Si avvicina il processo per il tesoriere del partito di Salvini. Il giudice di Roma dovrà decidere se rinviare a giudizio Giulio Centemero per le donazioni, in tutto 250 mila euro, ricevuta tramite l’associazione Più Voci, considerata un’articolazione del partito di Salvini. Stessa sorte per Francesco Bonifazi, renziano ora tesoriere di Italia viva ma all’epoca ricopriva lo stesso ruolo nel Pd
- Il 25 marzo 2021 il guardiano dei conti del partito di Matteo Salvini dovrà difendersi dall’accusa di finanziamento illecito.
- Quel giorno infatti il tesoriere della Lega, Giulio Centemero, comparirà davanti al giudice per l’udienza preliminare, che dovrà valutare se mandarlo a processo.
- Agli atti del processo le cene tra Parnasi e Salvini, attenti a «non farsi beccare»
Il 25 marzo 2021 il guardiano dei conti del partito di Matteo Salvini dovrà difendersi dall’accusa di finanziamento illecito. Quel giorno infatti il tesoriere della Lega, Giulio Centemero, comparirà davanti al giudice per l’udienza preliminare, che dovrà valutare se mandarlo a processo. Il destino ha voluto che la stessa sorte sia toccata a un altro tesoriere di sponda opposta: Francesco Bonifazi, ora Italia viva, ma all’epoca lo era del Pd. Entrambi sotto accusa per soldi ricevuti dall’immobiliarista Luca Parnasi.
Insieme a Centemero e al costruttore Parnasi era coinvolto anche uno dei commercialisti della Lega. Entrambi, questi ultimi, arrestati e indagati in altre inchieste: Parnasi è sotto accusa anche per la corruzione che girava attorno al nuovo stadio della Roma, una storia che aveva rischiato di travolgere un pezzo di 5 Stelle della capitale; Manzoni è ancora ai domiciliari per l’indagine della procura di Milano sui fondi pubblici distratti dalla fondazione Lombardia film commission e dirottati verso società riconducibili a aziende dei contabili della Lega, scelti e voluti da Centemero e da Salvini.
Mezzo miliardo di vecchie lire
Se dovessimo usare la Lira, monete tanto cara ai sovranisti, per quantificare la donazione di Parnasi all’associazione Più Voci, secondo i magistrati romani riconducibile al partito, la somma farebbe mezzo miliardo. Cifra ben più consistente di quella che negli anni di Tangentopoli portò a processo il tesoriere dell’epoca e il leader Umberto Bossi per finanziamento illecito, in quel caso i denari provenivano da Montedison.
Questa volta, tuttavia, a pagare per tutti sarà solo il cassiere del partito, Centemero. Il fondatore nel 2015 di una anonima associazione registrata con il nome “Più Voci”. Centemero non fu il solo costituirla, insieme a lui gli amici e colleghi Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, i professionisti scelti dalla dirigenza sovranista per amministrare le finanze della Lega.
Parnasi ha versato all’associazione leghista 250mila euro, in due tranche da 125mila l’una tra il 2015 e il 2016: periodo complicato, con i conti del partito assediati dall’inchiesta di Genova sulla truffa dei 49 milioni di euro sui rimborsi elettorali architettata dalla gestione pre Salvini e pre Maroni. Il sequestro dei conti era alle porte, insomma. È in quel momento che Centemero decide di dare vita a Più Voci, sede a Bergamo nello studio dei commercialisti del partito, dove erano già registrate altre decine di società che facevano capo a loro.
Per la procura di Roma, che ha avviato l’inchiesta dopo lo scoop del settimanale Espresso (1 aprile 2018), si tratta di un finanziamento illecito, al pari di quello versato da Esselunga: per quest’ultima vicenda il processo è iniziato a Milano, Centemero è accusato sempre di finanziamento illecito.
«Ma quale pubblicità»
Uno dei pilastri sul quale si basa l’accusa è che il denaro versato a Più Voci, a differenza di quanto vogliono far credere gli imputati, non era destinato a comprare spazi pubblicitari su Radio Padania, la storica emittente del partito.
La conferma in questo senso si trova in un verbale del 3 luglio 2018: il magistrato Barbara Zuin, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo della procura di Roma, ha interrogato Gianluca Talone, commercialista di Parnasi.
Zuin gli chiede: «Le è mai stato chiesto di fare dei contratti al solo fine di giustificare un'erogazione liberale?». Talone spiega: «È capitato che mi venisse chiesto di concordare una veste contrattuale solo per giustificare un'erogazione...All'esito dell'incontro Luca mi presentò un collega, Andrea Manzoni, in qualità di commercialista di Radio Padania al quale Luca Parnasi confermò la volontà di versare la somma ed io associai tali erogazioni alla volontà di Parnasi di addentrarsi nel mondo imprenditoriale milanese... Ho compreso che il contratto era solo fittizio quando parlando con Parnasi gli ho chiesto se intendesse concordare anche uscite pubblicitarie su Radio Padania, magari in orario notturno, e lui ha categoricamente escluso tale intento, con ciò facendomi capire che il contratto in via di formazione era solo un modo per dare una veste formale alla erogazione da versare alla Lega. Da allora non mi sono più interessato alla faccenda. Presumo che l’operazione sia poi fallita a causa dell’uscita dell’articolo su “L’Espresso”. Da Parnasi mi fu detto che non se ne faceva più niente, ma non mi fu spiegato il motivo».
Dal racconto di Talone emerge, dunque, anche un secondo aspetto: la volontà di versare altre somme oltre a quelle già date a Più Voci. Talone è stato chiarissimo con la procura, «il contratto in via di formazione (con Radio Padania, ndr) era solo un modo per dare una veste formale alla erogazione da versare alla Lega».
La cena con Salvini per non farsi beccare
In questa storia però non c’è solo la zampino del tesoriere. Per quanto Salvini non sia né indagato né coinvolto, agli atti dell’inchiesta su Centemero e Parnasi troviamo le chat di Telegram tra i due. Chat imbarazzanti per il leader leghista perché dimostrano che quantomeno era a conoscenza del rapporto tra Più Voci e Parnasi.
Da quei dialoghi emerge l’organizzazione di cene e pranzi nei circoli esclusivi della capitale, poco popolo molta élite.
Per esempio, il 19 dicembre 2017, con elezioni politiche di marzo che si avvicinano, per Matteo Salvini è una giornata fitta di impegni politici, è già campagna elettorale.
Quel giorno Matteo, alle 20.30, insieme ad altri due leghisti suona al citofono del civico 9 di una piazza nel cuore più esclusivo dei Parioli. I due il tesoriere Centemero e Giancarlo Giorgetti, numero due del partito, attuale ministro allo Sviluppo Economico.
Sono lì per trascorrere una serata conviviale, ospiti di un potente costruttore romano. Una cena per parlare del futuro.
Gli investigatori che stanno intercettando Parnasi per altri fatti di corruzione ascoltano una telefonata ora agli atti del processo sulla Più Voci. E la sintetizzano così: «(Parnasi) sta organizzando una cena con alcuni appaltatori e Matteo Salvini per il 19 a Roma e dice che la farà a casa sua per evitare che vengano beccati... che ci saranno altre 7 - 8 persone e la farà in maniera riservata per dare sostegno alla Lega. Luca dice che la Lega è molto importante a livello nazionale...».
Parnasi rivela al suo collaboratore che il 19 ci saranno altri «appaltatori» per dare un sostegno alla Lega, perciò desidera la massima riservatezza e sceglie il suo appartamento per celebrare il Capitano.
Gli altri donatori
Oltre a Parnasi e Esselunga sui conti dell’associazione Più Voci sono arrivati altri finanziamenti di importo più basso. Tra i finanziatori c’è Daniele Toto, politico e nipote dell’imprenditore abruzzese Carlo, che ha versato 10 mila euro all’associazione di Centemero.
Tra le grandi aziende che hanno finanziato la Più Voci c’è poi la Psc, gruppo di impiantistica controllato dalla famiglia Pesce, quasi 200 milioni di euro di fatturato e un azionista pubblico di peso: Fincantieri. Denaro versato per sostenere una cena svolta nell’aprile 2016 durante la quale c’è stata la conoscenza, tra gli altri, di Giulio Centemero: «Il quale spiegò che l’associazione nasceva per dare spazio a nuovi volti della politica. Centemero - ci ha tenuto a precisare l’azienda - non fece alcun riferimento a partiti» aveva precisato l’azienda in una risposta all’Espresso.
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