- La Compagnia di Gesù annuncia nuove restrizioni al sacerdote e artista Marko Rupnik, accusato di violenze da decine di vittime.
- La nuova decisione si basa sull’ascolto della testimonianza di quindici nuove vittime da parte di una commissione appositamente creata.
- Ma molti punti della vicenda restano oscuri: come mai il sacerdote è stato scomunicato e poi l’atto è stato ritirato? Chi sono i complici che l’hanno protetto? E perché in molti ancora non prendono le distanze da lui?
Questa inchiesta a puntate, “La violenza nella chiesa italiana”, è realizzata grazie al sostegno dei lettori di Domani. Scopri anche tu come contribuire: squarciamo insieme il muro di omertà della chiesa sugli abusi di tutti questi anni.
Quindici nuove testimonianze di violenze – sessuali, spirituali e di coscienza – compiute nell'arco di più di trent'anni a carico di Marko Rupnik, il noto gesuita al centro di uno scandalo dallo scorso dicembre per abusi. È quanto emerge da un comunicato della Dir, la Delegazione per le case e opere interprovinciali romane della Compagnia di Gesù, che dà conto del lavoro del team referente costituito proprio per accogliere le vittime del gesuita.
Il numero esatto delle persone sentite è invece esplicitato dal superiore maggiore di Rupnik, padre Johan Verschueren, su Repubblica e Associated Press, testate scelte dai gesuiti come uniche interlocutrici per i primi commenti sul report, al posto della conferenza stampa annunciata in un primo momento.
Le restrizioni
Ecco cosa sappiamo. In attesa di un ulteriore approfondimento sulla fondatezza e la gravità delle accuse, Rupnik non potrà accettare ulteriori incarichi come artista, «in modo particolare nei confronti di strutture religiose, chiese, istituzioni, oratori e cappelle, case di esercizi o spiritualità». Una restrizione che si aggiunge alla proibizione di lasciare il Lazio e ai divieti già in vigore (almeno formalmente) di officiare messa, celebrare sacramenti e parlare in pubblico.
Sulla base di queste nuove testimonianze, il cui grado di credibilità è stato definito «molto alto», padre Verschueren ha però già dichiarato che intende promuovere un procedimento interno alla Compagnia sull'operato di Rupnik. Sul profilo della giustizia civile, tutto invece sarebbe prescritto: «La natura delle denunce pervenute tende a escludere la rilevanza penale, di fronte alla autorità giudiziaria italiana, dei comportamenti di padre Rupnik», si legge infatti nella comunicazione dei gesuiti.
Ben diversa è la rilevanza da un punto di vista canonico, e qui si apre il ventaglio delle possibilità per il futuro sacerdotale di Rupnik: l'inchiesta potrebbe portare a provvedimenti disciplinari di diverso tipo, dalle limitazioni al suo ministero fino alle dimissioni dalla Compagnia. Molto dipende anche dall'atteggiamento dell'accusato e dalle sue intenzioni di ravvedimento, come sottolinea Verschueren: per ora Rupnik, se pur invitato a presentarsi, si è sempre sottratto al confronto con il suo superiore, ma ora dovrà «fornire la propria versione dei fatti».
Cosa manca
Il caso Rupnik, che da mesi tiene sulla graticola Compagnia di Gesù, curia romana e Vaticano, è dunque a una nuova svolta o siamo di fronte all'ennesima cortina di fumo? Il comunicato dei gesuiti, al netto delle dichiarazioni di solidarietà nei confronti delle vittime e dei “mai più”, non è chiaro e omette alcuni fatti importanti. Innanzitutto non nomina né la scomunica latae sententiae (poi subito rimessa) in cui Rupnik è incorso nel 2020 per “assoluzione del complice in confessione”, né il procedimento ecclesiastico al Dicastero per la dottrina della fede per abusi su alcune suore, concluso nel 2022 con la prescrizione dei fatti.
Rupnik emerge dalla nota dei gesuiti come uno che non ha alle spalle uno “storico” di procedimenti ecclesiastici anche gravi: il Dir si limita infatti a constatare che non ci sarebbe il sospetto di «un delitto più grave contro il sacramento della penitenza» (quindi assoluzione di una persona con cui ha avuto un rapporto sessuale, per esempio) e dunque non ci sarebbero gli estremi per un trasferimento del nuovo dossier al Dicastero per la dottrina della fede. Padre Verschueren su Ap si è addirittura detto «"sollevato" dal fatto che il Dicastero non sarà coinvolto, data la sua precedente decisione di non rinunciare alla prescrizione del caso del 2021».
Lapidario il commento di Italy Church Too, il coordinamento contro gli abusi nella Chiesa nato un anno fa: «Si tratta di misure insufficienti e tardive – dice la referente, Ludovica Eugenio – i gesuiti parlano di restrizioni che si aggiungono a quelle già in vigore ma che, come sappiamo, non sono mai state osservate da Rupnik, che ha continuato fino a dicembre a muoversi e a lavorare indisturbato. Inoltre se, come pare dal comunicato, Rupnik non si è ancora pentito, perché gli è stata tolta la scomunica nel 2020? Infine: perché il papa si ostina a non togliere la prescrizione e non riapre un nuovo procedimento ecclesiastico, visto che siamo di fronte ad almeno una ventina di vittime?».
Le domande senza risposta, come si vede, restano molte, compresa l'incognita su come verranno risarcite le vittime. Così come resta da indagare la rete di complicità che ha sostenuto e continua a sostenere il gesuita, a partire da chi ha provveduto a rimettere la scomunica (il papa, in un'intervista ad Ap, ha detto di non sapere nulla) fino a chi gli ha permesso di “sorvolare” sulle restrizioni imposte dalla Compagnia.
Protezioni e amicizie che resistono solide anche oggi e che hanno permesso a un parterre di personalità ecclesiastiche e non – il cardinale Matteo Zuppi in primis – di ritrovarsi nella Basilica di San Giovanni Bosco a Roma, lo scorso 14 febbraio, a presentare L'arte della buona battaglia, l'ultimo libro di don Fabio Rosini, in cui Rupnik viene definito “maestro” e “profeta”. In bella vista la copertina con un mosaico del gesuita e in tutta la serata, fra elogi e consigli spirituali, nemmeno una parola sull'imbarazzante indagine per abusi in corso.
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