Sono giunto al mio primo vero giorno di Dad. Una vera lezione di una classe di alunni di sei anni di una prima elementare che stanno iniziando a scrivere parole e numeri, leggono in inglese, disegnano cose…ecco come è andata a finire
- Quel giorno di giugno in cui per la prima volta ho preso in braccio mio figlio appena nato mai avrei immaginato di dovermi applicare, alcuni anni dopo, con la didattica a distanza.
- Che per uno strano caso del destino è conosciuta con una sigla che in inglese significa papà: Dad. E dunque è giusto che i dad si applichino alla Dad.
- Ogni casa è una classe. Faccio appena in tempo a collegare le cuffie che dal muro si stacca il quadro con la prima pagina di una Domenica del Corriere del 19 aprile 1964 sullo strappo tra Unione Sovietica e Cina, pagina alla quale mia moglie tiene tantissimo. L’incidente, che al ritorno di mia moglie sarà anche diplomatico, è immortalato dalla diretta Zoom.
Quel giorno di giugno in cui per la prima volta ho preso in braccio mio figlio appena nato mai avrei immaginato di dovermi applicare, alcuni anni dopo, con la didattica a distanza, che per uno strano caso del destino è conosciuta con una sigla che in inglese significa papà: Dad. E dunque è giusto che i dad si applichino alla Dad.
Mio figlio è in prima elementare, durante il primo lockdown frequentava l’ultimo anno di scuola materna e perciò le lezioni via Zoom erano limitate a una volta alla settimana. E credetemi: era più che sufficiente. Va bene che erano le prime prove, i primi esperimenti, ma ricordo di quegli incontri virtuali un gran casino di voci e urla senza senso di bambini che tenevano i microfoni accesi. Solo dopo la sesta volta che si ripeteva la riunione di classe finalmente noi genitori avevamo capito che forse era il caso di silenziare i microfoni. Oggi siamo tutti esperti di Zoom, Meet, Teams: l’accumulazione di sapienza nell’uso delle piattaforme comprende il pigiare il simbolino del microfono per zittirlo.
Il primo giorno
Ebbene con questa dote di conoscenza sono giunto al mio primo vero giorno di Dad. Una vera lezione di una classe di alunni di sei anni di una prima elementare che stanno iniziando a scrivere parole e numeri, leggono in inglese, disegnano cose…
La notte non vi nego un po’ di emozione: non solo del dad ma anche del figlio, che già alle 7 era in piedi e voleva collegarsi su Zoom. Sono riuscito a farlo desistere solo dopo una ventina di minuti spiegandogli che la lezione sarebbe iniziata soltanto alle 9 e che se ci fossimo collegati avrebbe interagito soltanto con uno schermo bianco con la scritta “in attesa che l’organizzatore accetti la tua richiesta”. Per farlo desistere ovviamente ho dovuto mostrargli che dicevo il vero.
Eccoci così alle 9, anche se noi eravamo collegati dalle 8.50, non si sa mai, mio figlio è molto preciso a differenza del papà-dad. Sullo schermo iniziano a comparire decine di volti e sfondi vari: finestre, libri, muri. Ogni casa è una classe. Faccio appena in tempo a collegare le cuffie che dal muro si stacca il quadro con la prima pagina di una Domenica del Corriere del 19 aprile 1964 sullo strappo tra Unione Sovietica e Cina, pagina alla quale mia moglie tiene tantissimo. L’incidente, che al ritorno di mia moglie sarà anche diplomatico, è immortalato dalla diretta Zoom.
Penso che in fondo ci sta l’inconveniente della diretta. Penso anche che probabilmente nessuno si è accorto di quanto accaduto nello studio da dove è collegato mio figlio. E penso pure che siamo una famiglia fortunata ad avere uno spazio con un pc, il tablet e i quadri al muro. Quello che noi diamo per scontato non lo è per molte famiglie, non tutte hanno dispositivi per seguire la didattica a distanza e moltissime vivono in spazi di 40 metri quadri dove padre, madre e figli sono costretti a lavorare e studiare perché reclusi dalla pandemia.
Il primo allarme
La lezione, dunque, è iniziata. Mio figlio mi fa gesti inequivocabili: «te ne devi andare di là», lo capisco, è la sua classe, sono i suoi compagni, le sue maestre. Nello studio c’è silenzio, sbircio ogni tanto per individuare in tempo azioni che possano provocare danni irreparabili a computer e apparecchiature varie.
Ho pensato persino che quando ero bambino io in classe volava di tutto e ho creduto per un momento che anche in quella di mio figlio ci fosse questa malsana abitudine. Quindi vista l’impossibilità di lanciare aeroplanini e pallini attraverso lo schermo «non si sa mai che gli venga in mente di lanciare mouse o tastiera». Alla fine mi devo ricredere, i nostri figli non sono come noi da piccoli, e questo è un sollievo.
Lascio perciò la stanza-classe e in attesa della riunione di redazione preparo il caffè e leggo i giornali. Tutto tranquillo, i timori di un remake dei caotici incontri via Zoom della materna è superato. Decido che è arrivato il momento di una pausa sigaretta. Vado in balcone.
Sono stati sufficienti due tiri per capire che forse sarei dovuto tornare dentro: urla di panico avevano richiamato la mia attenzione. «Ahhh oohhh vieni qui». La parola papà o dad non è contemplata. «Che succede amore?», chiedo gentilmente. «Non vedi, è partito qualcosa, c’è Youtube». Oddio, penso. Che sta succedendo? Dopo 5 minuti in cui provo a chiudere programmi e applicazioni, mio figlio ricorda un particolare che mi è molto d’aiuto: le maestre avevano semplicemente condiviso lo schermo e stavano mostrando alcuni video sulla Didattica a distanza. Allarme rientrato, segue gesto «lasciami solo pà» del mio piccolino ormai provetto alunno Dad.
Secondo allarme
Tornata la quiete mi preparo alla riunione del giornale. Nel frattempo però finisce la prima ora di lezione. Me ne accorgo perché dallo studio vedo uscire mio figlio urlando «pausa pausa» mentre saltella fino al divano e da qui si lancia stile Spiderman. In piena autonomia curiosa dentro il frigo e si prende la sua meritata merenda.
Alle 10 sarebbe dovuto tornare a lezione, alle 9.57 mi chiede di guardare un cartone animato. «Dai papà», tengo duro e gli spiego che in tre minuti non avrebbe fatto in tempo a vedere neppure la sigla. Incredibilmente mi crede e ritorna alla postazione Dad.
Un no andato a buon fine. Ma devo ringraziare il poco tempo a disposizione. La lezione ricomincia e io mi collego per la riunione di redazione.
Dopo poco mi chiama perché deve strappare dei fogli: lo studio in pochi minuti è diventato una distesa di carta, libri accatastati l’uno sull’altro. Un tornado? No, solo mio figlio che cercava con ansia il libro di inglese e un quaderno dal quale strappare un foglio sul quale avrebbe dovuto scrivere le lettere in corsivo.
Lo aiuto a strappare un foglio in maniera ordinata, «papà ma non è così che devi fare». Mi istruisce, recepisco e procedo. Taglio perfetto. Ma purtroppo quel bellissimo pezzo di carta a quadretti si inzuppa d’acqua, rovesciata per errore sulla scrivania durante la lezione. Ricomincio l’operazione e questa volta va tutto secondo i piani. Segue gesto solito, «papà vai di là, ciao».
Alla fine della mattinata sono sollevato. Primo giorno andato. Il problema saranno le ore successive, a scuola si stava fino alle 16.30. All’uscita i bambini giocavano e si sfogavano. Ora finita la Dad vedo mio figlio correre per casa, carichissimo, e capisco che la didattica a distanza sarà l’ultimo dei miei problemi.
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