- Ultimo atto del blocco dei licenziamenti, il governo presenta il decreto che in extremis estende le tutele a settori come il tessile e ad aziende già in crisi, i sindacati segnalano incongruenze.
- In attesa della riforma degli ammortizzatori si procede a singhiozzo. Il presidente di Assoturismo: «Pronti a riprenderci in estate ma ci sono anelli della filiera che continuano a soffrire».
- Calzaturieri e imprenditori dell’abbigliamento prevedono altre chiusure di imprese e perdita di posti di lavoro, soprattutto nel comparto scarpe.
Sblocco dei licenziamenti a singhiozzo da domani fino a fine ottobre, e per chi non licenzia tutele integrali delle piccole aziende estese ai settori più colpiti della manifattura e delle costruzioni come il tessile e per le aziende già in crisi: è così che il governo tenta di scongiurare l’emorragia estiva di posti di lavoro. «Ben venga altra cassa integrazione a carico dello stato, ma la partita non si gioca tanto sui numeri e sui codici Ateco, che pure sono importanti come ci ha insegnato il Covid, quanto sulla ripartenza a settembre, se a settembre dovesse esserci un’altra chiusura siamo fritti», sostiene Vincenzo Messina, imprenditore alberghiero di Agrigento e presidente di Assoturismo, l’associazione delle imprese aderenti alla Confesercenti.
Turismo, i settori più in difficoltà
Il turismo è il secondo dei settori che più ha risentito degli effetti della pandemia, quello che ha utilizzato più cassa Covid negli ultimi quindici mesi, fino al cento per cento in comparti come la grande ristorazione, i grandi alberghi, i bus turistici. Il fatto è che, a sentire Messina, «più che l’intera filiera sono alcuni anelli delle varie filiere che si sono rotti, ad esempio il settore del turismo balneare ora è in piena rimonta, invece il turismo d’arte nei centri storici continua a languire perché gli stranieri che l’anno scorso sono stati totalmente assenti stanno tornando ma sono solo il venti per cento di quelli che abbiamo visto nel 2019. Senza di loro i centri storici si stanno desertificando, i negozi chiudono e in questa catena la crisi dell’abbigliamento rischia di riflettersi anche sui servizi ricettivi come i bed and breakfast e sulla ristorazione che finora ha tirato i denti sul piano occupazionale riconvertendo molti camerieri a fare le consegne per l’asporto».
La situazione della moda
Gli imprenditori del settore moda nell’ultimo sondaggio confindustriale spostano le aspettative di ripresa al secondo trimestre di quest’anno, il 31 per cento prevede in ogni caso un calo dei dipendenti e il presidente di Confindustria Moda Cirillo Marcolin, scavalcando l’intransigenza del leader degli industriali Carlo Bonomi, ammette che avrebbe preferito una proroga della cassa Covid «fino a dicembre» piuttosto che fino al 31 ottobre. Devono vedersela con la concorrenza dei marchi esteri e del “fast fashion” più pronti a cogliere le opportunità della nuova abitudine di massa a fare shopping online.
Ci sono da scontare i rincari delle materie prime e c’è da adattarsi alla tendenza dei consumatori più giovani a privilegiare gli acquisti di vestiario “green”. Si tratta di riconvertire le produzioni e il marketing. Con il Covid la globalizzazione non è più la stessa, cambiano gusti e priorità. Il presidente di Assocalzaturifici Siro Badon mette in mezzo anche la lunga chiusura dei centri commerciali, sta di fatto che registra a consuntivo la morte di 123 industrie e la scomparsa di 587 posti di lavoro per cessazione di attività.
La strategia dei sindacati
In tutto ciò i leader sindacali Maurizio Landini, Pier Paolo Bombardieri e Luigi Sbarra ieri prima di sedersi al tavolo con Draghi, Franco e Orlando si sono riuniti per concordare una strategia comune dopo aver concentrato tutti gli sforzi verso una proroga del blocco generalizzato fino a fine anno, data in cui ragionevolmente potrà scattare la riforma universalistica degli amministratori.
Per ora Cgil, Cisl e Uil puntano ad estendere le procedure di concertazione, per stimolare le aziende a utilizzare tutti i possibili strumenti alternativi all’attivazione dei licenziamenti collettivi. Intanto tra una proroga parziale e l’altra prende forma un sistema di coperture e di segnalazione delle crisi più gravi anche nelle piccole realtà produttive. Molte hanno inizialmente chiesto il parafulmine pubblico della cassa Covid ma non poi non l’hanno utilizzato. Altre non si sono risollevate.
E qui il governo concede ora altre 13 settimane di cassa integrazione straordinaria per chi è in crisi e ha esaurito i cinque anni di mobilità. Un’altra sperimentazione in carne viva della riforma degli ammortizzatori. È un po’ come per i vaccini, si va per aggiustamenti sperando alla fine di poter convivere con il virus e con i suoi effetti di lunga durata.
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