Il processo di dimensionamento delle Istituzioni scolastiche – affermava il ministro Valditara il 15 giugno del 2023 – porterà un significativo risparmio di risorse che potranno essere reinvestite nell’istruzione. Parliamo del processo di accorpamento dei plessi scolastici, con la conseguente riduzione degli organi dirigenziali, collegiali e amministrativi degli istituti. Dopo un anno e mezzo è possibile fare qualche considerazione più precisa: il risparmio previsto ammonta a 88 milioni nel corso di nove anni, meno di 10 milioni di euro l’anno a fronte della soppressione di circa 700 dirigenze e relative segreterie. Ciò equivale a un risparmio dello 0,02% sulle spese per l’istruzione, che consistono in media negli ultimi 10 anni in circa 50 miliardi l’anno.

Ma a cosa stiamo rinunciando per un’operazione di questa portata? Purtroppo ciò che viene tolto ha un valore enormemente maggiore del risparmio che si intende conseguire. E non può essere valutato confinandolo alla sfera dell’istruzione: i danni legati ai percorsi fallimentari della scuola si riflettono in tantissimi altri ambiti, dalla disoccupazione giovanile al consolidamento della malavita organizzata, fino al disagio psicologico negli adolescenti, in continua crescita. O ancora nelle evidenti difficoltà di gestire in maniera positiva i percorsi di inclusione degli alunni stranieri che continueranno ad arrivare in Italia e in Europa nei prossimi decenni.

Cosa perdiamo accorpando

Ciò che viene tolto con il processo di dimensionamento, per fornire qualche elemento di valutazione a chi non si occupa di scuola, si può riassumere in: rendere sempre più superficiale la conoscenza tra chi direziona gli interventi educativi e la progettualità in una scuola, il preside, e coloro sui quali quegli interventi ricadono, cioè gli alunni. Ma anche rendere più complesso il dialogo oggi così delicato tra famiglie e istituzione scolastica, delicato sia nei quartieri “alti” delle città benestanti sia nelle periferie, dove è più significativa la presenza di famiglie immigrate. Interrompere, inoltre, la continuità dell’intervento educativo e di quello amministrativo in atto in 700 istituzioni scolastiche. In un momento in cui tante scuole sono allo stremo, alle prese con i numerosi progetti Pnrr la cui gestione è talmente complessa da richiedere spesso l’intervento di professionisti privati in supporto. Tutto questo per imporre ulteriori tagli all’istruzione quando oggi «in Italia la spesa media annua per alunno partendo dal ciclo primario d'istruzione fino a quello terziario è di 12.760 dollari, a fronte del livello medio dei Paesi dell'Ocse pari a 14.209» (Rapporto Ocse “Education at a glance, 2024”). Difficile individuare qualche effetto positivo di questa misura al di là dell’accantonamento di risorse, per quanto piccole. Eppure, per esempio, si legge sul sito della Regione Lazio: «Attraverso il proprio dimensionamento la Regione organizza l’erogazione del servizio scolastico con l’obiettivo di: programmare un’offerta formativa sempre più funzionale ad una efficace azione didattico – educativa; realizzare il diritto all’apprendimento, ridurre il disagio degli studenti».

Per quale motivo il disagio degli studenti possa essere ridotto in una scuola che passa da 600 a 1200 alunni non è di facile interpretazione. E perché questo intervento possa realizzare il diritto all’apprendimento e rendere più efficace l’azione educativa è qualcosa di misterioso. Sembra si suggerisca che accrescere la distanza tra chi dirige un istituto scolastico o chi lavora per mettere in atto i percorsi scelti dai docenti nei loro organi collegiali, sia un elemento positivo.

Dove colpisce il dimensionamento

Lavorando come Comunità educante di un quartiere periferico di Roma, possiamo raccontare una realtà completamente ribaltata: è proprio quando si costituisce una forte intesa tra docenti, dirigenza, famiglie e territorio che la scuola inizia a rinascere, mette in campo interventi efficaci, crea ambiti di riflessione e azione possibili solo con uno stretto rapporto con il contesto. Tutto ciò funziona quando i numeri sono più bassi, quando la conoscenza è profonda, quando finalmente gli alunni non sono numeri, e diventano soggetti attivi in un percorso che li vede protagonisti. Eppure nessun indicatore tra quelli presi in considerazione dal decreto si interessava alle esperienze reali, alla progettualità messa in atto.

Infine la gestione concreta del decreto interministeriale 127 del 30 giugno 2023, è stata lasciata alle Regioni che hanno dovuto nel migliore dei casi aprire tavoli di concertazione con gli enti locali, con i sindacati, con i singoli istituti.

Un’operazione difficile e poco trasparente, perché la scelta sull’abolizione di una dirigenza scolastica non può basarsi solo sul numero di minori. In base a cosa si dovrebbe decidere se una scuola merita di continuare a operare in autonomia?

Nel Sud, nei piccoli centri, in tutti i territori dove si stanno verificando fenomeni che mettono in difficoltà l’azione di una scuola, ad esempio dove cresce la presenza di minori stranieri: è proprio in questi contesti che il dimensionamento sta colpendo.

Pagheremo le conseguenze di tutto ciò nei prossimi decenni. Nonostante l’opposizione del comparto scuola, dei sindacati, delle stesse Regioni il governo ha deciso di procedere senza alcuna disposizione al dialogo. Nella disattenzione generale abbiamo tolto ancora risorse al nostro futuro.

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