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Prima di parlare tramite social, l’ultimo sul quale è sbarcato è Tiktok, Salvatore Baiardo parlava con le lettere, scritte di suo pugno e indirizzate alla magistratura inquirente. La celebrità Baiardo la deve alla previsione dell’arresto di Messina Denaro annunciata a novembre su La7, indovinando peraltro il periodo in cui sarebbe avvenuta la cattura del latitante.
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Domani ha ottenuto una delle missive scritte da Baiardo in cui fornisce l’alibi ai suoi dante causa, gli stragisti mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano. Per capire di cosa si tratta bisogna tornare al 2011. E all’epoca che Baiardo, di mestiere gelataio e condannato negli anni Novanta per favoreggiamento della latitanza dei boss palermiatini, legge sui giornali di un pentito che parla dei suoi amici al 41 bis, il regime di carcere duro.
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«Vorrei poter riferire alla Signoria Vostra, alcune imprecisioni lette a riguardo della latitanza al nord di Giuseppe Graviano. La cosa principale riguarda il fatto che il sig.Graviano Giuseppe possa aver premuto il tasto del telecomando per l’attentato al giudice Paolo Borsellino, visto che un quarto d’ora dopo il fatto, io e il signor Graviano Giuseppe siamo stati fermati per un controllo dalla pattuglia di polizia di stato in località Crusinallo di Omegna», scriveva nel 2011 Baiardo che fornisce un alibi di ferro allo stragista, fido amico.
Prima di parlare tramite social, l’ultimo sul quale è sbarcato è Tiktok, Salvatore Baiardo parlava con le lettere, scritte di suo pugno e indirizzate alla magistratura inquirente. La celebrità Baiardo la deve alla previsione dell’arresto di Messina Denaro annunciata a novembre su La7, indovinando peraltro il periodo in cui sarebbe avvenuta la cattura del latitante.
Baiardo è una figura enigmatica. Non sempre ha detto la verità. Domani ha ottenuto una delle missive scritte da lui in cui fornisce l’alibi ai suoi dante causa, gli stragisti mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano. Per capire di cosa si tratta bisogna tornare al 2011. E allora che Baiardo, di mestiere gelataio e condannato negli anni Novanta per favoreggiamento della latitanza dei boss palermiatini, legge sui giornali di un pentito che parla dei suoi amici al 41 bis, il regime di carcere duro. Il collaboratore di giustizia si chiama Fabio Tranchina e ha fatto l’autista proprio dei Graviano. Tranchina racconta del coinvolgimento dei padrini di Brancaccio nella strage di via D’Amelio, nella quale morirono il magistrato del pool antimafia di Palermo Paolo Borselino e gli agenti della scorta.
In sintesi il pentito dice che è stato Giuseppe Graviano a schiacciare il pulsante con cui ha azionato l’autobomba che ha ucciso il magistrato simbolo della lotta alla mafia e i poliziotti che lo stavano accompagnando, come ogni domenica, a casa della madre. Dopo aver letto le dichiarazioni, Baiardo decise che era arrivato il tempo di inviare una lettera ai pubblici ministeri.
La lettera per l’alibi falso
«Vorrei poter riferire alla Signoria Vostra, alcune imprecisioni lette a riguardo della latitanza al nord di Giuseppe Graviano. La cosa principale riguarda il fatto che il sig.Graviano Giuseppe possa aver premuto il tasto del telecomando per l’attentato al giudice Paolo Borsellino, visto che un quarto d’ora dopo il fatto, io e il signor Graviano Giuseppe siamo stati fermati per un controllo dalla pattuglia di polizia di stato in località Crusinallo di Omegna», scriveva nel 2011 Baiardo che fornisce un alibi di ferro allo stragista, fido amico.
Quella del gelataio, 19 anni dopo gli accadimenti, è una memoria inossidabile visto che ricorda anche altri particolari che avrebbero dovuto, negli auspici di Baiardo, scagionare Graviano.
«Avevamo appena appreso dell’attentato al giudice Paolo Borsellino, nella mia gelateria in Omegna, così stavo accompagnando il sig. Graviano Giuseppe a casa mia, per vedere un telegiornale. Non vi sarà difficile verificarne tale avvenimento, visto che il sig. Graviano Giuseppe era stato registrato con documento di tale Mazzola Francesco», racconta nella lettera.
C’è un altro dettaglio che l’amico dei Graviano non trascura:«Ricordo in particolare che uno dei due agenti si chiama Angelo Porcu, era dispiaciuto di non potermi lasciare andare, perché vi era la presenza di un agente che non poteva fare diversamente. Sono particolari difficili da dimenticare, vista la mia paura nel rischiare di farmi fermare con un latitante, e le conseguenze che avrei potuto provocare al sig. Graviano Giuseppe», diceva.
Poi Baiardo, come ha fatto ancora l’altra sera a Non è l’Arena, rivendica la proprietà della gelateria smentendo di averla comprata con i soldi dei Graviano, e supporta la sua missiva con gli appunti contenuti nelle agende «che mi sono state sequestrate assieme ad altri documenti e album fotografici, che non mi sono mai stati restituiti, potete trovare i riscontri di quanto dico, visto che sono stati annotati in anni non sospetti».
Baiardo si rende disponibile a fornire ulteriori chiarimenti prima di ricordare che i soldi portati al nord da Tranchina servivano per altre attività. Non sarebbero serviti per comprare la gelateria salvo poi ammettere durante l’interrogatorio di essersi fatto aiutare nella ristrutturazione del locale con 70 milioni di lire.
Baiardo, insomma, si muove d’iniziativa e manda una lettera per fornire un alibi di ferro a Graviano, il dato emerge dalla documentazione che gli avvocati degli stragisti presentano alla magistratura che indagava sul loro ruolo nelle stragi. Le affermazioni di Baiardo, tuttavia, erano false. L’aiutino però è un ulteriore prova del legame il gelataio e i padrini delle stragi.
Il falso di Baiardo
Il 27 ottobre 2011 Baiardo ha subito una perquisizione nella quale è stato sequestrato un «memoriale manoscritto e firmato da Baiardo, in duplice copia, trasmesso alla corte di assise di Palermo ed ai difensori di Graviano Giuseppe», nel quale forniva l’alibi per il giorno della strage di via D’Amelio. Un alibi falso. Baiardo, successivamente, è stato anche ascoltato dalla procura di Firenze che aveva scoperto le menzogne.
«In virtù di quanto appreso dalla lettura del memoriale, sono stati delegati accertamenti a personale delcentro operativo Dia di Milano, che, in data 7 novembre u.s. si è recato presso il Commissariato diOmegna, ove ha verificato l'infondatezza di quanto asserito da Baiardo», si legge negli atti.
Una storia di 12 anni fa relativa all’indagine della procura di Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio e a quella fiorentina sulle bombe sul continente del 1993-1994. Un’indagine che oggi vede indagati Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Il fascicolo contiene anche i quattro interrogatori che Baiardo ha rilasciato alla procura toscana che sta approfondendo anche una storia svelata da Domani, nelle scorse settimane, quella relativa all’incontro tra Baiardo e Paolo Berlusconi risalente proprio al 2011 quando primo ministro era proprio Silvio Berlusconi.
Perché la missiva?
Giuseppe Graviano era stato già condannato come mandante ed esecutore della strage di via D’Amelio, nel corso del processo Borsellino bis, nel quale aveva inutilmente provato a scagionarsi sostenendo di essere a Taormina il giorno della strage. Le dichiarazioni di Tranchina gli assegnano il ruolo di colui che ha schiacciato il pulsante e puntano l’attenzione sui suoi uomini a Brancaccio. Per questo era necessario smentire e fornire un’altra verità, quella confezionata dalla letterina di Baiardo.
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