Da una parte gli annunci del governo. Dall’altra le riforme vere che ancora non ci sono. In mezzo, le storie che raccontano di una sanità pubblica che in Italia lascia milioni di persone in attesa di cure spesso molto urgenti.

La signora P., di 84 anni, che vive da sola ed è affetta da edema agli arti con insufficienza venosa, tenta da un mese di prenotare una visita e non può permettersi di farla a pagamento. La signora A., davanti alla farmacia, racconta: «Sto cercando di prenotare una visita specialistica per rinnovare gli ausili ortopedici in una struttura pubblica: non ho mai trovato posto, ma non perdo la speranza».

La speranza pare ormai l’unica cosa cui cittadine e cittadini possono aggrapparsi per essere presi in carico dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), al quale contribuiscono con le loro tasse. Le storie di P. e A. sono le storie di tantissime persone che sono bloccate in un limbo: liste bloccate, visite ed esami strumentali a più di un anno di distanza o in posti lontanissimi, mentre il privato convenzionato cavalca l’emergenza della sanità pubblica.

Le preoccupazioni

Il personale ospedaliero si dice preoccupato per i fondi che passerebbero dalla sanità pubblica a quella privata. Altro dato preoccupante riguarda il nuovo rialzo, dopo quello già previsto nella scorsa manovra, dei tetti di spesa per ricorrere al privato.

Tutto questo lascia interdetti lavoratori e lavoratrici della sanità, come hanno ricordato in una nota il segretario nazionale Anaao-Assomed Pierino Di Silverio e il presidente nazionale Cimo-Fesmed Guido Quici, «ridurre i sempre più lunghi tempi di attesa è un diritto del cittadino e un dovere del governo, ma occorrono misure strutturali con risorse adeguate e durature nel tempo. È quindi inimmaginabile separare gli interventi organizzativi dai finanziamenti, rinviando questi ultimi».

Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina democratica, dichiara a Domani che «i contenuti del decreto legge non fanno altro che confermare alcuni principi di base del Ssn (Cup davvero unico, tempi in linea con i Lea), e, anziché aggiornarli, non vanno oltre la richiesta di straordinari da parte degli operatori. Nemmeno parlando di salute mentale ci si ricorda del ruolo delle case di comunità. Le regioni vengono “commissariate” mentre il governo parla di autonomia differenziata».

La vita delle persone

La situazione delle liste d’attesa è tuttora in piena crisi, come racconta a Domani la dottoressa Carla Capriotti, farmacista e responsabile delle prenotazioni di esami e visite al Cup di Bologna, nella parafarmacia dove lavora: «Quello che avviene normalmente è che le pazienti e i pazienti vengono indirizzati al Cup con la ricetta per prenotare visite o esami, si aprono poi delle finestre con giorno, ora e il posto dove prenotare, ma nella maggior parte dei casi gli appuntamenti hanno delle tempistiche lunghe». Questo significa che il cittadino bisognoso di cure «viene inserito nella presa in carico, una sorta di lista d’attesa, in cui si immettono le prescrizioni in un portale, che poi viene gestito da un operatore Asl che dovrebbe andare a scorrere, a seconda dell’urgenza, e che in un secondo momento prenoterà la visita o l’esame strumentale in un tempo variabile tra i cinque giorni e più di un anno; ma a volte capita anche che non vengano mai più chiamati».

Attesa senza fine

Il fatto di essere ricontattati, è una situazione «utopica», dice Capriotti, «e non lo dico solo io qui a Bologna, ma anche molti altri colleghi e colleghe». La situazione è difficilissima: «Spesso i pazienti non accettano la presa in carico e preferiscono tornare il giorno successivo, sperando siano stati aggiunti posti per la visita o l’esame».

C’è poi un altro dato: non tutte le persone hanno i mezzi e le possibilità di spostarsi in un altro posto della città per fare una visita, dove gli verrebbe proposta. Il nuovo decreto sulle liste d’attesa, inoltre, secondo Capriotti è piuttosto nebuloso: «Riporta come novità delle situazioni che funzionano già in quel modo, sia sulle priorità sia sul dover nominare la possibilità dei centri accreditati, ovvero dei privati convenzionati. Tutte cose che già facciamo».

C’è da dire che, nel privato convenzionato, le cose funzionano su due piani differenti: si può trovare posto come possibilità di appuntamento del Ssn e dunque con la stessa tariffa del ticket, oppure, in caso contrario, i cittadini e le cittadine non pagano più lo stesso ticket che si pagherebbe in una struttura pubblica.

Spiega Capriotti: «Nei privati accreditati c’è quasi sempre posto: prendono una parte di soldi dall’utente e una parte dal Ssn. Se una visita dermatologica, senza esenzioni, costa 23 euro, nel privato la paghi sui 60 euro», ma non tutte le persone possono permetterselo, e alla fine o rimangono in liste d’attesa lunghissime o, nel peggiore dei casi, rinunciano a effettuare le visite.

La storia della signora O., di 86 anni, è emblematica e terribile: nell’ultimo anno ha avuto diversi problemi cardiaci, e racconta che «dopo il ricovero, ho sofferto di forti dolori alla schiena, mi impediscono di stare in piedi». Dopo varie terapie che non hanno funzionato il medico le ha prescritto una risonanza magnetica (Rmn) e una visita antalgica: «Sono più di quattro mesi che sono in attesa. Sono stanca, non ho più voglia di curarmi».

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