Un altro capitolo si aggiunge alle inchieste sull’urbanistica che da mesi stanno paralizzando Milano e che stanno di fatto bloccando il settore del capoluogo lombardo, fino a qualche mese fa modello per tutta Italia. Sono oltre 150 i cantieri fermi, 40 i dirigenti che hanno lasciato il Comune per «paura della firma», 35 miliardi di euro gli investimenti a rischio.

Questa mattina, 7 novembre, la guardia di finanza ha sequestrato il cantiere del maxiprogetto Scalo House – dove c’è uno studentato con 122 posti letto, oltre che altri due edifici in costruzione – tra via Lepontina 4 e via Valtellina 38, ai confini del quartiere simbolo della gentrification milanese: Isola, a due passi dal Bosco verticale.

Gli studenti non verranno sfrattati

Le inchieste della procura – che ha sul tavolo almeno 14 fascicoli aperti per abusi edilizi, lottizzazione abusiva e falso – vanno avanti da tempo e seguono tutte pressoché lo stesso schema, ma questo è il primo caso di una palazzina abitata. Per questo la residenza universitaria non è stata sequestrata fisicamente, e quindi gli studenti non verranno sfrattati, mentre i sigilli sono scattati per le altre due torri di 8 e 13 piani appartenenti allo stesso progetto immobiliare.

Come in altri casi, quel che i pm contestano sono alcune violazioni della normativa urbanistica «per conseguire abnormi volumetrie con minimi oneri». Tradotto: procedure accelerate, meno costi per i costruttori (e parallelo danno per il Comune) e più superfici costruite senza prevedere per il quartiere un adeguamento dei servizi all’aumento degli abitanti.

Gli indagati

Gli indagati sono dodici. Ci sono funzionari e dirigenti comunali: l’ex membro della Commissione paesaggio Paolo Mazzoleni – già coinvolto in altre due indagini e oggi assessore all’Urbanistica di Torino – e l’attuale presidente Marco Stanislao Prusiki, il direttore dello Sportello unico dell’edilizia di Palazzo Marino Giovanni Oggioni, il dirigente Mario Francesco Carrillo, i tecnici istruttori Riccardo Rinaldi e Nicoletta Carriero, il responsabile del procedimento Andrea Viaroli.

E ci sono poi progettisti e costruttori: il legale e procuratore della società operatrice (Leopontina Gestioni) Marco Natale, Domenico Cefaly e Anselmo De Titta della società d’investimento Green Stone Fund, il direttore dei lavori Alessandro Boe e i progettisti Katina Bruno Ombra e Paolo Mazzoleni (già citato).

Cosa viene contestato

Nell’ordinanza di sequestro firmata dal gip Mattia Fiorentini su richiesta dei pm Marina Petruzzella, Mauro Clerici, Paolo Filippini e dall’aggiunto Tiziana Siciliano, si parla esplicitamente di «macroscopiche violazioni di legge». Quel che gli inquirenti contestano sono le modalità con cui il Comune di Milano ha autorizzato le tre costruzioni – «frutto di un’operazione di maquillage giuridico» – e la successiva assenza di piani attuativi per garantire interventi che equilibrino l’impatto dei nuovi abitanti sul quartiere: servizi pubblici, infrastrutture, verde, eccetera.

Come in altri casi, viene fatta passare per «ristrutturazione edilizia» quella che secondo la procura sarebbe in realtà una «nuova costruzione». Nel caso dello studentato, la destinazione di un precedente immobile popolato da uffici è stata trasformata con una semplice «convenzione» notarile, «stipulata direttamente, al di fuori di ogni schema legale e logico giuridico, tra l’operatore privato e il dirigente del Sue (Sportello unico dell’edilizia, ndr), in usurpazione dei poteri del consiglio e della giunta comunale», come si legge nero su bianco nelle oltre 100 pagine dell’ordinanza.

Per le altre due torri deluxe di 8 e 13 piani – con case che costano fino a 10 mila euro al metro quadro – sono stati demoliti due piccoli edifici per far spazio a due torri di 8 e 13 piani per 65 appartamenti in totale. Anche in quest’ultimo caso la procedura seguita non è stato un «permesso di costruire», necessario quando si edifica ex novo, ma la Scia (segnalazione certificata di inizio attività). Un’autocertificazione che non richiede le necessarie valutazioni d’impatto sul territorio.

Gli inquirenti, nel criticare il «piglio efficientista» della struttura comunale nelle pratiche edilizie, contestano in generale un modus operandi che ha effetti, oltre che potenzialmente penali, anche sulla cittadinanza. Perché, si legge nell’ordinanza, così viene meno «la necessità di verificare il carico urbanistico derivante dagli abitanti aggiuntivi previsti dai nuovi interventi». Con l’utilizzo dello strumento della «convenzione» concordata tra i privati e i dirigenti del Sue, «con l’elusione del controllo del consiglio o della giunta comunale», si finisce per negare «ai cittadini la conoscenza del progetto e la possibilità di presentare osservazioni».

«La Commissione per il paesaggio non garantisce indipendenza»

Al direttore del Sue Giovanni Oggioni – la figura comunale centrale nella stipula delle convenzioni che, secondo i pm, ha operato «in un perenne conflitto d’interesse» – viene anche contestato di aver «pilotato l’andamento della pratica nella fase decisoria dell’istanza di permesso di costruire convenzionato, per far sì che la commissione per il paesaggio non si pronunciasse più sul progetto».

Commissione del paesaggio a cui spetta di esprimere un parere favorevole prima della stipula della convenzione ma che, come si legge nell’ordinanza, «non garantisce indipendenza, in quanto organismo composto da professionisti nominati direttamente dal sindaco, che esercitano la libera professione a Milano». Insomma, i progetti urbanistici sono gestiti anche da chi ha diretto interesse affinché vengano portati avanti nella maniera più semplificata possibile.

«Indebiti vantaggi tributari»

Questi aspetti hanno poi una dimensione economica, considerato che le procedure accelerate per questo genere di costruzioni comportano oneri di urbanizzazione molto inferiori al normale. Un vantaggio per i costruttori – uno sconto del 60 per cento, con un contributo in questo caso di 402 mila euro invece di quasi il doppio – e un danno erariale per il Comune, che vede entrare nelle proprie casse meno di quanto dovuto.

In altre parole, ci sarebbe stato un calcolo al ribasso che avrebbe comportato «un indebito vantaggio all’operatore privato che si sostanzia in una forma di finanziamento occulto dell’intervento».

Le inchieste sull’urbanistica a Milano

«Il sistema di illegalità manipolatoria e di falsificazione ideologica dei titoli edilizi e alterazione del procedimento (di cui il caso di via Lepontina 4 e di via Valtellina 38 è solo uno dei fulgidi esempi) non accenna ad arrestarsi», scrive il gip. Nel capoluogo lombardo le inchieste della procura vanno avanti dall’inizio del 2023. Partite dalle Park Towers di Crescenzago, periferia est della città, si sono subite allargate ad altri casi analoghi. È l’intero «sistema-Milano» a essere messo in discussione.

La tesi del pool della procura, come per gli ultimi tre edifici sequestrati, è sempre la stessa: quando si superano i 25 metri di altezza e i tre metri cubi di costruito per ogni metro quadrato, per tirare su un edificio non basta una Scia o una convenzione ma serve un vero e proprio «permesso per costruire», con iter amministrativi più complessi, oneri di urbanizzazione più alti e l’approvazione di un piano attuativo. In molti casi, poi, secondo i pm le nuove costruzioni vengono spacciate per semplici «ristrutturazioni».

Nel calderone giudiziario, tra le decine di persone indagate, lo scorso settembre è finito anche l’architetto Stefano Boeri (il padre del Bosco verticale) accusato di «lottizzazione abusiva» e «abuso edilizio» per il progetto Bosconavigli, che dovrebbe veder la luce a San Cristoforo, zona sud-ovest della città.

I numeri sono impressionanti. Sono oltre 150 i cantieri fermi (tra quelli sequestrati e quelli che si sono interrotti per timore di interventi della procura), almeno 40 i dirigenti e i tecnici che hanno lasciato gli assessorati per «paura della firma», 35 i miliardi di euro di investimenti a rischio secondo un’analisi di Scenari Immobiliari, 100 milioni gli oneri di urbanizzazione persi negli scorsi anni dal Comune. Parallelamente alla procura sta indagando anche la Corte di conti della Lombardia.

Il «Salva-Milano» sarà la soluzione?

La colpa, a detta di costruttori e del Comune di Milano, sarebbe nella vaghezza delle norme che regolano il settore, su tutte alcuni articoli del Testo unico dell’Edilizia del 2001. Per questo la scorsa estate, con un ponte singolare tra il ministro delle Infrastrutture Salvini e il sindaco Sala, si è cercato di inserire un emendamento – ribattezzato subito «Salva-Milano» – nel ddl Salva casa, poi saltato.

Per cercare di sbloccare le costruzioni che si sono fermate, e per creare un ambiente di regole certe per il settore, il 6 novembre è stato raggiunto un accordo in commissione Ambiente alla Camera su un emendamento, a prima firma Tommaso Foti (Fratelli d’Italia), per inserire nel Ddl sulla rigenerazione urbana una norma che regolamenterà le nuove costruzioni e salverà le opere già realizzate. Verrà votata probabilmente giovedì 14 novembre in commissione per approdare, la settimana successiva, in Aula.

Dopo un lungo dibattito si è scelta la strada dell’interpretazione autentica che dovrebbe sanare il passato e regolare il futuro e finirà per dare ragione alla prassi seguita dal Comune di Milano. Con la possibilità che tutte le inchieste in corso si risolvano nell’archiviazione.

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