I giudici di Roma riconoscono l'associazione mafiosa per l'organizzazione che ha terrorizzato la capitale. L’accusa aveva chiesto complessivamente oltre 600 anni di carcere
È mafia: questa la sentenza dei giudici di Roma sul clan Casamonica che ha terrorizzato la capitale. Salvatore Casamonica è stato condannato a 25 anni di carcere, Giuseppe Casamonica a 20 anni, Domenico Casamonica a 30 anni. Per Guerino Casamonica 16 anni e sette mesi. Enrico Casamonica 15 anni, Luciano Casamonica 12, Massimiliano Casamonica 19 anni.
Circa quaranta gli imputati alla sbarra, per i quali l’accusa aveva chiesto complessivamente oltre 600 anni di carcere: sono accusati a vario titolo di reati che vanno dall’associazione mafiosa al traffico di droga, spaccio, estorsione, usura e detenzione illegale di armi.
Finora l’associazione mafiosa a Roma è stata riconosciuta solo per il clan Spada, attivo a Ostia. Per la celebre inchiesta contro Salvatore Buzzi e Massimo Carminati la tesi è stata invece respinta dalla Cassazione.
Le vittime
L’indagine ha messo sotto accusa solo l’arcipelago del clan egemone in vicolo di Porta Furba, in zona Tuscolana. Ci sono 25 persone, tra cui il noto conduttore radiofonico Marco Baldini, vittime di usura ed estorsione e nessuna di queste ha presentato denuncia. Neanche chi era stato massacrato di botte.
Si tratta di F.S., che ha presentato denuncia solo perché convocato dal commissario.
L’unica vittima che ha denunciato non ci sarà perché è morto nell’aprile dello scorso anno. Si chiamava Ernesto Sanità. Aveva la voce rauca, il corpo sfiancato dalla battaglia che conduceva da oltre un decennio. «Che stai facendo, ti stai occupando di loro? La mia storia la devi raccontare per forza. Scrivi una cosa, subito. Io non ho niente contro i Casamonica, ma quando sono entrati nella mia vita non ho abbassato la testa perché io non dovevo pagare le colpe di mio figlio», diceva Sanità.
Il clan gli aveva tolto la casa per un presunto debito del figlio, Giovanni, morto anni fa in una misteriosa rissa. Sanità ha denunciato tutto alla polizia e si è rivolto all’Ater, la società pubblica che gestisce le case popolari, per cacciare i Casamonica. È andato perfino a riprendersi casa da solo, ma i membri del clan dopo averlo minacciato di morte hanno occupato di nuovo l’immobile trasformandolo nella loro alcova. Non voleva fare l’eroe, ma solo tornare ad abitare nella casa popolare di cui era legittimo assegnatario.
La sua denuncia è andata persa e anni dopo ha raccontato tutto ai carabinieri. Dopo un decennio e dopo la retata delle forze dell’ordine contro i suoi estorsori, è rientrato nella sua casa. Era il 2018, due anni prima di morire. Nella capitale di uno dei paesi del G8, un signore settantenne ha dormito sotto i ponti, abbandonato dallo stato, perché un clan disponeva delle vite delle persone, delle case, del loro presente e del loro futuro. E chi denunciava veniva ignorato.
«Voglio morì, non ce la faccio più», diceva Sanità. Oggi sarebbe stato in aula ad ascoltare il verdetto della corte. Perché lui non voleva sfidare nessuno ma di nessuno aveva paura, neanche dei Casamonica. Unico resistente nel processo dove ha vinto l’omertà.
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