- Al centro c’è una delibera dell’Anac, terminata con la contestazione mossa a Rfi di aver utilizzato una procedura scorretta per assegnare i quasi 200 milioni di euro di appalti di manutenzione con contratti speciali.
- Secondo Rfi, invece, ritiene di aver esteso la propria «sfera di operatività anche in settori diversi da quello del trasporto», che consentirebbe l’utilizzo di questi contratti.
- Il nodo potrebbe produrre un ripensamento delle modalità di gara adottate dalla società, in vista degli appalti futuri.
Potrebbe aprirsi uno scontro tra l’Autorità anticorruzione e la Rete ferroviaria italiana. Al centro c’è una delibera dell’Anac, terminata con la contestazione mossa a Rfi di aver utilizzato una procedura scorretta per assegnare i quasi 200 milioni di euro di appalti di manutenzione. L’indagine, iniziata nel 2014 e quindi risalente a fatti della passata gestione della società ma terminata solo nel 2021, è rilevante perchè potrebbe produrre un ripensamento delle modalità di gara adottate dalla società, in vista degli appalti futuri.
L’indagine di Anac
Le verifiche del 2014 hanno riguardato una procedura ristretta per l’esecuzione di lavori di manutenzione di fabbricati e di impianti di riscaldamento. Rfi ha suddiviso in 15 lotti l’appalto, che aveva un importo a base d’asta di 194,4 milioni di euro e prevedeva l’esecuzione di 1001 contratti applicativi.
Tutto regolare, ma Anac contesta a Rfi l’erroneo inquadramento nella disciplina dei contratti pubblici di lavori nei settori speciali, invece che in quello dei settori ordinari.
Il tipo di contratto utilizzato, infatti, permette di usare procedure che non prevedono la pubblicazione della gara e il cosiddetto appalto integrato, che prevede l’affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori.
Secondo Anac, Rfi rientra tra i soggetti che possono utilizzare questo tipo di procedura perchè si tratta di un organismo di diritto pubblico che svolge attività di carattere generale, soddisfacendo interessi collettivi come il trasporto.
Tuttavia, Anac ha sottolineato che la disciplina speciale deve essere «circoscritta a interventi strettamente funzionali all’esercizio delle attività istituzionali».
Nel caso di Rfi, appunto quelle legate al trasporto ferroviario. Quindi, per ricadere nella normativa speciale, gli appalti banditi dovevano avere un legame «strumentale» con l’esercizio dell’attività di interesse pubblico.
E questo, da quanto risulta dall’indagine Anac, non è stato rispettato per tutti gli appalti. Nella delibera, infatti, si legge come alcuni contratti d’appalto abbiano riguardato la «manutenzione ordinaria e straordinaria del Museo Ferroviario di Pietrarsa», oppure «fabbricati locati a terzi» vicino Firenze, o ancora «spogliatoi a uso della polizia ferroviaria in stazione Milano Lambrate» e «parcheggi per bus turistici nel compendio di Tiburtina». Tutti interventi, questi, che -nell’interpretazione restrittiva del codice degli appalti pubblici – avrebbero dovuto seguire procedure ordinarie visto che non riguardano strutture direttamente collegate al servizio ferroviario ma fanno parte dell’attività commerciale di Rfi.
Anac ha rilevato anche un «incremento anomalo» degli importi. La legge prevede la possibilità che al termine dei lavori la spesa aumenti fino a un massimo del 50 per cento dell’importo complessivo. Nei lotti di Ancona e Trieste, invece, l’aumento è stato «superiore al 150 per cento».
La risposta di Rfi
Le contestazioni di Anac sono state accolte con attenzione da Rfi, che nel maggio 2021 ha visto un ambio di vertice con la nomina della presidente Anna Masutti e dell’amministratrice delegata e direttrice generale, Vera Fiorani. L’indagine di Anac, infatti, riguarda appalti risalenti al 2014, anno molto complicato per la società controllante, Ferrovie dello Stato. All’epoca l’amministratore delegato era Mauro Moretti, rinviato a giudizio nel 2013 per la strage di Viareggio, a cui poi è succeduto Michele Elia e poi ancora Renato Mazzoncini fino al 2018.
Nella delibera dell’Anac è contenuta già una preliminare difesa di Rfi, secondo cui il gruppo negli anni ha esteso la propria «sfera di operatività anche in settori diversi da quello del trasporto» e che la giurisprudenza ha comprovato «la natura industriale svolta da Ferrovie dello Stato e delle relative società controllate».
Tuttavia, è la stessa Rfi a marcare la distanza dalla gestione del 2014 a quella di oggi: «L’attuale direzione operativa infrastruttura di Rfi, al fine di migliorare la gestione del processo di pianificazione, programmazione e monitoraggio degli accordi quadro, ha introdotto alcune novità organizzative finalizzate a garantire il presidio costante, strutturato e centralizzato del processo».
Sentita da Domani, Rfi ha ribadito che «non condivide le conclusioni a cui perviene l’Anac anche alla luce dei consolidati orientamenti giurisprudenziali e si riserva, comunque di valutare il contenuto e le argomentazioni contenute nella delibera, tenendo conto del quadro normativo attuale».
Si capisce quindi Rfi, convinta della correttezza della procedura utilizzata, è pronta a impugnare la delibera di Anac così da evitare che l’orientamento anti-contratti speciali si consolidi.
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