- La chiamano “la nuova Cappella Sistina”, e i mosaici che l’hanno resa famosa in tutto il mondo portano la firma di Marko Rupnik. Stiamo parlando della cappella Redemptoris Mater in Vaticano
- Quell’operazione, che fece decollare la carriera del gesuita come mosaicista, ha in realtà una genesi complicata: fu inizialmente affidato all’artista russo Alexander Kornoukhov
- Kornoukhov oggi accusa Rupnik di aver distrutto il suo lavoro e di essersi sostituito a lui per prendersi il merito finale dell’opera
La chiamano “la nuova Cappella Sistina”, e i mosaici che l’hanno resa famosa in tutto il mondo portano la firma di Marko Rupnik. Stiamo parlando della cappella Redemptoris Mater in Vaticano, che papa Giovanni Paolo II decise di rinnovare completamente allo scadere del millennio con un’opera che profetizzasse l’avvento di nuova epoca cristiana. Un grande progetto, non solo artistico ma anche teologico, che Wojtyła non a caso aveva definito «i due polmoni di una sola chiesa».
Attribuito universalmente a Rupnik, il famoso restauro ha in realtà una genesi complicata e per molti versi ancora oscura. In un primo momento, infatti, la Santa sede non aveva incaricato l’artista sloveno di realizzare i mosaici per la cappella papale ma il mosaicista russo Alexander Kornoukhov: il Centro Aletti era in origine responsabile soltanto della supervisione organizzativa e teologica dell’opera. Oggi Kornoukhov accusa apertamente Rupnik di aver distrutto il suo lavoro e di essersi sostituito a lui per prendersi il merito finale dell’opera. «Attraverso la calunnia, la sedizione e l’inganno, in violazione del suo trattato con la Santa sede, (Rupnik) ha distrutto, all’insaputa di papa Giovanni Paolo II, i mosaici finiti della cappella “Madre del Redentore” del Palazzo Vaticano, creati nel 1996-1998 da Kornoukhov», si legge infatti nella lettera del 3 gennaio 2023 che Artyom Kirakosov e Anna Weinberg, rappresentanti dell’artista russo, hanno indirizzato (ma non ancora spedito) a papa Francesco e a padre Joahn Verschueren, delegato per le case e le opere interprovinciali dei gesuiti a Roma.
L’inizio della vicenda
Una vicenda rocambolesca che vale la pena ricostruire dall’inizio e che aggiunge non pochi elementi alla comprensione della figura del noto sacerdote, accusato di reiterati abusi da diverse religiose e da poco dimesso dall’ordine dei gesuiti per violazione del voto di obbedienza. Rupnik ha tempo fino al 14 luglio per fare ricorso contro la decisione dei suoi superiori ma è molto improbabile che lo faccia visto che, come ha rivelato la direttrice del Centro Aletti Maria Campatelli in una “lettera agli amici”, lui per primo il 21 gennaio scorso aveva chiesto di uscire dalla Compagnia di Gesù «essendo in toto venuta meno la fiducia verso i propri superiori». Per gli stessi motivi, anche gli altri gesuiti del Centro Aletti hanno fatto domanda di indulto per uscire dalla Compagnia e non c’è dubbio che lo seguiranno anche le donne consacrate del Centro, le sorelle della comunità della Divino Umanità.
In questa nuova cornice, che ne sarà dell’atelier artistico di via Paolina, e dell’avviata attività di realizzazione dei mosaici? Un affare fruttuoso che ha portato fama e denaro al Centro Aletti e che è iniziato proprio con la controversa realizzazione della Cappella vaticana.
«Nel 1996 la chiesa mi ha chiesto di impegnarmi in un’opera artistica liturgica. Allora ho capito con chiarezza che non mi posso più sottrarre, che l’arte non è semplicemente l’espressione dell’artista, ma un servizio, umile come tutti i servizi. L’arte è come l’amore: più è personale, più è universale». Ne Il colore della luce (Lipa 2003), Marko Rupnik allude così all’incarico di occuparsi della ristrutturazione e decorazione della cappella Redemptoris Mater. Con la somma ricevuta nel 1996 dal collegio cardinalizio in occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione, Karol Wojtyła aveva infatti deciso di restaurare la cappella con un progetto iconografico che riconciliasse, alle soglie del nuovo secolo, la divisione millenaria fra l’oriente e l’occidente cristiano. Così il papa spiegava ai cardinali la sua idea, il 10 novembre 1996: «Essa diventerà un segno dell’unione di tutte le chiese da voi rappresentate con la sede di Pietro. Rivestirà inoltre un particolare valore ecumenico e costituirà una significativa presenza della tradizione orientale in Vaticano».
Il Centro Aletti, fondato pochi anni prima proprio con l’intento di favorire l’incontro fra ortodossi e cattolici, appare a tutti il luogo perfetto per concepire un progetto ecumenico e artistico così ambizioso, e proprio nella sede di via Paolina nasce l’idea di realizzare la cappella in stile bizantino. A garanzia della tenuta teologica dell’impresa c’è Tomáš Špidlík, teologo ceco, gesuita, profondo conoscitore della spiritualità ortodossa, ispiratore del Centro Aletti e, fra l’altro, mentore e padre spirituale di Rupnik. A realizzare il lavoro viene chiamato Alexander Kornoukhov, che Rupnik e Špidlík hanno conosciuto tramite la celebre poetessa russa Olga Sedakova, all’epoca ospite del Centro Aletti. «Una sera, dopo cena, padre Marko Rupnik mi invitò nel suo ufficio e mi chiese se conoscevo qualche buon mosaicista: voleva trovare un artista russo che lavorasse nello stile tradizionale bizantino», racconta a Domani Sedakova: «Gli parlai volentieri di Alexander Kornoukhov, un mio vecchio amico, che era ormai un artista affermato e in Russia aveva ricevuto il premio di stato». Kornoukov non era un perfetto sconosciuto nemmeno in Italia: aveva vinto il primo premio in un concorso internazionale di mosaico a Ravenna nel 1984 e a Roma nel 1995-96 aveva realizzato dei mosaici per la parrocchia di Sant’Ugo (per ironia della sorte, nella stessa chiesa, fianco a fianco, oggi si trovano anche dei mosaici di Rupnik, commissionati nel 2000 quando ormai la spaccatura dei due artisti si era consumata).
Gli accordi
Ecco come vanno le cose, almeno secondo la ricostruzione fatta dal Centro Aletti in un documento del 29 ottobre 1996. Il 23 gennaio ’96 Špidlík, Rupnik e Michelina Tenace (ex sorella della Comunità Loyola e membro del Centro Aletti, oggi docente alla Gregoriana) sono a pranzo con Giovanni Paolo II: parlano di teologia orientale e discutono, fra le altre cose, dell’opportunità di restaurare la cappella privata del papa. Il giorno successivo Rupnik, accompagnato da Kornoukhov e da sua moglie Vika Naveriani, va a visitare la cappella in Vaticano per farsi un’idea del lavoro da fare. Il 24 maggio 1996 i tre presentano il progetto per la parete centrale della cappella a monsignor Stanisław Jan Dziwisz (per 39 anni segretario di Giovanni Paolo II e oggi cardinale, lo stesso che ha bollato come «farneticanti» le ipotesi di coinvolgimento di Wojtyła nella scomparsa di Emanuela Orlandi) e a monsignor Piero Marini, all’epoca maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie.
Dopo essere passato al vaglio di «diverse commissioni all’interno del Vaticano, sia ecclesiali che artistiche», il 30 maggio arriva il via libera di monsignor Dziwisz, che incarica Rupnik di occuparsi dell’opera: «la Santa sede affida a lei il progetto e il restauro della cappella Redemptoris Mater. Noi ci fidiamo totalmente di lei e le diamo luce verde su tutto», si legge nel memorandum del Centro Aletti. Responsabile del progetto e della messa in opera è Rupnik, assistito da Kornoukov; il consigliere teologico è Špidlík e monsignor Marini è il responsabile per la Santa sede. L’autore dell’opera è Kornoukhov, assistito da Rupnik. Nel documento si accenna anche ai costi: la cifra indicativa è di 800 milioni di lire, ma in calce si sottolinea il fatto che gli artisti devono comunque sentirsi onorati di «lavorare in un posto così importante».
Una lettera del patriarca di Mosca Alexiei, datata 20 agosto 1996, in cui il capo della chiesa ortodossa russa benedice l’incarico di Kornoukhov in Vaticano, conferma che a metà di quell’anno gli accordi erano avviati. «Vi ringrazio per l’informazione sui vostri contatti con il papa di Roma e sulla vostra intenzione di realizzare il mosaico nel palazzo del Santissimo papa Giovanni Paolo II», scrive il patriarca a Kornoukhov, «che il Signore vi aiuti in questo lavoro. Spero che realizzandolo voi sarete degno testimone della dottrina e tradizione culturale della chiesa ortodossa».
L’accordo formale fra Kornoukhov e il governatorato della Città del Vaticano, nella persona del segretario generale, il vescovo Gianni Danzi, viene stipulato il 23 maggio 1997: si stabilisce che l’artista russo «collaborerà all’esecuzione del lavoro di restauro» e che sarà suo «il compito di curare lo stile artistico del mosaico». Il maestro Kornoukhov concorderà la realizzazione delle singole fasi del progetto con il direttore artistico del Centro Aletti, Marko Rupnik, a cui è affidata «la direzione artistica e teologica del restauro della Cappella». Per il suo lavoro, l’artista russo riceverà ottocento milioni di vecchie lire, escluso il costo dei materiali impiegati.
L’11 marzo 1997 Kornoukov firma anche un accordo privato con il Centro Aletti, in cui si concorda che l’artista e la moglie (più due collaboratori, se necessario) si stabiliranno in via Paolina per tutto il tempo necessario al restauro della cappella, con un «parziale rimborso spese» per il Centro di dieci milioni all’anno per vitto e alloggio. In questo accordo si specifica che a Rupnik non riceverà nessuna percentuale del compenso accordato a Kornoukhov dalla Santa sede per il restauro, né si farà pagare per il suo apporto all’opera. Anche in questo caso si specifica che il russo è «il principale artista» del rinnovamento della cappella papale.
Allestito il cantiere nella cappella, Kornoukhov comincia dalla parete orientale, dove realizza il mosaico della “Gerusalemme celeste”, l’unico che si è conservato quasi interamente. «Il mosaico », spiega l’artista, «si ispira a un frammento di un’icona del Giudizio universale del XVI secolo, che avevo visto in uno studio di restauratori a Mosca, e che raffigurava dei santi seduti intorno a un altare, a loro volta rappresentazione della Trinità». Poi, insieme ai suoi collaboratori si dedica alla volta e alle altre pareti. Nel frattempo, però, i rapporti con Rupnik hanno cominciato a incrinarsi. «All’inizio si era proclamato mio allievo ma dopo un po’ ha iniziato a usare ogni pretesto per criticare il mio lavoro, insinuando che non fosse ben fatto e che addirittura cadesse a pezzi», spiega Kornoukhov a Domani. Lo stesso contratto con la Santa sede, secondo quanto si legge nella già citata lettera di Kirakosov e Weinberg, era stato redatto da Rupnik e privava totalmente l’artista russo della sua libertà creativa. Kornoukhov era stato quindi «costretto a firmarlo senza un’adeguata traduzione, sotto costrizione, e in seguito a una pressione emotiva e psicologica durata diversi giorni».
La rottura
Il punto di rottura arriva il 10 febbraio 1998, in concomitanza con la visita di stato del presidente della Federazione russa Boris Eltsin a Roma. In quell’occasione, Eltsin e la moglie sono invitati in Vaticano ad ammirare la Cappella papale. «Fu un successo e tutti apprezzarono i mosaici già realizzati sulle pareti e sulla volta», ricorda Kornoukhov. «Il papa stesso era molto soddisfatto», conferma Sedakova. Ma è qui che la situazione si trasforma in un vero e proprio thriller ricco di colpi di scena. «La mattina successiva alla visita di Eltsin, Rupnik mi buttò fuori dal Centro Aletti e mi tolse anche le chiavi della cappella», accusa Kornoukhov, «si chiuse nel cantiere impedendomi di entrare e distrusse quasi tutto il lavoro che avevo realizzato fino a quel momento». Rupnik fa a pezzi la volta con il Cristo Pantocratore, smantella i mosaici che ricoprono le pareti, salvando soltanto buona parte della Gerusalemme Celeste, mentre Kornoukhov è congedato senza una spiegazione. «Da quel momento mi fu impedito di entrare in Vaticano, senza alcuna prova scritta delle accuse che mi venivano rivolte», rincara l’artista.
Un motivo in realtà c’era ed era anche piuttosto grave, almeno secondo quanto afferma Rino Pastorutti, all’epoca consulente dell’opera: «Mi chiamò il cardinale Re», ricorda, «dovevo dare un parere sul lavoro e alla fine mi fermai per tre anni». Il problema, secondo Pastorutti, era che «i mosaici fatti da Kornoukhov non tenevano perché il collante non era adatto e le tessere della volta venivano giù». Pastorutti, maestro mosaicista di Spilimbergo e a lungo collaboratore del Centro Aletti, racconta a Domani che i problemi di tenuta erano talmente evidenti che all’epoca circolavano anche disegni satirici in cui si vedeva il papa dire messa col casco protettivo. «Non discuto la bravura dell’artista ma sulle grandi superfici non si può andare a naso. Forse è stato consigliato male», aggiunge. Pastorutti, che ha poi collaborato al rifacimento della volta dopo il licenziamento di Kornoukhov, scrisse anche una relazione sul lavoro fatto dal russo e sui motivi che avrebbero causato il suo allontanamento dalla Redemptoris Mater. Il documento, spiega Pastorutti, «doveva rimanere secretato in Vaticano per un certo numero di anni». «Una relazione tecnica di cui non ho mai sentito parlare prima d’ora», assicura dal canto suo il mosaicista russo.
Secondo Kornoukhov, queste accuse erano totalmente infondate e frutto di una manovra del gesuita, «un puro atto di vandalismo», pianificato per prendersi il credito finale del restauro della cappella. «Per dimostrare i gravi “difetti” del mio lavoro, Rupnik con un cacciavite aveva staccato delle pietre dalla parete est», sostiene Kornoukhov. «Insisto sul cacciavite, perché le pietre avevano pezzi di grassello di calce che non ci sarebbero state se le pietre fossero cadute da sole», aggiunge. Non solo: secondo quanto afferma Kornoukhov, prima di mandarlo via dalla cappella Rupnik si assicurò che il russo non avesse ancora provveduto a fissare il mosaico alle pareti. «Mi chiese: hai fissato il mosaico? Alla mia risposta negativa, si limitò a comunicarmi verbalmente che la nostra collaborazione era terminata».
La svolta
Così l’artista russo è costretto a lasciare Roma, e a nulla valgono le lettere di protesta che, insieme ai suoi sostenitori, scrive all’arcivescovo di Roma e allo stesso papa Giovanni Paolo II. Sarà Rupnik a rifare le parti demolite e a completare il restauro e oggi chi visita la cappella Redemptoris Mater vede questa accozzaglia di stili che, secondo Kornoukhov e Sedakova, ha deturpato anche dal punto iconografico il progetto originario di Giovanni Paolo II.
Comunque sia andata, una cosa è certa: per Rupnik la realizzazione di questo “umile servizio” è la svolta: da quel momento la sua carriera di mosaicista decolla e le commissioni per i lavori cominciano a fioccare da ogni parte del mondo. Prima del prestigioso incarico in Vaticano, infatti, Rupnik si era dedicato, fra dubbi e ripensamenti, soprattutto all’arte figurativa («facevo le mostre, i critici mi hanno notato, e ho capito il rischio che può costituire la fama», confessava nel Colore della luce). Ma allo scadere del millennio, insieme ai mosaici della cappella privata del papa viene consacrata anche la sua fama di artista internazionale.
Rupnik viene chiamato a riprodurre i mosaici della Redemptoris Mater nella cappella dei Cavalieri di Colombo a New Haven, nel Connecticut, nel 2005, e da lì a poco arriveranno i grandi incarichi a Lourdes, Fatima e nella Basilica di San Giovanni Rotondo. Per l’opera in Vaticano benedetta da Paolo Giovanni II, il gesuita riceve nel 2000 il premio Prešeren, la più alta onorificenza del ministero della Cultura sloveno (premio che è stato invitato a restituire dalla ministra della Cultura Asta Vrečko quando è scoppiato lo scandalo degli abusi sulle suore della Comunità Loyola).
Le questioni aperte
Rimangono molte domande: chi ha permesso a Rupnik di distruggere il lavoro di Kornoukhov e di prendersi il merito dell’opera? Se il Centro Aletti doveva fornire all’artista russo supervisione e assistenza, perché non ha risolto l’eventuale problema del collante?
Sul lavoro perduto di Kornoukhov, in Russia sono stati stampati alcuni libri ed è stato realizzato un documentario, diretto da Alexander Stroev e creato appositamente per i 25 anni dei mosaici della cappella. A inizio 2023 a Mosca sono stati organizzati una tavola rotonda e una mostra che, scrive il curatore Artyom Kirakosov, «include per la prima volta una rappresentazione dei mosaici perduti e distrutti in Vaticano», grazie al restauro digitale basato su vecchie fotografie Polaroid non professionali e curato dalla restauratrice Maria Ovchinnikova. Lo scorso 20 gennaio, Kornoukhov ha mandato una lettera a papa Francesco in cui chiede la conferma ufficiale della paternità dei mosaici vaticani da lui eseguiti e il permesso di «continuare a creare in vari formati e materiali, in una varietà di linguaggi artistici, nuove opere sulla base di bozzetti, cartoni e fotografie conservate nell’archivio dell’artista». Per ora dal Vaticano non è arrivata risposta. Kournokhov questa volta non ha però nessuna intenzione di lasciarsi zittire ed è pronto a spedire la già citata lettera di denuncia contro Rupnik. Determinato a ristabilire la verità sulla cappella Redemptoris Mater, l’artista russo vuole rientrare in possesso dei diritti sul suo lavoro e progetta di portare la mostra anche in Italia: i bozzetti mai realizzati della “seconda Sistina” si potranno probabilmente vedere a Venezia già il prossimo autunno.
Una cosa è certa: comunque vada – e soprattutto ora che la sorte di Rupnik è quanto mai incerta, mentre infuria la polemica sulla possibile rimozione delle sue opere – la storia della cappella contesa non è ancora arrivata ai titoli di coda.
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