Il racconto di Philipp Guggenmoos, primo ufficiale che si occupa anche di sicurezza a bordo di una delle navi della Ong tedesca Sea Watch: «La frustrazione è forte: abbiamo una nave di ricerca e soccorso pronta a partire e ci viene impedito di operare con delle motivazioni ridicole»
- «Provengo dal settore crocieristico, ma era diventato impossibile lavorare. Ci trovavamo spesso ad attraversare la zona SAR e, mentre le persone morivano in mare, sembrava che la compagnia per la quale navigavo avesse paura di perdere guadagni».
- «A me e ai miei colleghi venne chiesto di non dire nulla se avessimo visto qualcosa e mi capitò persino di ascoltare alla radio una richiesta di intervento da parte del Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo, che ignorammo per proseguire il nostro viaggio».
- «Io non ero mai stato un attivista, ma sono cattolico e ritengo che questo modo di operare sia contrario ai miei principi cristiani, oltre che alla mia etica professionale. E non ero certamente l’unico tra i miei colleghi a pensarla così».
Prosegue la pubblicazione del “Diario di bordo” dalla Sea Watch 4, la nave dell’omonima Ong tedesca che presta soccorso ai migranti. Per leggere tutte le puntate, a mano a mano che saranno pubblicate, si può tenere d’occhio questa pagina.
Sono un marinaio e i marinai obbediscono a un principio indiscutibile: chiunque si trovi in pericolo in mare deve essere soccorso. Non ci sono eccezioni né deroghe. Per questo ho deciso di lavorare per Sea-Watch a marzo di quest’anno. Inizialmente ho fatto il capo progetto nel cantiere di Burriana, in Spagna, dove Sea-Watch 4 era ancorata prima di partire per la sua prima missione ad agosto.
Adesso sono primo ufficiale e mi occupo anche della sicurezza a bordo della nave. Le mie giornate sono molto piene. Iniziano alle otto meno un quarto con la riunione quotidiana di tutti i capi dipartimento sul ponte della nave, per proseguire con il meeting dell’equipaggio. La mattinata prosegue con i controlli di cui sono responsabile: ogni giorno devo assicurarmi che tutto l’equipaggiamento destinato alla sicurezza, dagli estintori ai dispositivi salvavita, sia perfettamente funzionante e che i lavori di manutenzione siano stati effettuati regolarmente.
Il pomeriggio è dedicato alle esercitazioni e alle simulazioni: dobbiamo essere preparati per ogni emergenza, da un soccorso in mare a un incendio. C’è poi tutto il lavoro relativo all’amministrazione della nave e le pratiche per gli arrivi e le partenze dei membri dell’equipaggio. Il tempo libero non è tanto, ma bisogna fare in modo che il personale possa, ogni tanto, distrarsi. Sono io a occuparmi di questo, organizzando attività come escursioni e passeggiate, tutto rigorosamente all’aria aperta, in base al protocollo di prevenzione anti-Covid che osserviamo a bordo. Qualche volta riusciamo persino a fare un bagno in mare. A me è capitato anche di recente. D’altra parte, si sa, noi tedeschi non temiamo il freddo.
Sono un marinaio professionista da cinque anni e provengo dal settore crocieristico, nel quale per me era diventato impossibile continuare a lavorare. Ci trovavamo spesso ad attraversare la zona SAR e, mentre le persone morivano in mare, sembrava che la compagnia per la quale navigavo avesse paura di perdere guadagni e rovinare l’atmosfera vacanziera ai clienti trovandosi costretta a rispondere a delle richieste di intervento e soccorrere dei naufraghi. A me e ai miei colleghi venne chiesto di non dire nulla se avessimo visto qualcosa e mi capitò persino di ascoltare alla radio una richiesta di intervento da parte del Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo. Richiesta che ignorammo per proseguire il nostro viaggio secondo i piani.
Io non ero mai stato un attivista, ma sono cattolico e ritengo che questo modo di operare sia contrario ai miei principi cristiani, oltre che alla mia etica professionale. Non ero certamente l’unico tra i miei colleghi a pensarla così. Ci sono tante persone per bene nel mondo della navigazione commerciale. Basti pensare ai mercantili che nei mesi passati hanno affrontato difficoltà e intimidazioni di ogni tipo pur di salvare quelle vite che l’Europa vuole costringerci a ignorare. Ecco, penso che un giorno potrei tornare a lavorare su delle navi commerciali, ma ho chiuso con le crociere.
Anche adesso, con Sea-Watch 4 bloccata in porto, il senso di frustrazione è forte: abbiamo una nave di ricerca e soccorso pronta a partire e ci viene impedito di operare con delle motivazioni ridicole. A volte mi sento impotente: è una lotta di Davide contro Golia. Poi però vedo la luce negli occhi dei volontari che arrivano a Palermo da diversi paesi, tutti uniti dalla stessa convinzione. E allora la mia speranza si riaccende.
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