La testimonianza di Charlene Wolf, ambientalista tedesca imbarcatasi come volontaria a bordo di una delle navi della Ong tedesca Sea Watch, sequestrata e bloccata a Palermo. «Non ho mai partecipato a una missione, ma sarò pronta quando torneremo a soccorrere in mare»
- Riverniciare è un’attività imprescindibile, dal momento che la vernice protegge dalla ruggine, che su una nave ancorata si forma in continuazione e può anche provocare la rottura di alcune superfici.
- Quando l’organizzazione era appena nata, nel 2015, ho dato una mano con la raccolta fondi. La crisi migratoria era al suo apice in Europa e mi sembrava inaccettabile che noi europei non soccorressimo le persone in mare.
- Ho lavorato come volontaria anche sull’altra nave dell’organizzazione, Sea-Watch 3. Allora, però, stavamo preparando la nave per una missione, mentre stavolta non sappiamo per quanto ancora resterà bloccata. È frustrante.
Prosegue la pubblicazione del “Diario di bordo” dalla Sea Watch 4, la nave dell’omonima Ong tedesca che presta soccorso ai migranti. Per leggere tutte le puntate, a mano a mano che saranno pubblicate, si può tenere d’occhio questa pagina.
Prima di salire a bordo non sapevo quanto mi piacesse tinteggiare. Invece adesso è uno fra i lavori che faccio più volentieri fra quelli che mi vengono assegnati a bordo. Sono arrivata a Palermo da Amburgo un mese fa, per imbarcarmi come volontaria e sostenere l’equipaggio di Sea-Watch 4 in ogni modo possibile.
Riverniciare è un’attività imprescindibile, dal momento che la vernice protegge dalla ruggine, che su una nave ancorata si forma in continuazione e può rovinare e anche provocare la rottura di alcune superfici.
Questa nave è grande e, dal momento che è bloccata in porto, esposta all’acqua di mare e alla pioggia, non si finisce mai di verniciarla. Appena hai terminato devi già ricominciare. Oggi per esempio, durante uno dei miei turni di sorveglianza, ho notato altri punti che avevano bisogno di essere ritoccati e mi metterò a farlo.
I turni di sorveglianza sono un’altra fra le mie mansioni. Ce ne sono tre: uno la mattina presto, uno la sera e il terzo la notte. Il turno di notte è il più duro e anche il più lungo: inizia a mezzanotte e dura sei ore, nelle quali devo assicurarmi che nessun estraneo salga a bordo, che nulla stia bruciando, che il motore non faccia strani rumori, che non ci siano perdite.
Quando mi viene assegnato il turno di notte cerco di dormire un po’ prima che inizi e mi tengo sveglia bevendo caffè e ascoltando audiolibri e musica, ma solo con un auricolare. Con l’altro orecchio devo poter sentire il radiotrasmettitore nel caso ci siano delle comunicazioni. È incredibile quanto si possa imparare a bordo. In Germania lavoro in un’associazione animalista e i miei compiti sono molto diversi da quelli che svolgo qui. Ogni volta lascio la nave con nuove competenze acquisite.
Questa non è la mia prima volta con Sea-Watch. Quando l’organizzazione era appena nata, nel 2015, ho dato una mano con la raccolta fondi. La crisi migratoria era al suo apice in Europa e sentivo forte il dovere di fare qualcosa. Mi sembrava inaccettabile che noi europei non soccorressimo le persone in mare. Mi sentivo fortunata a essere nata qui e pensavo che tutti dovessimo avere le stesse opportunità.
Così ho lavorato come volontaria anche sull’altra nave dell’organizzazione, Sea-Watch 3, nel cantiere di Burriana in Spagna. Allora, però, la sensazione era diversa. Stavamo preparando la nave per una missione, mentre stavolta non sappiamo per quanto ancora resterà bloccata. È frustrante.
Finora non sono mai riuscita a salire a bordo durante una missione. Di questi tempi non sai mai quando ti verrà permesso di attraccare ed è difficile conciliare questa incertezza con il lavoro. Il Covid, poi, con i lunghi periodi di quarantena richiesti prima e dopo le missioni, ha complicato ulteriormente le cose. Quando Sea-Watch 4 sarà di nuovo libera, però, voglio assolutamente tornare. Troverò un modo per esserci quando torneremo a salvare vite.
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