Le intercettazioni raccontano un primo cittadino sempre in prima linea nel business. L’assessore arrestato lo chiamava «santo». «Perché senza di lui non va avanti niente»
«Sai qual è il problema? Se qualcuno non si prende la briga di parlare a san Luigi non va avanti niente di cose così». È il 2023 e Renato Boraso, l’ex assessore della giunta Brugnaro agli arresti per lo scandalo corruzione al comune di Venezia, si offre di esporre il progetto di un imprenditore “amico” al sindaco, che dovrà dare l’avallo preventivo.
Sembra dunque che dal leader di Coraggio Italia, indagato nell’inchiesta della Procura della città lagunare, dipendano tutte le decisioni, specie quelle afferenti ad aggiudicazioni di gare e appalti. Brugnaro, definito «santo» dal suo assessore, così come emerge dalle intercettazioni riportate all’interno delle carte giudiziarie, divide et impera.
Lo fa anche quando decreta che un imprenditore «ha ricevuto troppi favori» o quando, davanti alle sollecitazioni di Boraso, si inalbera perché proprio a quell’imprenditore, al contrario dell’assessore, vuole negare quanto richiesto. «Chiariamo sto concetto… ghe sboro, non gli basta mai, cosa dobbiamo fare?», dice ancora il primo cittadino, intercettato, a segno di quanto la macchina amministrativa sia ormai compromessa, di quanto la «commistione» tra interessi pubblici e privati sia forte. E poi, in caso di divergenze con altri assessori o funzionari comunali, il problema per il sindaco si risolve alla radice. Non a caso i pm mettono a fuoco l’episodio in cui Brugnaro parla «sbrigativamente dell’opportunità di revocare le deleghe, quantomeno “ammorbidendo”» chi non la pensa come lui.
Oggi di «san Luigi» i veneziani chiedono le dimissioni. Ma per loro - così come per il capogruppo del Partito democratico in consiglio comunale Giuseppe Saccà che più volte aveva denunciato i comportamenti «padronali» del sindaco - non c’è nulla di nuovo sotto il sole. «I sospetti nei confronti di Brugnaro serpeggiavano già da anni. Non siamo rimasti affatto stupiti, bensì sollevati: il clima di clientelismo e impotenza sembrava infatti definitivo», dicono i cittadini riuniti ieri in un’assemblea pubblica assai partecipata (si replica il 29 luglio in sala san Leonardo per chiedere «un nuovo governo per la città»).
Il 2 agosto, intanto, è in programma un nuovo consiglio comunale, durante il quale, in base a quanto trapela, il primo cittadino potrebbe presentarsi per dare la sua versione.
L’architetto Brugnaro
E Brugnaro, prima di essere sindaco di Venezia, è anche architetto. Da qui l’assenso a far costruire una città nella città. Fatta, oltre che dal palasport da sedicimila posti, anche da «edifici residenziali alti centodieci metri, cento ville, la piazza della Libertà, una torre museo, un centro commerciale, hotel da ventisette piani con settecento camere, una terrazza sull’acqua, un porto, una casa-albergo per anziani, un casinò».
Una piccola Venezia a forma di pesce, come nella bozza del primo progettista, bocciata a dir la verità dallo stesso sindaco e dal magnate di Singapore Chiat Kwong Ching. «Don’t undestand and dont’ like it», dice laconico Ching in trattativa per la vendita dei terreni dei Pili, di proprietà di Brugnaro, e dunque per la realizzazione del masterplan che ha ad oggetto la costruzione della “nuova” Venezia. Dopo che l’idea del pesce è accantonata, al primo cittadino viene in mene di coinvolgere l’archistar veneziano Tobia Scarpa.
A ogni modo gli affari con l’imprenditore singaporiano, il quale in una mail scrive che «i profitti verranno divisi», sfuma, soprattutto per la poca chiarezza sulla bonifica dell’area e anche per la richiesta da parte di Brugnaro di un anticipo a fondo perduto di dieci milioni. «Puoi costruire dappertutto qui… Qualsiasi roba, qua bisogna fare fino a cento metri!», aveva tuttavia rassicurato, qualche tempo prima, il sindaco, indicando con la mano aperta a Ching una mappa rappresentante parte della laguna di Venezia.
Affari Thailandesi
Ma sfumato un progetto se ne fa un altro. O almeno si tenta. «A ottobre 2022 Derek Donadini (vice capo di gabinetto, ndc) e Luca Zuin (responsabile attuazione del programma del Comune di Venezia, ndc) discutono – è scritto nella richiesta cautelare dei pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo – di una trattativa con soggetti di nazionalità thailandese, con tanto di programmazione di incontro con Andrea Marcon, vice console onorario del Regno di Thailanda (…) Zuin si propone di parlarne anche con Brugnaro».
In pratica i thailandesi vorrebbero investire capitali nella zona di Venezia per la produzione di batterie ai sali di litio.
«Volevo proporgli i Pili», dirà Zuin a Donadini, che a sua volta risponderà con una risata. Ancora una volta, insomma, un’ombra sul corretto funzionamento della macchina amministrativa, e sulla corretta gestione di quello che gli investigatori chiamano «Brugnaro blind trust».
«L’anomalia che emerge dalla conversazione – scrivono i magistrati – sta nel fatto che con l’istituzione del blind trust, il disponente Luigi Brugnaro non è tenuto a essere aggiornato circa le questioni inerenti alle società confluite nel predetto istituto giuridico. Inoltre si evidenzia che né Donadini né Zuin – concludono i pm – sono attualmente parte dell’organo amministrativo della Porta di Venezia spa, la quale è proprietaria dell’area dei Pili».
Ma soprattutto, ancora una volta, un tentativo di progettazione sull’area dei Pili, sui terreni inquinati sulla gronda della laguna appartenenti al sindaco. Detto anche «san Luigi».
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