversione».
Ancora una volta in questa storia le vittime rimangono le grandi assenti, a cui nessuno – non la Compagnia di Gesù, tantomeno la chiesa – chiede scusa o propone un risarcimento per il dolore e le violenze subite.
«Mettendomi nei panni delle mie ex consorelle, alle quali gli abusi hanno stravolto la vita, mi chiedo cosa provino leggendo che padre Marko è stato dimesso perché ha rifiutato di osservare il voto di obbedienza», commenta Esther (nome di fantasia), un’altra delle ex suore della comunità Loyola, già intervistata da Domani.
«Non è quello che ci aspettavamo quando abbiamo risposto all'invito del team referente del gesuiti di testimoniare – aggiunge – abbiamo sperato che lo avrebbero fermato e invece oggi ci troviamo a chiederci quante persone ancora dovranno soffrire a causa sua».
Il giudizio della Santa sede
Rupnik resta un sacerdote secolare: la sua eventuale dimissione dallo stato clericale dipende ora dalla Santa sede, cioè, in ultimo da papa Francesco, che già una volta lo ha salvato dalla scomunica latae sententiae che la Congregazione per la dottrina della fede gli aveva impartito per aver assolto in confessione la novizia con cui aveva avuto un rapporto sessuale.
L’ex gesuita ora dovrà cercare un vescovo che accetti di incardinarlo nella sua diocesi: qualcuno che ovviamente gli permetta di continuare a produrre e vendere mosaici con il sostegno dei suoi fedelissimi (e soprattutto delle sue fedelissime) del Centro Aletti.
Lo scenario che si apre oggi è dunque ancora ricco di variabili e di problemi da sciogliere. Uno di questi è la permanenza di Rupnik all’interno dello stesso Centro Aletti, che pur dipendendo dalla diocesi di Roma in quanto associazione pubblica di fedeli, si trova in un palazzo romano, in via Paolina, di proprietà dei gesuiti.
Il vicario di Roma, il cardinale Angelo de Donatis, è un grande amico di Rupnik, ma è comunque sempre il papa a decidere delle questioni fondamentali, come disposto dalla Costituzione apostolica In ecclesiarium communione sull’ordinamento del vicariato romano, voluta dallo stesso Francesco lo scorso 6 gennaio. In ultima istanza sarà ancora una volta il papa, quindi, a determinare – con opere o con omissioni – il futuro del controverso sacerdote, suo amico, oggi anche ex confratello.
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