- Il prossimo 16 marzo il tribunale di Campobasso dovrà emettere la sentenza di primo grado nel processo ribattezzato dalla pubblica accusa ‘Sistema Iorio’ dal nome dell’ex presidente della regione Molise Michele Iorio.
- Le carte raccontano un perverso rapporto tra poteri che dovrebbero mantenere una sacrale autonomia e indipendenza e che invece si strusciano pericolosamente.
- «In Molise si conoscono tutti. Di certo c’è un problema di promiscuità, di contaminazione, ma non riguarda solo me che guido Telemolise», racconta Manuela Petescia, direttora della tv.
Aggiornamento del 27 aprile 2022
Il tribunale di Campobasso, nel processo sul presunto sistema Iorio, ha condannato Ignazio Annunziata a 12 anni di reclusione. Ha assolto, per alcuni reati, Michele Iorio per non aver commesso il fatto. Iorio, insieme a Manuela Petescia e Quintino Pallante, era accusato anche di corruzione, reato derubricato ad abuso d’ufficio, ed estintosi per prescrizione. «Per me è la fine di un incubo, una persecuzione, un calvario inutile e doloroso che tra Campobasso e la vicenda di Bari si è portato via 10 anni della mia vita. È la fine di un incubo anche per il mio amico di sempre Michele Iorio, catapultato in un processo politico assurdo e vistosamente manipolato», dice Manuela Petescia dopo il verdetto di primo grado.
Il prossimo 16 marzo il tribunale di Campobasso dovrà emettere la sentenza di primo grado nel processo ribattezzato dalla pubblica accusa “sistema Iorio”, dal nome dell’ex presidente della regione Molise Michele Iorio.
Prima della sentenza gli imputati rilasceranno dichiarazioni spontanee, ci saranno le eventuali repliche, a seguire la corte si riunirà in camera di consiglio. Un processo che mette sotto accusa l’incesto e presunta corruzione tra politica, imprenditoria e informazione locale in una regione spesso ignorata e trascurata, ma attraversata da interessi e conflitti come altre parti d’Italia.
I soldi e la linea editoriale
Per 13 anni Michele Iorio è stato presidente della regione, eletto tre volte alla carica più alta di palazzo Vitale, sede della giunta. Dal 2001 al 2013 è rimasto ininterrottamente al suo posto fino all’intervento della magistratura, quella amministrativa. Prima il tribunale regionale, il Tar, poi il Consiglio di stato lo hanno dichiarato decaduto. Così Iorio è passato all’opposizione.
Negli anni da presidente ha affrontato sfide complicate e dolorose, come il terremoto che ha colpito la regione nel 2002 come epicentro a San Giuliano di Puglia, in cui in una scuola morirono 27 minori e una maestra. In tutto, vi furono trenta vittime, cento feriti e tremila sfollati. I guai sono arrivati con l’inchiesta sul “sistema Iorio”. L’ex presidente è andato a processo con editori, direttori di tv locali e pubblici ufficiali. L’accusa contesta alcuni episodi di corruzione, Iorio si è dichiarato estraneo alle contestazioni così come gli altri soggetti coinvolti.
Chiamale se vuoi estorsioni
Ignazio Annunziata di mestiere faceva l’editore, editava la Gazzetta del Molise. Ad un certo punto nella sua avventura imprenditoriale qualcosa è andato storto. La società che editva il quotidiano è fallita, l’editore è finito nei guai perché gli inquirenti hanno scoperto che aveva chiesto soldi a un amministratore per evitare che il suo giornale scrivesse articoli diffamatori.
Era Stefano Sabatini, il presidente di Molise acque, a dover pagare un contributo di marketing per evitare «un utilizzo strumentale del giornale per diffondere notizie lesive della dignità personale e delle aspirazioni politiche del Sabatini». I fatti risalgono al 2010. Qualche anno dopo, nel 2016, al termine del processo Annunziata viene condannato a cinque anni di carcere per estorsione. Il giornale era vicino alle «posizioni» e «gli interessi politici di Iorio», si legge negli atti della magistratura.
Della vicinanza tra la testata e all’allora presidente di regione se ne parla anche nel processo principale, quello sul presunto “sistema”. Durante il mandato di Iorio alla Gazzetta vengono destinati 23mila euro, il denaro viene erogato tramite una società subentrante a quella di Annunziata (ormai dichiarata fallita), ma che nei fatti era riconducibile allo stesso editore amico del presidente. In cambio Iorio avrebbe ottenuto propaganda, valorizzazione dell’immagine e «due abiti da mille euro», si legge negli atti dell’accusa. Per questo e altri episodi, il pubblico ministero Francesco Santosuosso ha chiesto una condanna di 12 anni di carcere per Annunziata, sei per Iorio.
«Gli abiti li ha pagati Iorio di tasca sua. Ho sostenuto nelle quattro ore di arringa difensiva l’insussistenza dei fatti contestati, i soldi sono stati dati a tutti i giornali e tv locali, ma erano fondi impegnati molti anni prima e a provvedere al pagamento non era il presidente», dice Arturo Messere legale di Iorio.
Telemolise o TeleIorio?
Tra gli imputati c’è anche un’altra figura di spicco dell’informazione molisana, si chiama Manuela Petescia e attualmente è direttrice della televisione più vista in regione: Telemolise. La procura contesta un presunto scambio corruttivo: da una parte Petescia avrebbe proposto una linea editoriale pro Iorio, dall’altra l’ex presidente si sarebbe occupato di alcuni atti regionali favorevoli all’emittente, prevedendo in particolare l’erogazione di finanziamenti.
Sotto processo c’è anche l’editore Quintino Pallante che respinge ogni addebito. I soldi sarebbero stati previsti per l’affitto di una sede, il passaggio dall’analogico al digitale e un finanziamento da 100mila euro per una campagna di comunicazione istituzionale.
Petescia si dichiara vittima di un corto circuito politico-giudiziario e spiega le sue ragioni. «Si tratta di fatture vecchie che erano andate perse, la televisione stava fallendo, i mandati di pagamento erano stati emessi, ma l’ente regionale non aveva pagato. Nessuno ha messo un soldo in tasca, i fondi sono andati anche ad altre emittenti e durante la sua presidenza Iorio ha varato una legge sull’editoria che ci ha tagliati fuori», dice Petescia.
Secondo la procura, Telemolise si era trasformata in una sorta di TeleIorio. Petescia «informava, aggiornava e consultava Iorio sui contenuti e il taglio delle notizie e persino sulla linea editoriale delle predette e mittenti», si legge nell’atto d’accusa dei magistrati. «La libertà in un contesto del genere si realizza con l’onestà, visto che non esiste l’obiettività.
Noi abbiamo detto da che parte stavamo in maniera chiara, successivamente ci siamo schierati con l’altro candidato. Noi abbiamo fatto parlare sempre tutti, nel processo diversi esponenti politici sono venuti a dire che non hanno mai avuto una censura. Le opinioni sono andate in onda tutte, anche quelle di chi criticava Iorio. Io e Iorio abbiamo un rapporto intenso perché da chirurgo ha salvato mia figlia piccola che stava morendo», dice Petescia. Un processo che si è incrociato con un altro già concluso.
Direttrice, pm e presidente
Petescia è stata coinvolta anche in un’altra storia che incrocia il potere politico, l’informazione e la magistratura. La donna e il suo compagno, il magistrato Fabio Papa, in passato sono stati accusati dall’ex presidente della regione Paolo Di Laura Frattura, in carica dal 2013 al 2018, di tentata estorsione.
Nel 2013 durante una presunta cena, Papa e Petescia avrebbero chiesto al presidente finanziamenti per Telemolise, in cambio dell’esito positivo di un’indagine penale a carico di Frattura, di cui si stava occupando lo stesso Papa come pubblico ministero. Papa e Petescia sono stati completamente assolti, i giudici di secondo grado hanno confermato il pronunciamento del primo giudice che aveva ritenuto non affidabili le ricostruzioni degli accusatori. La procura aveva chiesto condanne pesanti e, per il magistrato, la radiazione dall’ordinamento giudiziario. Le motivazioni della sentenza di secondo grado sono un affresco dei rapporti tra i poteri in regione, a partire da quello tra il governatore e la direttrice di Telemolise.
Durante il dibattimento, Frattura ha ammesso con enorme riluttanza l’amicizia con Petescia risalente al 1998. Dopo un primo litigio, i due si riconciliano nel dicembre 2012. Si allontanano nuovamente dopo alcuni servizi televisivi sull’aumento delle indennità ai consiglieri regionali. Petescia, difesa dall’avvocato Paolo Lanese, ha depositato anche una memoria difensiva in cui chiarisce alcune questioni, a partire dai rapporti con Frattura. Emerge dal documento che «si conoscono da una vita, come è provato dai soprannomi confidenziali con i quali si chiamavamo, Lupaccio (lui) e Cappuccetto (io). E si conoscono da una vita perché l’attuale governatore aveva navigato per quindici anni nella colazione di Michele Iorio prima del formidabile tuffo nel centrosinistra». Dunque esisteva «tra noi un antico legame politico e professionale», si legge nella memoria.
«La Petescia enumera una serie di circostanze quali: l’aver curato e realizzato proprio lo spot elettorale per il Di Laura Frattura, l’aver quasi brindato “alla faccia di quel tirapiedi di Ignazio Annunziata” al microfono di un giornalista di Telemolise; l’aver intrattenuto conversazioni telefoniche oltremodo cordiali quale quella del 26 marzo 2013 nella quale ancora si chiamano coi reciproci soprannomi e si scambiano baci e abbracci», si legge. La sentenza di assoluzione ripaga la direttrice da sette anni di sofferenza e stress, ma restano alcune domande.
Perché una giornalista confeziona uno spot per un politico? Perché si rivolge con quel tono affettuoso e fraterno a un rappresentante politico che l’informazione dovrebbe controllare? «Questo è un falso problema, in Molise si conoscono tutti. Di certo c’è un problema di promiscuità, di contaminazione, ma non riguarda solo me che guido Telemolise. Fare informazione è molto complicato, noi riportiamo le opinioni di tutti. Io non sono sdraiata, altrimenti non saremmo la tv più vista», dice Petescia. La direttrice tv dice la parola giusta: “Promiscuità”. Non riguarderebbe solo il potere politico e quello dell’informazione, ma anche quello politico e giudiziario. «In nessuna regione d’Italia si sarebbero avviati processi del genere», conclude.
Vaccini e tv
In Molise ci sono anche emittenti tv che fanno riferimento al mondo sanitario. E in questo interstizio si colloca un personaggio di spicco: si chiama Aldo Patriciello. Attuale parlamentare europeo di Forza italia, è alla quarta legislatura. Con le cariche di rilievo ha iniziato nel 1998, quando è diventato vicepresidente della regione.
L’azienda di famiglia, Neuromed, una struttura sanitaria convenzionata con il Servizio sanitario nazionale, è proprietaria di una serie di cliniche sparse tra Molise, Lazio e Campania. A inizio 2021, quando con la pandemia in Italia c’era penuria di vaccini, e il commissario straordinario all’emergenza procedeva con la somministrazione per categorie, in Molise accadeva altro. I tecnici, gli amministrativi, i giornalisti oltre che, ovviamente, medici e personale di Neuromed, sono stati vaccinati prima degli altri. Lo stesso onorevole si è vaccinato prima di altri: «Entrava nelle strutture sanitarie di cui è proprietario ed era doveroso farlo nel rispetto di tutti», ha detto a Domani il suo ufficio stampa.
Ma perché tra i vaccinati ci sono stati anche giornalisti e tecnici? Tra i satelliti della galassia aziendale c’è anche un’emittente tv. Tvi, la televisione di Isernia. «Tutto è avvenuto nel pieno rispetto delle disposizioni che prevedono, per le strutture sanitarie, l’obbligo di vaccinare operatori sanitari, socio-sanitari e lavoratori dei servizi integrati. Gli operatori dell’informazione di una società che presta servizi presso l’Istituto di ricerca rientrano a pieno titolo nella categoria di “lavoratori dei servizi integrati”, in quanto da anni frequentano quotidianamente la nostra struttura ospedaliera», ha spiegato sempre l’ufficio stampa.
Papa contro La Rana
Patriciello, nonostante sia completamente estraneo all’indagine, viene citato nella sentenza che assolve Petescia e Papa. Il magistrato Papa, nelle memorie difensive, aveva ricostruito dal suo punto di vista la storia che lo aveva riguardato, citando Patriciello in un esposto inviato al Csm, l’organo di autogoverno dei giudici. «L’esposto a firma del Papa diretto al Csm è teso a denunciare l’esistenza in Campobasso di un centro di potere che avrebbe ordito e attuato una macchinazione finalizzata a rimuovere Papa dall’incarico di sostituto procuratore in città, in quanto inquirente scomodo e pericoloso per le finalità del gruppo.
Siffatto sodalizio sarebbe capeggiato dall’onorevole Aldo Patricello, potente uomo politico e imprenditore locale, sostenitore per interesse di Paolo di Laura Frattura (in quanto appartenente a schieramento politico, Forza Italia, differente da quello del secondo appartenente al Pd) la cui elezione a governatore avrebbe agevolato venendone poi ampiamente gratificato con favori amministrativi favorevoli alla sanità privata (…)».
L’esposto di Papa si spinge anche oltre: «Al sodalizio non sarebbe estraneo Antonio La Rana, procuratore generale facente funzioni, autore della prima segnalazione penale disciplinare a carico del Papa, che in cambio di favori per la sistemazione e lavorativa del proprio figlio Giuseppe, avrebbe favorito l’assoluzione degli imputati Patriciello e Pietracupa.
Rappresentando l’accusa in appello, il La Rana avrebbe richiesto infatti la loro assoluzione e il dissequestro della clinica privata “Fondazione Pavone” venendo così ribaltata la condanna di primo grado del tribunale dinanzi al quale l’accusa era stata rappresentata dal Papa».
Massimo Romano, avvocato del magistrato, dice che «l’esposto è stato archiviato, i fatti riportati erano documentati». Mentre Paolo Di Laura Frattura chiede: «Quali sarebbero i favori amministrativi ai quali fa riferimento Papa? Si tratta di accuse generiche e senza riscontri. La verità è che nei miei anni di governo sono migliorati gli indici di qualità del servizio sanitario e anche i dati economici». L’ufficio stampa di Aldo Patriciello, invece, riferisce che «prende atto solo ora del contenuto dell’esposto a firma del dottor Papa. Sono chiaramente stupito e inorridito dalle dichiarazioni talmente prive di fondamento che non meritano alcun commento. Saranno i miei legali a richiedere al Csm copia completa dell’esposto per tutelare la mia onorabilità e correttezza nelle sedi opportune». Antonio La Rana precisa che i fatti oggetto dell’esposto di Papa sono stati archiviati sia dalla procura di Bari sia dal Csm. «Nei confronti di Patriciello, in un’altra vicenda, ho appellato un’assoluzione di primo grado (ricorso poi respinto, ndr). Con Patriciello ho solo rapporti istituzionali. Per quanto riguarda mio figlio era consulente per la regione Abruzzo, poi ha fatto uno stage a Bruxelles e ha avuto contratti a tempo per il gruppo di Forza Italia dove c’era anche Patriciello. Ma sono fatti avvenuti dopo qualche anno l’assoluzione e la mia opposizione nell’altra vicenda», spiega il magistrato.
Il paradosso è che ora Antonio La Rana è a Campobasso in procura generale e Fabio Papa è stato rimandato dal Csm nuovamente in procura tra conflitti e scontri infiniti. Anche questo è il Molise.
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